Il Parlamento torna al lavoro, si ricomincia da dove ci eravamo lasciati. La lista dei provvedimenti in attesa è lunga e piuttosto corposa. Insieme alla legge di bilancio ci sono da votare un nuovo sistema elettorale e le norme sulla cittadinanza, senza dimenticare temi tutt’altro che irrilevanti come la riforma dei vitalizi, il biotestamento e la legalizzazione della cannabis. Tutti nodi lasciati irrisolti ben prima delle vacanze estive, che aspettano da tempo una soluzione. La classe politica sarà in grado di scioglierli? Le premesse non sembrano confortanti, visto il poco tempo a disposizione prima delle elezioni.
Per ora si naviga a vista. Al Senato sembra che non ci siano i numeri per approvare lo ius soli. A Montecitorio, invece, manca ancora un’intesa sulla legge elettorale. Sui vitalizi il mistero si infittisce ulteriormente, dato che a Palazzo Madama molti parlamentari sembrano voler anteporre la propria coscienza alle indicazioni di partito. Di cannabis e biotestamento – nonostante gli argomenti siano di concreta ed evidente ricaduta sugli italiani – si sono in parte perse le tracce. Tanto che se il Parlamento arrivasse a una decisione su uno di questi provvedimenti non sarebbe sbagliato gridare al miracolo. Una decisione, una qualsiasi. È questo il punto. Finora si è preferito rimandare a oltranza, posticipare fino allo sfinimento. Da una classe politica di qualità ci aspetta esattamente il contrario. Si può discutere delle decisioni assunte, ma non dei continui rimandi. Si vuole votare con un sistema maggioritario? Si preferisce il proporzionale? Mattarellum, Legalicum, con o senza coalizioni… Va bene tutto, purché ci si assuma le proprie responsabilità. Tergiversare ulteriormente sarebbe deleterio. È così anche per lo ius soli. I bambini nati nel nostro Paese da genitori stranieri saranno italiani o no? Comunque si decida, andrà bene. Del resto il Parlamento è sovrano. Ma almeno si decida. Si mettano da parte tatticismi e ambiguità e si voti. Sarebbe il migliore spot nei confronti dell’antipolitica.
La politica, si sa, è l’arte della mediazione. Ma quando diventa immobilità, si chiama palude.
Se non si riescono a risolvere i problemi, almeno si affrontino. E invece finora gli italiani hanno assistito a un inutile balletto. Basti pensare che la riforma della cittadinanza è stata approvata alla Camera esattamente due anni fa. Da allora attende al Senato. Sono passati ventiquattro mesi, e tra i partiti c’è ancora qualcuno che chiede un po’ di tempo per una riflessione più approfondita… Il dibattito sul biotestamento va avanti da anni. Ogni volta che un caso di cronaca conquista l’attenzione del Paese la politica se ne ricorda, poi l’argomento esce regolarmente dai radar. Peggio ancora per la legalizzazione della cannabis. Se ne parla dall’inizio della legislatura, a favore del provvedimento si è raccolto il più numeroso intergruppo che le cronache parlamentari ricordino (oltre duecento tra deputati e senatori). Eppure la proposta di legge è stata discussa nell’aula di Montecitorio solo un giorno, la scorsa estate. Poi è tornata in commissione.
Il copione si ripete sempre uguale. Più le decisioni sono scomode, più si preferisce rimandare. Una tattica di attendismo a oltranza con il chiaro obiettivo di non perdere voti. Le scelte controverse non pagano, in termini di consenso. Meglio posticipare lasciando ogni decisione ai prossimi parlamentari. Pesanti eredità che ritroveremo irrisolte all’inizio della prossima legislatura, retaggio delle incapacità di chi c’era prima. Ecco perché la campagna elettorale che incombe lascia davvero poco spazio all’ottimismo.
Il Parlamento torna al lavoro, la lista dei provvedimenti in attesa è lunga e piuttosto corposa. Dalla legge elettorale alle norme sulla cittadinanza, senza dimenticare la riforma dei vitalizi, la legalizzazione della cannabis, il biotestamento…Tutti nodi lasciati irrisolti ben prima delle vacanze estive. La classe politica sarà in grado di scioglierli? Le premesse non sembrano confortanti
Il tempo a disposizione è sempre meno. Davanti alla situazione di stallo si dice che presidente della Repubblica ormai sarebbe pronto a sciogliere le Camere entro la fine dell’anno. Dopo l’approvazione della legge di bilancio, in tempo per andare al voto entro marzo. Il rischio è enorme. In assenza di una norma, oggi gli italiani rischiano di andare alle elezioni con due sistemi nati da altrettante sentenze della Corte costituzionale. Due modelli differenti, che potrebbero tranquillamente consegnare diverse maggioranze nei due rami del Parlamento. Non è un caso se fin da tempi non sospetti il Quirinale ha dovuto alzare la voce per chiederne quantomeno un’armonizzazione. Niente da fare. Bloccati da tatticismi e interessi personali, finora i maggiori partiti non sono stati in grado di trovare un’intesa. Nemmeno di massima. L’ultimo tentativo risale a tre mesi fa, quando l’accordo tra Pd, Lega, Forza Italia e Cinque stelle naufragò clamorosamente alla Camera durante il primo voto segreto. Adesso il confronto torna in commissione. La prossima settimana un nuovo testo dovrebbe approdare, ancora una volta, in Aula. Le speranze di una convergenza? Poche, pochissime. La politica, si sa, è l’arte della mediazione. Ma quando diventa immobilità, si chiama palude.