Come si arriva da Ginosa di Puglia, 22mila anime affacciate sul mar Ionio, sul confine tra Puglia e Basilicata, a vendere le proprie camicie artigianali e su misura al primo ministro del Giappone, al principe William e a Donald Trump? Come si può sopravvivere a una strada che crolla e che non permette, a distanza di anni, di accedere alla sede dell’azienda? E come si può fare di uno dei mestieri più tradizionali che c’è un’avanguardia della manifattura digitale?
Chiedetelo ad Angelo Inglese, terza generazione di una dinastia di sarti di Ginosa di Puglia, nipote di una bottega che nasce negli anni ’50 per iniziativa della nonna e che grazie al padre e agli zii diventa camiceria da uomo. Chiedetegli anche solo come ha fatto a sopravvivere agli anni ’70 e ’80, all’avvento della confezione industriale, ai prezzi bassi e alla produzione in serie, agli apprendisti che lasciano la bottega per fare gli operai, al fatturato che si assottiglia ogni giorno che passa, alla tentazione di mollare la produzione sartoriale e su misura per concentrarsi esclusivamente sul confezionato di vendita, l’unica cosa che sembra garantire la sopravvivenza. Chiedetegli come ha fatto a resistere.
«A metà anni ’90 perdo mio padre – racconta -. Io, mio zio e i miei cugini abbiamo tirato a campare per due o tre anni. Poi abbiamo preso la decisione, saggia e coraggiosa assieme, di ripartire dalle origini. E di portarlo fuori, dalla Puglia, dall’Italia, dall’Europa». Studiano la materia, gli Inglese, e le lavorazioni del territorio: «Il ricamo, l’uso del metodo uncinetto, i passaggi a mano che faceva mia nonna, i materiali locali – spiega Inglese -. È un prodotto che ha un sapore e un profumo diverso. Ogni capo parte con un profumo spontaneo dal profumo delle piante spontanee delle nostre gravine. Cerchiamo di accompagnare il prodotto con la bellezza e con le emozioni locali».
Scelgono il Giappone, gli Inglese, «un mercato perfetto per il nostro prodotto» e subito trovano il testimonial perfetto per il loro prodotto: si tratta del premier nipponico Yukio Hatoyama, che comincia a indossare le loro camicie e comincia ad accendere l’interesse attorno a questi piccoli artigiani pugliesi: «In realtà questa improvvisa celebrità rischia subito di trasformarsi in un clamoroso boomerang – interviene Inglese -. Un bel giorno Hatoyama si presenta a una conferenza stampa con una camicia strana, che non avevamo disegnato noi (evita di dire, Inglese, che si trattava di una camicia particolarmente brutta. Lo diciamo noi, ndr) e la stampa lo massacra. E massacra noi, convinta fossimo gli autori di quella camicia». L’incidente poteva travolgere gli Inglese, che invece sfruttano l’occasione per finire sui giornali a raccontare le caratteristiche delle loro camicie.
Da lì al principe William il passo è più breve di quel che sembra: «Ci siamo arrivati attraverso persone molto care che sono venute in vacanza qui in Puglia e che hanno provato le nostre camicie, innamorandosi di loro. E poi c’è arrivata la commessa del matrimonio di William. La stessa cosa è successa con Trump». Nessun trattamento di favore, intendiamoci: al principe e al presidente tocca lo stesso lavoro che Inglese fa sui 10mila capi che lavora ogni anno. Tre prove, 30 ore di lavoro, 25 passaggi produttivi: «Il nostro prodotto è standard, per noi anche l’altissima qualità è un fatto normale», spiega.
Nessun trattamento di favore, intendiamoci: al principe William e al presidente Trump tocca lo stesso lavoro che Inglese fa sui 10mila capi che lavora ogni anno. Tre prove, 30 ore di lavoro, 25 passaggi produttivi: «Il nostro prodotto è standard, per noi anche l’altissima qualità è un fatto normale», spiega
L’occhio del ciclone diventa un favoloso riflettore, insomma. La minaccia, opportunità e le celebrità di mezzo mondo fanno la fila per vestirsi con le camicie di Inglese ed è stato quello il momento in cui gli Inglese decidono di fare una sede-showroom a Ginosa, per raccontare le loro camicie nel luogo in cui venivano prodotte, per legare ancora di più lo storytelling del prodotto a quello del territorio: «Comprammo un palazzo storico a Ginosa, nel centro storico del Paese, abbandonato da molti anni. 3500 metri di struttura, con una storia che parte dall’età della pietra. È lì che accoglievamo tutti quelli che volevano venire a visitarci».
Non fa in tempo a funzionare davvero, questa strategia. Nel 2013 un violento acquazzone fa smottare il terreno e crollare la strada. Da un giorno con l’altro gli Inglese e i loro clienti non possono più accede al loro palazzo. I lavori vanno per le lunghe, sedi alternative non vengono mai concesse, nonostante a Ginosa non ci sia niente come Inglese. Arrendersi? Scoraggiarsi? Non scherziamo: «Ci siamo rimessi in gioco, abbiamo cominciato a girare il mondo, abbiamo ripreso a portare il prodotto in giro per il mondo e maturato l’idea di arrivare dall’altra parte del mondo attraverso il digitale», spiega Inglese.
Da qui ci è venuta l’idea di sposare Botteghe Digitali di Banca Ifis Impresa, il progetto di accelerazione degli artigiani che credono che davvero ci sia spazio per la customizzazione di massa, attraverso l’adozione delle tecnologie più innovative: «L’idea, molto ambiziosa, è quella di far conoscere i nostri sistemi di lavorazione in tutto il mondo attraverso un sistema di teleconferenza – spiega, senza scendere troppo nei dettagli – Voglio che un cliente di New York possa rivivere l’esperienza di farsi fare una camicia a Ginosa direttamente da casa sua». Chiedeteglio, ad Angelo Inglese. Probabilmente vi dirà che il segreto è non prendere mai in considerazione, nemmeno per un secondo, la possibilità di arrendersi, di farsi travolgere dalle difficoltà, o dalla modernità. Forse, davvero, il segreto sta tutto qua.
Botteghe digitali è il progetto di Banca Ifis dedicato al made in Italy 4.0