Le copertine dei libri italiani sono un pugno nell’occhio

Ormai dal di fuori i libri sembrano tutti uguali. I grafici editoriali giocano con la fotocamera dell’Iphone: fra luci e ombre e colorazioni kitsch. E c'è sempre una donna di spalle

GABRIEL BOUYS / AFP

“Don’t judge a book by its cover”, dicono gli inglesi, che in italiano si dice “L’abito non fa il monaco”. Ma qui non si può più giudicare niente, perché ormai dal di fuori i libri sembrano tutti uguali.

Il colore, il colore! Lasciamo stare un momento gli Adelphi e gli Einaudi bianchi, gli uni fanno del ventaglio di tonalità la loro bandiera, gli altri – siccome appunto il bianco sporca – li vendono incellofanati sottovuoto come i tranci di salame.

No, qui parliamo di una combinazione tra effetto fluo e psichedelia da album dei Pink Floyd fine Sessanta, sembra di vedere quelle foto su Instagram dove uno spinge fino in fondo l’effetto Saturazione, trasformando la scogliera di Lavagna nella barriera corallina, però fuori fuoco.

In compenso poi c’è la questione delle ombre; quando i grafici editoriali giocano con la fotocamera dell’Iphone, si appassionano alle possibilità estreme di Esposizione, Contrasto e Punto Luce.

Se da qualche parte mettono del buio (e lo mettono) potete star sicuro che è un buio pesto, uno sfondamento dell’immagine che neanche i tagli di Fontana.

Queste copertine sono piene di sipari e di porte e finestre mezze aperte, di cornici verso un’Altra dimensione, forse a suggerire una interpretazione metafisica del testo, tantopiù che l’ombra e la luce sono dappertutto anche nei titoli: La luce alla finestra, di Lucinda Riley (Giunti), Ombre (AA.VV. americani di noir, Einaudi Stile Libero), Lo stupore di una notte di luce, di Clara Sanchez (Garzanti), Dall’ombra di Juan José Millàs (Einaudi), per non parlare della notte in sé, come in La notte ha la mia voce di Alessandra Sarchi (Einaudi Stile Libero), e Ultima notte a Lisbona di Giovanni Valentini (Sem).

Fra queste luci e ombre e colorazioni kitsch si pone la figura umana. Questi grafici sono maleducati, perché te la mettono sempre di spalle, a parte il fatto che è quasi sempre una donna. Si vede che il maschio in copertina non tira, nonostante il fatto che oltre l’80 per cento dei lettori siano in realtà lettrici.

Fra queste luci e ombre e colorazioni kitsch si pone la figura umana. Questi grafici sono maleducati, perché te la mettono sempre di spalle, a parte il fatto che è quasi sempre una donna.

Si vede che il maschio in copertina non tira, nonostante il fatto che oltre l’80 per cento dei lettori siano in realtà lettrici. E comunque uno si chiede: ma queste dove guardano?

In Veracruz di Olivier Rolin (La Nave di Teseo) la tipa guarda direttamente fuori dallo spiraglio di una veneziana; La ragazza italiana, di Lucinda Riley (Giunti) guarda verso un teatro vuoto (oltre al sipario, ça va sans dire); la giovinetta vaporosa di Una finestra sul mare, di Corina Bomann (Giunti) è sull’orlo di una scogliera e guarda verso un faro (la luce, la luce!); nel già citato La luce alla finestra abbiamo un esempio di contorsionismo da circo Barnum, con l’ennesima pulzella che, dietro l’ennesima finestra, si svita la testa all’indietro come la bambina dell’Esorcista. Ne L’incontro, di Bodo Kirchhoff (Neri Pozza) le chiome sono alla guida di una spider, mentre in Britt-Marie è stata qui, di Fredrik Backman (Mondadori) c’è una specie di governante che si rivolge all’orizzonte di un immenso prato verde sovrastato da un cielo di un verde lisergico. Ne La donna di Einstein, di Marie Benedict (Piemme) la signorina, in lungo (ah, già… sono tutte in lungo) guarda verso un presunto Einstein sfocato.

La più geniale è però la metacopertina di La tua seconda vita comincia quando capisci di averne una sola, di Raphaëlle Giordano, dove la ragazza, ovviamente di nuca e in lungo, si dipinge da sola la copertina di azzurro con un pennellone.

Considerato che l’effetto finale è di totale omogeneità, di assoluto conformismo estetico, di integrale compattezza iconica, vien quasi nostalgia di quegli “antichi, nobili, epitaffi” a cui Manganelli paragonava una certa collana Einaudi (la “Ricerca letteraria italiana”) su cui gli pareva che si fosse “steso il muschio pio del tempo”.

Tutto questo adesso che l’estate sta finendo e loro, i libri tutti uguali, giacciono in attesa di ingiallire e cadere per sempre.