In Parlamento cala il sipario sulla legalizzazione della cannabis

Il provvedimento arriva all’esame dell’Aula. Resta l’aspetto relativo all’uso terapeutico, ma è stata stralciata la parte relativa alla legalizzazione. Il tentativo di un accordo trasversale fallisce, il dibattito nel Paese resta senza risposta. «Per evitare divisioni, si è preferito non discutere»

La legge sulla legalizzazione della cannabis va in fumo, letteralmente. Dopo un’attesa di oltre due anni, domani la discussa riforma approda nell’aula di Montecitorio. Ma il testo che i deputati si troveranno davanti è molto diverso dalla proposta originaria. Durante il passaggio in commissione è stata accantonata la parte relativa alla legalizzazione, ed è sopravvissuto solo l’aspetto relativo all’uso terapeutico. Addio dunque al progetto su cui si era saldato un ampio fronte trasversale formato da oltre 220 parlamentari di tutti gli schieramenti. E tanti saluti alla legge popolare promossa dall’associazione Luca Coscioni e sottoscritta da circa 67mila cittadini. Dopo tanta attesa, la sfida è persa. L’avvicinarsi del termine della legislatura – e della prossima campagna elettorale – ha spinto i partiti a evitare un confronto su un tema evidentemente delicato. «Visto che la discussione era difficile e molte forze politiche avrebbero finito per dividersi – spiega il sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova, animatore dell’intergruppo parlamentare Cannabis Legale – per evitare le divisioni si è abolita la discussione». Un esito paradossale. Intanto in Aula arriva un provvedimento parziale, largamente ridotto. «Un testo sfigurato – insiste Della Vedova – da cui è stato interamente stralciato il contenuto principale». Fino all’ultimo, nelle commissioni Affari sociali e Giustizia si è provato a reintrodurre le misure originarie. Non c’è stato nulla da fare. Ieri gli emendamenti sono stati tutti respinti. E così il relatore Daniele Farina, esponente di Sinistra Italiana, ha preferito dimettersi. «È stata bocciata una regolazione dello Stato diversa dall’attuale monopolio delle organizzazioni criminali. Bocciata persino la liceità della coltivazione personale, anche solo per l’uso terapeutico». Meglio farsi da parte. «Da sempre sono un convinto sostenitore della legalizzazione della cannabis e dei suoi derivati come argine al monopolio criminale» si sfoga il parlamentare su Facebook. «Purtroppo il testo che andrà in Aula sulla cannabis non risponde alle richieste e alle aspettative su questo tema».

«Rifiutarsi di affrontare il tema della legalizzazione della cannabis, come di fatto ha scelto il Pd – spiega Benedetto Della Vedova – significa assumere una posizione a favore dello status quo proibizionista». Un errore politico, secondo l’ex esponente radicale, che finisce per lasciare le ragioni antiproibizioniste ai Cinque Stelle e alla Sinistra

A prescindere da come la si pensi in materia, il provvedimento finisce per mancare completamente il dibattito in corso da tempo anche in Italia. «È un testo molto distante dalla discussione pubblica di questi anni nel nostro Paese e dalle esperienze concrete ormai diffuse in diversi Stati del mondo». Mentre buona parte del centrodestra esulta per la vittoria, c’è chi punta il dito contro il Partito democratico. «Rifiutarsi di affrontare il tema della legalizzazione della cannabis, come di fatto ha scelto il Pd – insiste Della Vedova – significa assumere una posizione a favore dello status quo proibizionista». Un errore politico, secondo l’ex esponente radicale, che finisce per lasciare le ragioni antiproibizioniste ai Cinque Stelle e alla Sinistra. È il vicepresidente della Camera Roberto Giachetti, esponente del Partito democratico, ad ammettere la sconfitta. «Rimango convinto che il testo originario fosse equilibrato, giusto e necessario», ha commentato a caldo lui che del provvedimento è il primo firmatario. «Ho fatto una battaglia nel partito e nel gruppo per evitare che si commettesse l’errore di affievolire il valore di quella proposta di legge. Non ci sono riuscito, nel gruppo è prevalsa un’altra linea». Anche nel centrosinistra non mancano le voci in disaccordo. La capogruppo del Psi Pia Locatelli non nasconde la «grande delusione». A sentire lei il Parlamento ha gettato al vento il grande lavoro trasversale svolto durante la legislatura, perdendo un’occasione.

Dopo tanta attesa, la sfida è persa. L’avvicinarsi del termine della legislatura – e della prossima campagna elettorale – ha spinto i partiti a evitare un confronto su un tema evidentemente delicato. «Visto che la discussione era difficile e molte forze politiche avrebbero finito per dividersi – spiega Benedetto Della Vedova – per evitare le divisioni si è abolita la discussione»

Intanto i Cinque Stelle attaccano. Il testo che arriva in Aula, spiegano, è il risultato di un compromesso al ribasso. «Sono rimasti completamente esclusi l’autoproduzione – anche a fini terapeutici – i cannabis social club su modello spagnolo e il monopolio di Stato». Il risultato? Si finisce per fare un enorme favore alla criminalità organizzata, spiegano, lasciando in piedi un mercato illegale stimato in oltre 7 miliardi di euro l’anno. Si arrendono anche i Radicali, che hanno sempre combattuto questa battaglia in prima linea. Dentro e fuori dal Parlamento. La bocciatura degli emendamenti in commissione «è solo l’ultima prevedibile impresa di un Parlamento prigioniero dell’ideologia proibizionista» commenta in serata Riccardo Magi. Il segretario di Radicali Italiani parla di una scelta ipocrita. «Di fronte all’ennesima occasione persa, avranno tirato un respiro di sollievo le mafie che controllano il mercato illegale, visto che in Italia si continuerà a consumare solo la cannabis venduta dagli spacciatori. Mentre chi proverà a coltivare anche soltanto una piantina in casa propria, per consumare una sostanza sicura senza entrare in contatto con la criminalità, continuerà a rischiare fino a 6 anni di reclusione». Terminato l’esame degli emendamenti, oggi le commissioni conferiranno il mandato a riferire in Aula ai relatori, Margherita Miotto e Alfredo Bazoli. Domattina è previsto l’approdo del provvedimento nell’emiciclo di Montecitorio. Il destino della riforma è evidentemente segnato. Anche se i deputati dovranno comunque votare sugli emendamenti che chiedono di riprodurre integralmente il testo originario. «Quindi – scrive Della Vedova – ci sarà almeno un elemento di chiarezza sulle scelte di tutti i partiti e dei singoli parlamentari».

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