Il millennialChi è Sebastian Kurz

Il 15 ottobre si vota in Austria e Sebastian Kurz, 31enne leader conservatore dell’Övp, è favorito nei sondaggi. Vuole il rimpatrio forzato dei migranti, meno ingerenza dell’Ue e punta a un governo con gli ultranazionalisti dell’Fpo. Un altro ostacolo al piano d’integrazione europea di Macron

HERBERT PFARRHOFER APA AFP

È un millennial. Ha 31 anni, le orecchie a sventola e tra quattro giorni potrebbe diventare il più giovane capo di governo del mondo. Il 15 ottobre si vota in Austria e Sebastian Kurz, leader del Partito popolare austriaco (Övp), è il favorito per diventare il prossimo cancelliere. Secondo gli ultimi sondaggi il 34% degli elettori voterebbe la sua lista. Dieci punti in più del Partito della libertà (Fpo) al 25% e dei socialdemocratici del Spo al 24%.

Mentre i suoi coetanei facevano l’Erasmus, Kurz a 24 anni era già sottosegretario con delega all’integrazione. A 27, quando si è ancora indecisi se girare il mondo o mettere su famiglia, Kurz ha abbandonato gli studi in Giurisprudenza ed è diventato ministro degli Esteri. Il più giovane di sempre. Viennese, figlio di un ingegnere e un’insegnante, il 31enne ha poche idee, ma chiare, e un’agenda che strizza l’occhio ai populisti. In meno di tre mesi ha svecchiato un partito indebolito da dieci anni di grande coalizione, è diventato il politico più popolare del Paese e si prepara a governare con la destra populista. Chi non lo conosce lo etichetta come “il nuovo Macron”. Invece in patria lo chiamano “Wunderwuzzi”, il mago bambino, per le sue abilità politiche unite alla giovane età.

A maggio è stato eletto leader del Partito popolare austriaco (Övp) col 98.7% dei voti. Maggioranza bulgara e un mandato chiaro: svecchiare il partito. Come prima mossa da segretario ha fatto cadere il governo di coalizione con i socialdemocratici e ha portato il Paese alle elezioni anticipate. Da quel momento ha trasformato un partito stanco e involuto, votato solo dagli anziani nelle campagne, in una lista fresca rivolta ai bisogni della classe media che avrebbe la voglia, ma non il coraggio, di votare i nazionalisti del Fpo. Per farlo ha sostituito i vecchi funzionari, ha diminuito il potere dei leader regionali e ha modificato lo statuto del partito attribuendosi più poteri. Infine ha ribattezzato l’Övp in “Liste Sebastian Kurz – die neue Volkspartei” (Lista S. K. il nuovo partito del popolo). Ha cambiato addirittura i colori ufficiali del partito: dallo storico nero è passato all’azzurro “ciano”. Così è balzato da terzo a primo nei sondaggi. In confronto, la rottamazione del Pd di Matteo Renzi è sembrata una timida scalata.

Kurz condivide con Renzi e Macron la “giovane” età e un partito plasmato su misura. Ma la sua strategia politica guarda più al populismo “giusto” di Mark Rutte. Il premier liberale olandese ha vinto le elezioni a marzo (anche se è riuscito a creare un governo di coalizione ieri dopo 208 giorni di trattative) proponendo politiche vicine a quelle dei populisti di Wilders. Un approccio più duro sulla gestione dei migranti, protezione dell’identità olandese, relazioni meno amichevoli col mondo islamico. Senza arrivare a soluzioni radicali come l’uscita dall’Ue o dall’euro, malviste dall’elettorato moderato. Insomma, populista, ma non troppo.

Kurz in tedesco vuol dire “corto” ma anche “breve” e “conciso”. Come il suo programma elettorale: pochi punti saldi con cui sta conquistando sempre più consensi: taglio delle tasse, riduzione del ruolo dello Stato, tagli ai benefici per gli stranieri, rimpatrio forzato di tutti i rifugiati, senza eccezioni

Kurz in tedesco vuol dire “corto” ma anche “breve” e “conciso”. Come il programma elettorale del leader austriaco: pochi punti saldi con cui sta conquistando sempre più consensi: taglio delle tasse da 12 miliardi di euro per creare occupazione e sostenere i redditi della classe media, riduzione del ruolo (e delle leggi) dello Stato, tagli ai benefici per gli stranieri, rimpatrio forzato di tutti i rifugiati, senza eccezioni.

Come Ministro degli Esteri dal dicembre 2013, ha dimostrato fin da subito come voler gestire la crisi dei rifugiati e proteggere i confini dell’Europa. La prima vittoria politica è stata la chiusura della rotta dei Balcani. Poi si è opposto con posizioni dure su un possibile ingresso della Turchia nell’Unione europea. E lo scorso agosto ha chiesto all’Italia di non accogliere più i migranti dal Mediterraneo e di lasciarli a Lampedusa, prima di riportarli indietro. Si ispira al modello australiano: esaminare le richieste dei migranti fuori dai confini nazionali (ed europei) per ridurre gli arrivi. E riportare chi è arrivato illegalmente nei centri di prima accoglienza di Paesi terzi. Più o meno in linea con l’azione del ministro dell’Interno italiano Marco Minniti. Ma Kurz non chiarisce come gestire il problema dei diritti violati nei centri di accoglienza, come quello in Libia. Per i migranti che non si possono mandare via, Kurz ha fatto approvare un provvedimento per obbligare i rifugiati a seguire un corso di lingua e cultura tedesca. E ha promesso in campagna elettorale di far svolgere gratuitamente dei lavori socialmente utili ai migranti: «Chiunque voglia ricevere dei sussidi ha l’obbligo di fornire un servizio». Un tema molto sentito in Austria, uno dei Paesi con la più alta spesa sociale dell’area Ocse.

Più controversa invece la legge proposta da Kurz ed entrata in vigore il 1 ottobre che vieta nei luoghi pubblici l’uso del Burqa, definito dal giovane leader:«non un simbolo religioso, ma un simbolo contro la società che ostacola l’integrazione». In campagna elettorale Kurz ha promesso anche di impedire la distribuzione del Corano da parte dei muslumani salafiti per impedire la radicalizzazione dell’islam. Un programma decisamente di destra, non solo per la gestione dei migranti ma anche dal punto di vista economico. Infatti il giorno dopo aver pubblicato il programma elettorale, Heinz Christian Strache, leader del’Fpo ha accusato Kurz di aver rubato le idee del suo partito. La vittoria del giovane leader non è scontata. Molti elettori sono ancora indecisi e aspetteranno fino all’ultimo prima di scegliere chi votare.

Anche se il partito socialdemocratico austriaco sta facendo di tutto per farlo vincere. Secondo il quotidiano austriaco Profil, Tal Silberstein, consigliere politico del cancelliere uscente, Christian Kern avrebbe creato due pagine facebook per screditare l’immagine del suo avversario per la Cancelleria. “La verita su Sebastian Kurz” (Die Wahrheit uber Sebastian Kurz) diffondeva contenuti razzisti e xenofobi, e post complottisti che accusavano Kurz di essere finanziato dal George Soros, il miliardario oggetto di una campagna antisemita in Ungheria. Mentre “Noi per Sebastian Kurz (Wir fur Sebastian Kurz) doveva sembrare una pagina affiliata al partito conservatore con sondaggi xenofobi che inneggiavano alla chiusura della frontiera del Brennero, per far sembrare Kurz un razzista. Il cancelliere Kern ha detto di aver assunto la società dello stratega israeliano Silberstein per realizzare delle analisi sugli altri partiti e gestire dei focus group e di non sapere nulla delle pagine Facebook. Ma non basterà per risalire nei sondaggi a quattro giorni dalle elezioni.

Kurz è così popolare perché gli austriaci sono stufi della grande coalizione. Negli ultimi trent’anni socialisti e conservatori hanno governato insieme per 23. e ininterrottamente dal 2007. La Grosse Koalition non è solo politica. Ormai ha invaso molti settori della società austriaca e paralizza qualsiasi tentativo di riforme, contribuendo all’ascesa dei nazionalisti. La vittoria di questo ragazzo che promette freschezza e idee chiare è quasi certa, ma non potrà governare da solo. Il sistema proporzionale austriaco, come in Germania, costringe i partiti a formare una coalizione e Kurz guarda all’Fpo.

E così dopo aver perso per la presidenza della Repubblica meno di un anno fa, l’Fpo con un nuovo leader potrebbe tornare al governo. Esatto, tornare, non andare. Conservatori e ultranazionalisti hanno già governato insieme. La prima e finora ultima volta è stata dal 2000 al 2005. Cancelliere il conservatore Wolfgang Schuessel e il nazionalista Jörg Haider, allora capo del Fpo, come alleato nei primi due anni di governo. Non era andata benissimo.

L’Austria fu isolata diplomaticamente da 14 nazioni europee, su spinta di Francia e Belgio. Una serie di sanzioni bilaterali in realtà durate meno di un anno. Molti analisti sostengono che proprio da lì siano nati i primi sentimenti euroscettici per la decisione dei 14 Stati membri, considerata un’ingerenza negli affari interni austriaci. Ora i tempi sono cambiati, l’agenda dei nazionalisti è diventata quasi mainstream. Si reputa normale e rispettoso dell’esigenze del Paese il programma xenofobo del partito che ieri ha dovuto espellere un suo consigliere locale per aver fatto il saluto nazista gridando “Heil Hitler” durante la seduta di un consiglio comunale. Gli ultranazionalisti austriaci hanno chiarito fin da subito che non si limiteranno ad appoggiare l’alleato di coalizione. Vogliono dettare l’agenda e non subirla come 15 anni fa. Ancora brucia l’esperienza di governo che fece perdere la metà dei voti nelle successive elezioni del 2002.

Il suo motto è “meno è meglio”. A marzo ha proposto di ridurre i membri della Commissione europea da 28 a 14 per risparmiare sul budget. Insomma per il leader austriaco l’Ue è troppo debole nelle questioni importanti e troppo ingombrante nei settori poco importanti.

Sarebbe stupido definire Kurz un semplice euroscettico populista. Il leader 31enne è a favore dell’euro e della permanenza nell’Unione europea. Ma il suo programma è opposto a quello di Macron. Kurz ha spiegato la sua idea di Ue allo Spiegel: «Vorrei un’Europa con una politica estera e di difesa forte che assicuri la crescita economica, non una che impone nuove regolamentazioni sugli allergeni costringendo a cambiare i menu dovunque». Per Kurz se l’Unione europea vuole sopravvivere deve cedere il potere sottratto in questi anni agli Stati membri. Nessun superministro o budget per aiutare i Paesi in difficoltà ma un intervento nelle macroquestioni. Il suo motto è “meno è meglio”. Per questo a marzo ha proposto di ridurre i membri della Commissione da 28 a 14 per risparmiare sul budget comunitario.

Kurz non sarà un euroscettico, ma non è nemmeno a favore dell’integrazione europea. Ha dichiarato che i leader di Polonia e Ungheria, isolati sempre di più dagli altri Stati membri e contrari a qualsiasi ulteriore integrazione politica o economica, hanno il diritto di dire la loro opinione sull’Ue. Senza contare che il suo probabile alleato di governo, il leader del Fpo Heinz-Christian Strache è quello che propose di annettere l’Alto Adige (per loro Südtirol) all’Austria con un referendum. In un’Europa scioccata dall’indipendentismo catalano nessuno vuole un’altra secessione, figuriamoci uno scontro tra Stati. E questo Kurz non può garantirlo.

L’Austria è piccola, ma non irrilevante. E sarà un ulteriore ostacolo alla politica d’integrazione europea di Macron, già azzoppata dalla fragile vittoria di Merkel in Germania costretta a una coalizione con i liberali, (come avevamo previsto qui). Nella seconda metà del 2018, Kurz sarà a capo del Consiglio dell’Unione europea, l’organo che riunisce in ministri dei 28 Stati membri in diversi gruppi di lavoro a seconda dei dossier da affrontare. Uno di questi è l’eurogruppo, l’unione dei ministri delle finanze dei Paesi con l’euro. I presidenti di turno non passano alla storia (neanche quello attuale, il premier estone Jüri Ratas) ma possono stabilire l’agenda politica: di cosa parlare, ma soprattutto cosa ignorare. E il piano di Macron per rinnovare l’Ue, non è sulla lista di Kurz.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter