Le metafore si sprecano già. Milano non potrà mai essere Venezia, certo. Ma se si ispirasse ad Amsterdam non stupirebbe invece nessuno. Il progetto della riapertura della rete dei Navigli sembra infatti diventare qualcosa di concreto, dopo che il sindaco Giuseppe Sala ha annunciato i risultati dello studio che aveva affidato a un comitato scientifico, nominato non appena insediato lo scorso anno. Secondo il sindaco, una riapertura parziale delle antiche vie d’acqua in città sarà possibile entro il 2022. Sono circa due chilometri di canali, attualmente interrati. I tratti sono quelli che corrono sotto via Melchiorre Gioia, a Brera dove c’è la conca dell’Incoronata, in via Sforza dietro al Policlinico e, infine, quello vicino a piazza Vetra.
Un passo alla volta, è l’idea di Sala, deciso a sfruttare per questi primi lavori i cantieri della nuova metropolitana 4. Costo preventivato, 150 milioni. Il sogno è quello di arrivare, poi, a riaprire tutti i Navigli milanesi. Un lavoro ben più corposo, perché si tratterebbe di ripristinare quasi otto chilometri di canali, collegando quelli esistenti e riaprendo percorsi ormai sconosciuti ai più. Il conto, alla fine, sarebbe di circa 500 milioni. Ma le cifre non possono spiegare tutto. Riportare alla luce tutti i Navigli sarebbe infatti una vera rivoluzione (o contro-rivoluzione) per la città di Milano. Ne cambierebbe il volto, aggiungendosi a quello dei grattacieli che l’hanno già trasformata agli inizi del nuovo millennio. E non è solo Sala a credere nel progetto. Gran parte della politica cittadina è schierata a favore della riapertura delle vie d’acqua, a partire dal segretario della Lega, Matteo Salvini, non certo un amico del sindaco di centrosinistra.
Riportare alla luce tutti i Navigli sarebbe infatti una vera rivoluzione (o contro-rivoluzione) per la città di Milano. Ne cambierebbe il volto, aggiungendosi a quello dei grattacieli che l’hanno già trasformata agli inizi del nuovo millennio
L’idea di una Milano navigabile suscita grande fascino. Non solo per la metafora (eccessiva) di Amsterdam. Ma anche perché può riportare in vita un pezzo di storia (non solo locale) sotterrato dall’avvento della modernità, che ha dilatato i confini della città, l’ha saturata di asfalto e ha sacrificato la tradizione al mito dell’efficienza. Quando si parla di Navigli bisogna pensare, infatti, a un’opera dell’ingegno umano che affonda la sua esistenza nel Medioevo. I Navigli sono cinque. Quello Grande è stato progettato nel 1177, misura 49,9 chilometri ed è navigabile dal 1272: è da lì che scendevano, da Candoglia, i marmi del Duomo. Poi c’è il Naviglio Pavese, che si incrocia col primo alla Darsena: è stato aperto nel 1819 ed è lungo 33,1 chilometri. A nord di Milano arrivano invece il Naviglio della Martesana: completato nel 1496, è lungo 38 chilometri. Gli ultimi due canali sono i più piccoli: quello di Bereguardo e quello di Paderno d’Adda, progettato quest’ultimo addirittura da Leonardo da Vinci.
Quando la rete dei Navigli era funzionante, Milano era un porto nel mezzo della grande pianura. Sopperiva all’assenza di un grande fiume con lo sfruttamento di questa serie di canali artificiali che dava alimento alle campagne, muoveva merci e uomini. I Navigli sono stati in gran parte interrati nel 1929. Questione, come detto, di cambiamento dei tempi. Ma anche di igiene e sicurezza. Chi è deciso a osteggiare il progetto di riapertura fa leva proprio su questo: il rischio di gettare la città di Milano nel caos.
@ilbrontolo