TaccolaFollia in legge di Bilancio: si taglia sulla formazione, la vera priorità dell’Italia

Il credito di imposta sulla formazione sarà rivisto al ribasso rispetto alle prime ipotesi. Ma il rischio è che vengano azzerate o quasi anche le risorse per i competence center e il raddoppio degli Its. Il tutto mentre ad Alitalia sono arrivati altri 300 milioni di prestito ponte

GUILLAUME SOUVANT / AFP

Si è già sgonfiato l’impegno del governo a favorire l’aggiornamento delle competenze dei lavoratori italiani? Le anticipazioni riportate il 18 ottobre dal Sole 24 Ore fanno da sole rabbrividire: il credito di imposta sulla formazione, vera novità del nuovo piano Impresa 4.0, nella legge di Bilancio sarebbe in bilico. Era un intervento già limitato. Sulla base delle simulazioni della Ragioneria dello Stato, la misura (sconto fiscale del 50% fino a un tetto di spesa di un milione di euro) avrebbe pesato nel 2019 per 391 milioni, 428 milioni nel 2020 e 484 milioni nel 2021. Ora rischia di diventare una questione di briciole perché l’incentivo sarebbe almeno da ridimensionare del 40% in termini di impatto finanziario rispetto alle prime ipotesi. Il motivo è l’esigenza di rispettare i saldi di finanza pubblica e per bilanciare le varie proposte ministeriali. Un modo per dire che la questione è prioritariama va vista come una tra le tante misure intercambiabili della manovra.

Basterebbe già questo a far venire voglia di alzare le barricate, visto il ruolo sempre più centrale delle competenze nei nuovi contesti lavorativi e in particolare in quelli interessati dalla Quarta rivoluzione industriale. Ma il rischio è che le sorprese negative siano altre. Da fonti vicine al governo si parla di un sostanziale azzeramento delle misure per i competence center (i centri di orientamento per gli investimenti delle Pmi sui temi dell’Industria 4.0 presso le università) e per il raddoppio degli Its, gli istituti tecnici superiori che dovrebbero diventare un percorso formativo privilegiato per la creazione delle nuove figure di tecnologi. Solo un mese fa c’era stato l’annuncio del governo di un raddoppio degli studenti iscritti entro il 2020, dai 7mila attuali a 14mila (in Germania sono 700mila). Uno dei problemi per il loro sviluppo sarebbe la concorrenza delle nuove lauree professionalizzanti triennali, gestite dalle università, mentre gli Its fanno riferimento a delle fondazioni.

Nella negoziazione con la Tesoreria dello Stato il Mise sta tentando di mantenere gli obiettivi del piano Impresa 4.0, pur con minori margini di bilancio. Una delle ipotesi è che il credito di imposta sulla formazione sia varato in via sperimentale per un anno. Meno problematico viene visto il finanziamento dei competence center, perché, non essendo ancora stati avviati, sono rimasti i 30 milioni stanziati lo scorso anno (a fronte di una prima richiesta dello Sviluppo economico di 100 milioni di euro). Tra le novità c’è l’abbassamento dal 140 al 130% dell’incentivo del superammortamento, che vedrà una stretta sui veicoli commerciali. Sono confermati i mezzi strumentali (come muletti eccetera), mentre saranno esclusi dall’incentivo automobili e van.

Significativa la presa di posizione di Marco Bentivogli, segretario generale della Federazione Italiana Metalmeccanici (Fim Cisl), espressa in tweet:

 https://twitter.com/BentivogliMarco/status/920537501827248128?ref_src=twsrc%5Etfw 

«Era stato un fatto positivo che quattro ministri si presentassero insieme per presentare il piano – aggiunge Bentivogli a Linkiesta -. Il credito di imposta era anche ben congegnato col vincolo dell‘accordo aziendale e positivi erano gli incentivi su competence center e Its. Siamo al paradosso che la prima politica per l’industria che funziona è la prima a essere azzoppata a meno di un anno dal suo avvio. È il solito masochismo anti-industriale italiano. Era il momento di correggere e rilanciare il piano Industria 4.0, ora siamo tornati ai soli incentivi per i macchinari, qualcuno ha nostalgia della vecchia legge 488 che veniva usata per comprare Mercedes (legge Tremonti bis, ndr) fatta meglio».

«Era stato un fatto positivo che quattro ministri si presentassero insieme per presentare il piano. Il credito di imposta era anche ben congegnato. Siamo al paradosso che la prima politica per l’industria che funziona è la prima a essere azzoppata a meno di un anno dal suo avvio. È il solito masochismo anti-industriale italiano»


Marco Bentivogli, Fim-Cisl

Duro anche il commento di Francesco Seghezzi, direttore della Fondazione Adapt. «Quelle per il credito di imposta erano cifre già molto piccole. Il punto è quale l’indirizzo vogliamo dare all’Italia attraverso il credito per la formazione .- commenta -. A maggior ragione in una manovra che ha poche risorse, era un segnale importante stimolare l’investimento sulle competenze dei lavoratori. Le aziende sono poco propense a questo tipo di investimenti e per questo è opportuno un incentivo».

 https://twitter.com/francescoseghez/status/920535642366468096?ref_src=twsrc%5Etfw 

Seghezzi, autore del libro “La nuova grande trasformazione. Lavoro e persona nella quarta rivoluzione industriale” (ADAPT University Press, qui la puntata del 17 ottobre de La Versione di Oscar di Radio 24 con una presentazione del libro), rimarca che l’Industria 4.0 non è fatta solo di macchinari. Piuttosto comporta una organizzazione nuova, in cui si supera l’approccio taylorista e poi fordista (già peraltro da molti anni evolutosi nel modello della lean production) e assumono una nuova centralità le competenze dei lavoratori. È un processo, come spiegato già durante Expo 2015 in un convegno della stessa Fim-Cisl, che cambia le mansioni, le gerarchie e gli orari di lavoro tradizionali. Ed è un tema che si accompagna alle riflessioni sul futuro del lavoro di fronte all’avanzare dell‘automazione e dell’intelligenza artificiale e alla necessità di creare nuove figure professionali che sostituiscano quelle rese obsolete dal progresso tecnologico.

Tutto questo sembrava essere stato molto bene capito dai quattro ministri (Calenda, Fedeli, Padoan, Poletti) nella presentazione del 19 settembre. Il piano Impresa 4.0 è stato chiamato così proprio per rimarcare che lo sviluppo delle imprese non passava solo dagli incentivi all’acquisto di macchinari. Lo scopo, secondo l’annuncio del piano, era «gestire il rischio di disoccupazione tecnologica e massimizzare le nuove opportunità lavorative legate alla quarta rivoluzione industriale, sviluppando nuove competenze digitali».

«Il punto è quale l’indirizzo vogliamo dare all’Italia attraverso il credito per la formazione. Era un segnale importante perché la formazione è poco »

Di certo le imprese stanno prendendo coscienza di tutto questo, come raccontano anche le molte testimonianze raccolte all’ultimo Forum Meccatronica. «Le misure per istruzione e formazione sono la seconda fase del piano Industria 4.0. Se abbiamo una macchina e non sappiamo farla funzionare, siamo a punto e a capo», ha sottolineato il presidente di Anie-Confindustria, Giuliano Busetto durante un incontro con la stampa lo scorso 10 ottobre. Commentando un dato secondo cui nel primo semestre del 2017 il 90% delle imprese non aveva ridotto i livelli occupazionali rispetto allo stesso periodo del 2016, Busetto aveva aggiunto: «Questo dato ci conforta perché testimonia l’impegno delle imprese Anie, anche in una fase complessa, a non disperdere il know how e a sostenere la presenza continuativa in azienda di personale qualificato, il vero valore aggiunto delle nostre imprese a forte impronta tecnologica».

Tra gli industriali era emersa anche la preoccupazione che una emergenza sul fronte industriale avrebbe potuto distrarre i fondi dal piano Impresa 4.0. La fragilità di questi interventi non è nuova. Già lo scorso aprile erano emerse delle difficoltà nell’allungamento dei termini per la consegna dei macchinari, prevista dal primo piano Industria 4.0: problemi tecnici da molti interpretati come un segnale delle difficoltà politiche del ministro Carlo Calenda dentro il governo, a causa della contrapposizione con l’ex premier Matteo Renzi. Del nuovo intoppo quello che fa specie è che segue di pochi giorni il rifinanziamento del prestito-ponte ad Alitalia: 900 milioni, di cui 300 milioni appena rinnovati. Tutto resta ancora da capire sulla gara per la compagnia aerea, ma il precedente del 2008 ci dice che i soldi allora finirono nella bad company e furono sostanzialmente bruciati. Come dire: una misura per salvare quella che è stata definita una “fabbrica di bad company” taglia le gambe a una politica chiave per lo sviluppo.

«Se abbiamo una macchina e non sappiamo farla funzionare, siamo a punto e a capo»


Giuliano Busetto, presidente di Anie-Confindustria

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