Il dato è di quelli da far aprire le bottiglie buone: in un solo anno il valore percepito dei brand italiani è salito di oltre 500 miliardi di dollari. Erano poco più di 1.500 miliardi lo scorso anno e la cifra è volata a soli 12 mesi di distanza a quota 2.034 miliardi. Lo ha rilevato l’indagine internazionale di Brand Finance, realizzata in partnership con Fdi Intelligence, una rivista del Financial Times specializzata negli investimenti esteri. Come spiega la nota della società, solo Cina, Francia e Corea del Sud sono cresciute più dell’Italia e la differenza con queste ultime due è minima; al contrario la crescita cinese non ha eguali. Eppure il dato sarebbe stato ancora più positivo (600 miliardi di crescita invece che 500) se la cattiva immagine delle istituzioni italiane non avesse controbilanciato in negativo la stima del valore. Il rating assegnato al “Brand Italia”, infatti, è sceso da AA- ad A+ e pone un’ipoteca sui risultati dell’indagine dell’anno prossimo.
Questa apparente contraddizione richiede una spiegazione. Massimo Pizzo, managing director Italia di Brand Finance, spiega a Linkiesta che il valore di un marchio di un Paese è influenzato con un anno di distanza dal valore attribuito al rating. In sostanza, all’inizio del 2016 era migliorata l’immagine del Paese, a causa delle riforme messe in atto dagli ultimi governi, e questo ha dato una mano alla valutazione dei marchi italiani nel corso del 2016. Al contrario, l’ultima indagine ha visto una discesa del rating al Paese e quindi «se l’andamento del valore dipendesse tutto dal Brand Italia, nella prossima indagine dovremmo immaginare un peggioramento di questo valore», aggiunge Pizzo. Uno dei motivi di questo calo di fiducia è riconducibile alla delusione degli investitori internazionali dopo la bocciatura del referendum costituzionale, lo scorso 4 dicembre. Una delle principali fonti su cui si basa l’indagine di Brand Finance è infatti il Global competitive index 2017-2018 del World Economic Forum. Si tratta di opinioni di investitori internazionali, in totale 14mila business executive sentiti tra il febbraio e il giugno del 2017, quando gli effetti della mancata riforma costituzionale sembravano più forti agli occhi della comunità degli investitori internazionali. «Va anche detto – commenta Pizzo – che molti degli investitori intervistati sull’Italia sono stati italiani. Noi siamo tra i popoli al mondo che si vedono peggio di come siano in realtà».
Un altro fattore decisivo, per spiegare il balzo in avanti da 500 miliardi di dollari, è appunto che la classifica si misura in dollari. L’euro forte è stato quindi un fattore determinante. Hanno influito positivamente anche la riduzione della corporate tax e le buone prospettive di crescita.
Tuttavia non l’unico, se si guarda la classifica. A fare passi avanti da giganti sono stati tutti i Paesi della periferia europea, come Portogallo (che ha visto salire il valore percepito del brande del 22%), la Grecia (+41%) e la Spagna (+46%, chiaramente prima che emergessero le tensioni in Catalogna), così come Cipro (+57%). C’è stata insomma una rivincita del “Pigs”, compresa l’Irlanda (+24% e con un rating del marchio a tripla A). Al contrario, Germania, Regno Unito e Svizzera, tutte nelle primissime posizioni, sono rimaste sostanzialmente ferme.
Quest’anno il balzo del valore del Brand Italia ha beneficiato delle riforme degli scorsi anni. L’anno prossimo i curatori dell’indagine si aspettano invece un peggioramento causato dall’incertezza seguita alla bocciatura del referendum costituzionale. Ma ci sono altre variabili da considerare, a partire dal cambio euro/dollaro
La vera novità è però nella sfida al vertice. Gli Stati Uniti si sono fermati a una salita del 2% nel valore dei propri marchi (con un peggioramento da AAA ad AAA-), mentre la Cina, in seconda posizione, è salita del 44%, vendendo il valore del proprio brand passare in un solo anno da un terzo alla metà di quello statunitense. Sono poi da registrarsi gli exploit di tutto il sud-est Asiatico, con Vietnam, Corea del Sud, Thailandia e Filippine a guadagnare oltre il 30% del valore in un solo anno.
La migliore performance in fatto reputazionale è però quella della piccola Islanda, che con il suo +83% ringrazia l’effetto simpatia derivatole sia dalla performance agli Europei di calcio del 2016 (con i memorabili canti vichingi della popolazione nella sua quasi interezza) sia dal fatto di essere una delle principali location della serie Games of Thrones.
La classifica ha una metodologia diversa da quella diffusa a maggio di ogni anno sul valore dei singoli marchi. Nell’ultima indagine si era registrato uno sprint del valore dei marchi di moda (su tutti Gucci e Versace), della Ferrari e di alcune grandi aziende come Eni e Ferrero. Mentre un crollo verticale aveva interessato Fiat e tutte le banche (Banco Popolare, Unicredit, Intesa Sanpaolo). Per la prossima indagine le previsioni di Pizzo sono di un miglioramento della percezione, rispetto al periodo più nero della crisi bancaria.