Mare inquinato, Goletta Verde indica i luoghi dove NON fare il bagno

Dalla Liguria alla Sicilia la mappa dei peggiori posti a rischio inquinamento. Dai soliti residui fecali, all’immondizia in spiaggia, alla presenza di ”cozze nucleari”

A consultare i dati ministeriali ci sarebbe da star tranquilli, visto che il portale che monitora la qualità delle acque di balneazione segnala un «miglioramento», con una percentuale «di classi di qualità “eccellente” e “buona” pari al 95% del totale». Insomma, in Italia parrebbe proprio che buttarsi a mare sia quasi un dovere vista la «eccellente» qualità delle acque. In crescita, peraltro, considerando che l’anno precedente la percentuale arrivava all’87,2 e l’anno prima ancora all’85,1. Dispiace, però, che i dati non siano così cristallini: al contrario di quanto previsto dalla normativa comunitaria, difficilmente le Arpa regionali monitorano i punti più a rischio di inquinamento.

L’ha fatto invece, come ogni anno, Legambiente nella sua ormai storica campagna di Goletta Verde: 7.412 chilometri di costa percorsi al termine dei quali il resoconto offerto è decisamente diverso rispetto a quello ministeriale. Un dato su tutti: su 260 punti campionati lungo tutto il litorale italiano, sono 105 – pari al 40% – i campioni di acqua analizzata risultati inquinati con cariche batteriche al di sopra dei limiti di legge.

Ma entriamo più nel dettaglio. Sono stati considerati, fanno sapere i tecnici di Goletta Verde, come «inquinati» i risultati che superano i valori limite previsti dalla normativa sulle acque di balneazione vigente in Italia e «fortemente inquinati» quelli che superano di più del doppio tali valori. Ebbene, dei 105 campioni di acqua risultati con cariche batteriche elevate, ben 86 (ovvero l’82%) risultano «fortemente inquinati». Non è un caso che, dopo i tanti appelli inascoltati e lanciati alle amministrazioni e agli enti competenti per verificare le cause dell’inquinamento, quest’anno Legambiente abbia presentato alle Capitanerie di Porto ben 11 esposti, uno per ogni regione in cui sono presenti i «malati cronici di inquinamento», sulla base della legge sugli ecoreati che ha introdotto i delitti ambientali nel codice penale, tra cui appunto il reato di inquinamento ambientale. Un’azione, quella di Legambiente, pensata «per individuare gli inquinatori e le ragioni dell’inquinamento che, come spesso accade, possono risiedere anche nei comuni dell’entroterra e non necessariamente in quelli costieri, che invece si trovano a subirne maggiormente gli effetti negativi», dice Giorgio Zampetti, responsabile scientifico dell’associazione ambientalista.

RIFIUTI, SCARICHI IN MARE E COZZE NUCLEARI

Basta consultare la tabella per rendersi conto che la situazione sia a tratti disperata nel Lazio, in Calabria, Sicilia e Campania. In quest’ultima regione sono i rifiuti a regnare sulle coste. Su 30 punti monitorati, in 28 è stata trovata monnezza di ogni genere. A farla da padrona è la plastica, presente nel 100% dei casi; segue il vetro, ma anche carta e rifiuti vari. In alcuni casi si tratta davvero di discariche a cielo: pneumatici, rifiuti ingombranti e addirittura cartucce di fucile. C’è da stupirsi? Probabilmente no, se si considera che nel suo viaggio Legambiente ha raccolto di tutto: assorbenti, blister, salviette ma, soprattutto, cotton fioc (in 46 spiagge monitorate ne sono stati trovati quasi 7mila).

Spostiamoci ora nel Lazio. Qui, denuncia l’associazione, «non c’è alcun segno di miglioramento, anzi le cose peggiorano di anno in anno». A guidare la poco lusinghiera classifica ci sono la foce del Fosso Grande ad Ardea e la foce del fiume Marta a Tarquinia che per l’ottavo anno consecutivo risultano «fortemente inquinati». A seguire (settimo anno consecutivo) la foce del rio Santacroce di Gianola (a Formia), la Foce fiume Tevere a Ostia (sesto anno). E Roma e provincia? Allarme rossissimo: «quasi ogni fiume o rivolo scarica materiali fecali». Senza dimenticare il pericolo di un allevamento di «cozze nucleari» a Minturno a causa di un progetto, già presentato alla Regione, che potrebbe avere, a detta di Legambiente, effetti devastanti sulla biodiversità e sulla stessa salute umana. In Calabria va meglio? Niente affatto: soltanto in sette punti rispetto ai 24 monitorati, i tecnici di Legambiente non hanno trovato rifiuti. Hanno invece riscontrato un po’ dappertutto un mare pesantemente inquinato tanto che, paradossalmente, i calabresi sono “costretti” a ringraziare il lungo periodo di siccità che ha ridotto l’apporto idrico, e di conseguenza l’immissione a mare, di molti degli storici punti critici presenti lungo le coste.

Non che il Centro e il Nord siano immuni da rifiuti e mare inquinato. In Liguria anche mete turistiche come Pietra Ligure risultano inquinate, mentre in Toscana i tecnici hanno raccolto una mole a dir poco spaventosa di grumi di materiale schiumoso lungo le spiagge: 350 kg.

RITARDI CON L’EUROPA

Il problema, come spesso accade, finisce con l’essere non solo (e soprattutto) ambientale e salutare. Ma anche economico. Il motivo è presto detto. Nonostante siano passati 11 anni dalle scadenze previste dalla direttiva europea sulla depurazione e 26 dalla sua approvazione, l’Italia è ancora in spaventoso ritardo. Al 2014 in Italia solo il 41% del carico generato subisce un trattamento conforme alla direttiva, rispetto ad una media europea del 69%: su 28 paesi l’Italia è al 23esimo posto. Gli scarichi relativi a 577mila abitanti non subiscono alcun trattamento depurativo. La conseguenza di tutto questo? Due condanne Ue già comminate e una terza procedura d’infrazione, per un totale di 866 agglomerati coinvolti, di cui il 60% in sole tre regioni: Sicilia, Calabria e Campania. Ed ecco il conto: a causa delle condanne e dei ritardi che si continuano a registrare ancora oggi, la sanzione, scattata da inizio 2017, prevede una multa una tantum da 62,7 milioni di euro, cui si aggiungono 347mila euro per ogni giorno sino a che non saranno sanate le irregolarità. Che, pare, di questo passo resisteranno ancora a lungo.

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