«Anche il Popolo sardo ha diritto all’autodeterminazione». Dalla Catalogna al cagliaritano, i venti indipendentisti rischiano di cambiare per sempre i confini europei. Mentre a Barcellona proseguono le tensioni con il governo spagnolo, presto anche i sardi potrebbero rivendicare la propria autonomia. Pochi giorni fa il deputato di Unidos Mauro Pili ha presentato a Montecitorio una proposta di legge costituzionale che punta all’istituzione di un referendum per lasciare l’Italia. «Uno strumento democratico per scegliere se continuare a essere discriminati dallo Stato italiano o meno». Parlando con la stampa, il parlamentare denuncia una situazione non più sostenibile. «La Sardegna è trattata come la peggior colonia di Stato, il popolo sardo subisce discriminazioni infinite, dai trasporti all’energia, è vittima di un fisco diseguale che colpisce in modo letale l’economia e il lavoro. Una terra violentata a colpi di missili e bombe, da discariche tossiche e industrie inquinanti».
Il tema non è nuovo. Da sempre sull’isola è radicata una forte componente indipendentista. Già due anni fa, del resto, lo stesso Pili aveva presentato un’analoga proposta di legge, ritenuta non ammissibile dalla presidenza della Camera. Adesso ci riprova con un nuovo testo. La vicenda si lega indissolubilmente con la questione catalana. Negli ultimi giorni il deputato è stato a Barcellona, dove ha incontrato vertici politici e istituzionali locali. Se Montecitorio continuerà a non ritenere ammissibile il disegno di legge, è pronto un ricorso congiunto alla Corte di giustizia europea. In ballo c’è il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione dei popoli. «In questa direzione abbiamo dato mandato a legali sardo-catalani di predisporre un percorso comune, a partire dalle reciproche violazioni subite: la delegittimazione del referendum catalano e la paventata inammissibilità della proposta di legge costituzionale sulla Sardegna».
Su un aspetto è importante fare chiarezza. L’iniziativa legislativa di Pili non autorizza alcuna secessione. Ne crea però i presupposti, lasciando al popolo sardo la possibilità di ricorrere a un referendum sulla propria indipendenza. A chiedere l’apertura dei seggi, si legge nel testo, dovrà essere la maggioranza del Consiglio regionale o, in alternativa, 100mila elettori. Al momento la proposta si qualifica come un deterrente democratico. «Se lo Stato persiste nelle discriminazioni – spiega Pili – se insiste nella violenza nei confronti del patrimonio ambientale della Sardegna, se continua a trattare la Sardegna come una colonia, è giusto che i Sardi abbiano uno strumento per difendersi».
Il testo della proposta di legge lascia poco spazio all’immaginazione. Nell’articolo 4 è già contenuto il quesito referendario. “Volete che la Regione Sardegna si costituisca in Stato indipendente, libero e sovrano?” Per dar vita a una nuova nazione basterà raggiungere la maggioranza dei voti espressi
Il testo del provvedimento lascia poco spazio all’immaginazione. Nell’articolo 4 è già contenuto il quesito referendario. “Volete che la Regione Sardegna si costituisca in Stato indipendente, libero e sovrano?” Per dar vita a una nuova nazione basterà raggiungere la maggioranza dei voti espressi, senza quorum. Particolare non secondario: al voto potranno partecipare tutti i sardi, anche residenti in altre regioni d’Italia, fin dal 16esimo anno di età. Il testo di legge si occupa del trasferimento dei poteri in caso di vittoria del sì. Dalla politica alla giustizia, senza dimenticare i militari. «Qualora il popolo sardo deliberi di costituirsi in Stato indipendente, libero e sovrano – si legge nell’articolo 5 – le unità delle Forze Armate della Repubblica italiana lasceranno entro trenta giorni il territorio della Sardegna, fatte salve le unità operative che d’intesa tra giunta regionale e governo italiano potranno essere utilizzate nei servizi di sicurezza e protezione civile nell’ambito del territorio sardo». Nel frattempo le unità, i comandi e gli uffici di Carabinieri e Polizia continueranno a svolgere i propri compiti, in via temporanea, alle dipendenze funzionali della giunta regionale. Almeno finché non entreranno in carica il nuovo parlamento e il governo sardo.
Nella proposta di legge nulla è lasciato al caso. Pili cita in dettaglio i principi del diritto internazionale che, assicura, giustificano l’indizione di un referendum per l’autodeterminazione del popolo sardo. Si sofferma sull’identità della popolazione isolana, dal punto di vista storico, culturale e giuridico: tutti elementi necessari per assicurare il diritto all’indipendenza. Se la presidente Laura Boldrini decidesse ancora una volta per l’inammissibilità della proposta di legge, insiste il deputato, il suo sarebbe un giudizio personale, meramente politico. Del resto, Pili ricorda un precedente particolarmente autorevole. Qualche anno fa il Senato ha già considerato ammissibile un’analoga proposta di legge. Un provvedimento dedicato all’autodeterminazione del Sud Tirolo a suo tempo sottoscritto, tra gli altri, dall’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga. Certo, la scissione dall’Italia resta difficile. La legislatura sta per finire, il tempo per approvare una legge costituzionale non c’è. Eppure l’iniziativa del parlamentare è destinata ad avere conseguenze importanti. Se il testo sarà regolarmente depositato a Montecitorio, in tempi rapidi partirà una raccolta di firme per trasformarlo in una proposta di legge di iniziativa popolare. «Si può essere a favore o meno dell’indipendenza – racconta Pili – Ma è giusto che i popoli si esprimano».