Un nuovo nazionalismo localista, una rinascita dell’orgoglio per le piccole patrie come reazione alla globalizzazione? O una ribellione contro le inefficienze dello Stato centrale e la distanza delle “caste” che lo governano, dimentiche delle regioni più lontane? In base a come la si pensa si può leggere in vari modi quello che sta accadendo tra Milano e Venezia, (e qualcuno aggiunge, pur con le dovute enormi differenze, Barcellona), ma in realtà c’è un elemento alla base che è l’inizio e probabilmente la fine della storia, ed è l’enorme disuguaglianza economica che caratterizza il nostro Paese da sempre. Anche nella campagna per i referendum per l’autonomia in Veneto e Lombardia (piuttosto asfittica a dire il vero) se ne è parlato poco, dandola come un dato di fatto, come la nebbia in Val Padana o la ‘ndrangheta in Calabria.
Eppure è quello il punto centrale. Ai tempi in cui il Veneto era tra le regioni più povere d’Italia, base di partenza di emigranti, con le fabbriche e i capannoni ancora là da venire, e la DC centralista oltre il 50%, il sentimento indipendentista e la nostalgia per il Leone di San Marco non erano così forti. E’ nato, come in Lombardia, con la crescita economica e l’approfondirsi della già presente distanza dal Mezzogiorno. E’ qui infatti, nel Mezzogiorno, e non a Milano e Venezia, che sta il centro del problema autonomista italiano, è nell’enorme differenza in produttività tra il centro-Nord ed il Sud. 61.100 euro di prodotto per occupato nel primo caso, 47.400 nel secondo nel 2015, con un peggioramento percentuale negli anni della crisi che ha colpito maggiormente il Mezzogiorno, principalmente a causa del crollo della produttività nell’industria, un settore in cui invece al Centro-Nord vi sono stati miglioramenti.
E come potrebbe essere diversamente se in tutti i settori gli addetti medi per azienda al Sud sono decisamente meno di quelli, già pochi, del Centro-Nord? Nell’industria sono la metà, e la situazione è peggiorata con la crisi se anche nell’unico ambito in cui il Mezzogiorno superava il Centro-Nord, quello delle costruzioni, ora è rimasto indietro.
Le aziende del Sud esportano meno, e soprattutto lo fanno aziende più piccole, con minori benefici. Anche considerando solo quelle con più di 20 dipendenti, lasciando fuori quindi tutte le innumerevoli micro-imprese, il 23,2% nel Mezzogiorno non esporta, contro il 2,6% al Nordovest. Anche quando lo fanno in realtà le vendite all’estero rappresentano una parte più piccola del fatturato delle aziende, al Sud. Per il 71% meno di un terzo. Questa proporzione è solo il 45,7% al Centro-Nord
E nonostante siano di meno le aziende meridionali che esportano hanno in media solo 108 dipendenti, contro i 426 di quelle del Nordovest. E’ naturale che anche la produttività, intesa come fatturato per dipendente, sia inferiore. Anche per chi esporta è di 289 mila euro per addetto al Sud, contro i 324 mila euro di media nazionale. Per dare un’idea è minore anche di quella delle imprese del Nordovest che non esportano, che è di 303 mila euro per lavoratore
Questo problema è annoso chiaramente, dall’Unità d’Italia a oggi la produttività delle regioni del Sud e delle Isole è sempre stata inferiore a quella media italiana, ma è dal Dopoguerra che il Veneto ha superato le regioni meridionali come la Campania e la Sicilia, pur rimanendo distante dalla Lombardia.
Qualcuno potrebbe osservare che la distanza in particolare tra Campania, Sicilia e Veneto non è così ampia, ma attenzione, la produttività del Sud non è a livelli ancora più bassi solo grazie al fatto che gli occupati sono molto pochi, e sempre meno se paragonati con la media italiana. Se dagli anni ‘30 in poi in Veneto, anche con il passaggio all’economia industriale, l’occupazione per abitante è sempre cresciuta rispetto alla media nazionle, al contrario al Sud è calata. Quindi il Sud riesce a essere più inefficiente anche con molti meno lavoratori.
Se considerando appunto la produttività, ma anche gli investimenti in formazione o ricerca e sviluppo, vediamo che la Commissione Europea pone le regioni meridionali a un livello inferiore di quello dell’Est Europa, alla pari con i Balcani, mentre la Lombardia è appena in media, allora la problema non è tanto del Nord quanto del Sud.
Perchè è normale che in un Paese da sempre diversificato ci siano regioni con residui fiscali positivi e negativi, quello che normale non è è che tale gap sia così ampio e prolungato, e che le regioni svantaggiate non riescano a convergere come accade altrove (es in Germania, a Est) rimanendo al di sotto anche di Paesi che hanno vissuti decenni di dittatura comunista. Allora ancora una volta, anche se siamo attirati dalle vicende del referendum di Maroni e Zaia, dovremmo pensare che a esistere e rimanere attuale non è una questione settentrionale, ma come da un secolo e mezzo, la questione meridionale.