Altro che Roma, la nuova mafia regna nel foggiano (ma non interessa a nessuno)

Dall’inizio dell’anno 11 omicidi, sommati ai 15 dell’anno passato segnano una striscia che non si vede da tempo. Faide tra clan e famiglie, bar e ristoranti stretti dal pizzo. Le autorità? Assenti ingiustificate

Un’esecuzione. In perfetto stile mafioso. Siamo a Vieste, in provincia di Foggia. I killer si sono presentati in scooter e si sono diretti contro il proprietario di una rosticceria: lo hanno ammazzato davanti ai turisti, alla moglie e alla figlia di pochi mesi. Così è morto Omar Trotta, arrestato sette anni fa in una retata per droga ed estorsione. L’ennesimo omicidio di mafia. L’undicesimo dall’inizio del 2017 nel foggiano. Una strage se si considerano gli altri 15 agguati dello scorso anno. Non è un caso che nell’ultima relazione, pubblicata proprio in questi giorni, l’Antimafia ponga l’accento sulla «inusitata violenza» della società foggiana e della mafia garganica, formazioni criminali autoctone (distinte dalla più nota Sacra Corona Unita) attive in territorio foggiano «dove continuano a registrarsi attentati dinamitardi ed incendiari in danno di imprenditori ed esercizi commerciali». Già, perché è l’estorsione insieme al narcotraffico la fonte prima di guadagno di questa criminalità. Una criminalità che fa paura perché, pur non godendo delle stesse risorse economiche della ‘ndrangheta o della camorra, spara. E uccide. Chiunque si metta sulla strada dei suoi interessi. E ora, com’è evidente dai fatti di cronaca, lo scontro si è acuito, alimentato da faide interne e dalla presenza di più gruppi che non accettano di rinunciare alla propria porzione di potere, anche per via dell’assenza di un organo decisionale condiviso. Il quadro criminale non può allora che presentarsi «complesso ed instabile, caratterizzandosi per la notevole frammentazione dei gruppi criminali». Che, però, finiscono con l’avere un potere incontrastato per via di quello che sempre la Dia definisce «un contesto ambientale omertoso e violento», determinato anche dalla matrice di familiarità che contraddistingue gran parte dei clan. Una matrice fondamentale questa, dato che risulta sempre più difficile capire anche le ramificazioni extra-regionali della criminalità foggiana, senz’altro presente in Basilicata, in Campania (specie nel beneventano) e nel Basso Molise, dove frequenti sono le scorribande dinamitarde nella zona del termolese. E il motivo va ricercato nel fatto che, proprio per via dei legami di sangue ancora vivi nei rapporti criminali foggiani, non c’è un solo pentito nell’area. Tante inchieste, tante operazioni, ma nessuno degli ormai quasi 900 affiliati dei 28 clan attestati ha cantato.

LA FAIDA CHE TERRORIZZA FOGGIA

Sinesi-Francavilla contro Moretti-Pellegrino-Lanza. Una faida di sangue che terrorizza il capoluogo di provincia e che potrebbe stravolgere gli assetti interni della cosiddetta Società Foggiana. Non è un caso che in un passato rapporto della Polizia, l’organizzazione viene definita la più violenta esistente oggi. A guidare i due clan rivali, secondo gli inquirenti, loro: Roberto Sinesi detto lo zio e Rocco Moretti chiamato il porco. Per anni a Foggia le due famiglie hanno covato le proprie mire nel silenzio di una finta pax mafiosa, che si è frantumata lo scorso 6 settembre, con il tentato omicidio a danno del boss della famiglia Sinesi, rimasto ferito a bordo dell’auto della figlia. Da lì agguati e omicidi sono all’ordine del giorno. Dopo un mese i Sinesi hanno ucciso un pregiudicato e ferito un altro, entrambi legati ai Lanza, che si sono nuovamente vendicati a fine dicembre con l’assassinio di un affiliato al clan Sinesi. E ora la situazione potrebbe ulteriormente ingarbugliarsi: il 27 luglio a uscire dal carcere per andare ai domiciliari è stato u’ lepre, il boss Vito Bruno Lanza, della batteria criminale ostile ai Sinesi.

SUL GARGANO SCORRE SANGUE

È sul Gargano che si respira l’aria più infuocata. Lo stesso agguato di Vieste è ascrivibile alla violenta lotta tra le famiglie garganiche. Anche qui la pax mafiosa sarebbe stata sventrata prima con l’omicidio di Onofrio Notarangelo, fatto fuori il 27 gennaio e poi con il caso di lupara bianca a maggio, che ha coinvolto suo figlio Pasquale. I due sono rispettivamente fratello e nipote del boss Angelo Notarangelo, assassinato anche lui nel 2015. A sfidare il potere dei Notarangelo un’altra famiglia in ascesa, «gli scissionisti» li chiamano, legati al giovane Marco Raduano, ex braccio destro dello stesso Notarangelo, tornato in libertà a febbraio e da allora irrintracciabile. Ma non è tutto, perché la precaria situazione di Vieste potrebbe, avvisa la Dia, determinare «l’ambizione di gruppi di altre aree», soprattutto provenienti dalle zone di Manfredonia, Monte Sant’Angelo e Mattinata. Il motivo è presto detto: il porto turistico di Vieste è da sempre oggetto dei desideri e di controllo da parte della mafia locale, senza dimenticare che, scrive ancora l’Antimafia, «la città di Vieste si conferma raccordo nevralgico per i comuni limitrofi di Vico del Gargano, Peschici e Rodi Garganico. Il controllo di tale attività rimane il più importante motivo di frizione per le diverse fazioni che si contendono le piazze di spaccio». E poi il turismo. Lidi, villaggi, bar: tutti devono pagare il pizzo. Fino all’anno scorso si parlava di una percentuale dell’80% di negozi costretti a pagare. Otto negozi ogni dieci. E chi non paga – è capitato anche questo – si ritrova cani ammazzati, macchine ribaltate e incendiate o ancora piscine piene di nafta.

«E poi il turismo. Lidi, villaggi, bar: tutti devono pagare il pizzo. Fino all’anno scorso si parlava di una percentuale dell’80% di negozi costretti a pagare. Otto negozi ogni dieci. E chi non paga – è capitato anche questo – si ritrova cani ammazzati, macchine ribaltate e incendiate o ancora piscine piene di nafta»

LA DROGA DI SAN SEVERO

Sangue e morti, anche sul Tavoliere. E continua la sfida allo Stato. Come a San Severo, considerato dagli inquirenti crocevia per l’approvvigionamento e lo smistamento di stupefacenti di tutta l’area. E proprio a San Severo la notte tra il 4 e il 5 marzo alcuni colpi di arma da fuoco sono stati esplosi contro le auto del reparto Prevenzione crimine, che si trovavano in città per un controllo rafforzato del territorio. Un attacco alle istituzioni in una terra a lungo dominata dagli interessi criminali. Un chiaro avvertimento che lì non si vuole lo Stato. I Russi, i Palumbo, i Testa, i Nardino: queste le famiglie che nell’area si sono spartiti interessi e business, soprattutto legati al narcotraffico. E non è un caso che i sanseveresi hanno stretto rapporti molto consolidati con la mafia albanese, considerata la vera detentrice del commercio di droga in Europa. Sono loro che permettono lo scarico in territorio pugliese delle partite che arrivano da Tirana. L’ultimo esempio solo pochi giorni fa: le Fiamme Gialle hanno sequestrato 12 kg di eroina (dal valore di un milione), nei pressi di un fondo agricolo. Carico proveniente dalla Turchia, giunto proprio passando dall’Albania. E la droga si mescola al sangue delle estorsioni. Avrebbe matrice mafiosa, ad esempio, il duplice omicidio di Nicola Salvatore e Isabella Rotondo, uccisi a fine maggio nella loro profumeria.

RAPINE IN GRANDE STILE A CERIGNOLA

Caveau e furgoni blindati. Siamo a Cerignola, «i cui punti di forza – osserva ancora l’Antimafia – vanno ricercati nel radicamento sul territorio, nella capacità di diversificare le attività illecite da cui attingere risorse finanziarie e dal consistente numero di affiliati». Tutto in mano a due organizzazioni mafiose strutturate, i Di Tommaso e i Piarulli-Ferraro, che da tempo hanno deciso di spartirsi il territorio ed evitare faide interne. Il ritmo delle rapine (con tanto di colpi fuori Regione) è impressionante: se ne conta quasi una al giorno. Non è un caso che gli inquirenti considerino questa città alla stregua di Casal di Principe o di Gioia Tauro. Basti ricordare il colpo più noto dei cerignolesi: è giugno 2014, arrivarono a Foggia e bloccarono 19 strade che circondavano il caveau un istituto di vigilanza; diedero alle fiamme 19 camion con l’obiettivo di creare un gigantesco fuoco intorno all’obiettivo rendendolo irraggiungibile per le forze dell’ordine. L’operazione non andò a buon fine solo perché con la ruspa sbagliarono mira e non presero il caveau.

STATO ANCORA TROPPO ASSENTE

«Nelle nostre missioni in varie zone d’Italia abbiamo registrato due criticità, una delle quali riguarda Foggia, dove ci è stato sottolineato il problema di immettere personale che abbia la capacità di leggere problematiche che prima non c’erano», ha detto la presidente Rosy Bindi in una recente seduta della commissione Antimafia. Basti consultare i dati, reperibili sul sito del Csm, relativi ai magistrati giudicanti in servizio a Foggia: ci sono 18 sostituti procuratori per una pianta che formalmente dovrebbe contarne 22. Quattro in meno, dunque, per controllare tutta la provincia e i vari focolai criminali. Senza dimenticare che a oggi ancora deve essere nominato anche il Procuratore capo. E poi c’è la Direzione Investigativa Antimafia, che ha sede a Bari. Alcune associazioni antimafia, DauniAttiva e Populus, a inizio anno avevano lanciato una petizione per istituire una Sezione Operativa della Dia a Foggia. Idea naufragata. Intanto nel foggiano si spara, si piazzano bombe, si muore. Almeno per ora.

X