Da almeno sedici mesi una delle quattro libertà fondamentali dell’Unione europea non esiste più. Germania, Austria, Danimarca, Norvegia e Svezia dal maggio del 2016 hanno ripristinato i controlli alle frontiere per gestire il flusso dei migranti e prevenire le minacce terroristiche. La Francia ha fatto lo stesso dal novembre del 2015 dopo l’attentato alla sede parigina di Charlie Hebdo. Lo spazio Schengen, una serie di accordi nato nel 1985 per dare la libertà ai cittadini Ue di circolare senza controlli, non vale più per almeno cinque stati sui 22 dell’Unione che aderiscono (26 in tutto).
Cinque Stati sono pochi, si dirà, ma parliamo di 168 milioni di persone, il 31% degli abitanti Ue. Senza contare tutti i cittadini europei che lavorano, visitano, passano per questi Paesi. Ogni anno ci sono quasi 1,25 miliardi di viaggi nello spazio Schengen, considerata fino a oggi una delle più importanti conquiste dell’Unione e un processo irreversibile.
Irreversibile solo a parole. Finora l’articolo 27 del codice Schengen ha permesso ai sei Stati di rinnovare la sospensione ogni sei mesi fino a due anni. Questi Paesi hanno sfruttato anche l’ultimo rinnovo lo scorso maggio. Dall’11 novembre dovrebbero sparire i controlli alle frontiere. Ma gli Stati coinvolti non sono disposti ancora a rinunciare al privilegio ottenuto e per questo hanno fatto pressione sulla Commissione per aggiornare il codice Schengen.
Il commissario europeo all’immigrazione Dimitris Avramopoulos ha proposto di modificare gli articoli 25 e 27 ed estendere dagli attuali sei mesi a un anno la possibilità di controlli alle frontiere interne. Non solo, gli Stati potranno “sospendere” Schengen per altri due anni in via straordinaria. Per farlo, avranno bisogno del via libera del Consiglio, l’organo europeo che riunisce i ministri dei 28 Paesi membri su raccomandazione della Commissione. Insomma, per altri tre anni i cittadini europei dovranno mostrare la loro carta d’identità nei bus, treni e auto ogni volta che arriveranno al confine di uno di questi sei Paesi.
Chiudere le frontiere in cambio della riforma della convenzione di Dublino, il trattato europeo sul diritto d’asilo che dal 2013 obbliga gli Stati il regolamento dove sbarcano i migranti a trattenerli in attesa di esaminare le domande di protezione internazionale. Un do ut des che farebbe comodo al governo italiano.
In cambio la Commissione inserirà nel nuovo articolo garanzie procedurali più rigorose, come l’obbligo per gli Stati membri di valutare misure alternative più efficaci e di motivare una presentazione dettagliata del rischio. La Commissione europea difende la scelta come un “preservare e rafforzare lo spazio Schengen”. In realtà è un addio (speriamo temporaneo) a uno dei pilastri dell’Unione.
Nessuno mette in dubbio la minaccia terroristica, ma l’afflusso di migranti è un problema che sta scemando sempre di più. Le rotte per la Turchia, e i Balcani sono state chiuse da più di un anno, gli sbarchi diminuiscono. Lo conferma anche il commissario Avrampopulos che ha detto: «I controlli legati all’arrivo dei migranti nei Balcani devono finire a novembre». Quindi se gli Stati vorranno prolungare il controllo alle frontiere dovranno “usare” un’altra motivazione.
E dire che ci sarebbero Stati volenterosi di entrare nello spazio Schengen. Da anni Bulgaria e Romania sarebbero pronti a entrare, e Juncker ha promesso di aiutarli nel discorso sullo stato dell’Unione, ma molti Paesi si oppongono. Uno su tutti l’Olanda che impedisce a Bucarest di entrare dal 2011.
Chiudere le frontiere in cambio della riforma della convenzione di Dublino, il trattato europeo sul diritto d’asilo che dal 2013 obbliga gli Stati il regolamento dove sbarcano i migranti a trattenerli in attesa di esaminare le domande di protezione internazionale. Un “do ut des” che farebbe comodo al governo italiano.
L’idea è stata proposta dal presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, durante il vertice intergovernativo tra Italia e Grecia, i due Paesi che soffrono di più l’emergenza migranti: «La discussione su Schengen è un’ottima occasione per mettere sul tavolo la modifica dei regolamenti di Dublino. Modificarne uno per lasciarne invariato l’altro sarebbe andare nella direzione opposta che noi auspichiamo: lasciare il peso solo ai paesi di primo arrivo». Tradotto: pur di risolvere la situazione dei migranti, siamo disposti a perdere una delle quattro libertà fondamentali della nostra Unione. Almeno per un po’.