Quando negli ultimi anni si è passato più tempo a parlare delle persone con cui sei uscita e non della musica che hai fatto – o che avresti potuto fare – e sei uno dei talenti più interessanti e cristallini del panorama contemporaneo, bisogna rimettere le cose in chiaro, secondo la giusta prospettiva. MASSEDUCTION (Loma Vista Recordings), quinto album in proprio di Annie Clark/St. Vincent – sesto se consideriamo Love This Giant, disco fatto assieme a David Byrne, ex leader dei Talking Heads – è un disco ossessionato dai rapporti di potere, dalla plastificazione, la mercificazione e la flatlandia umana derivata dal totalitarismo mediatico in cui siamo immersi. Un disco di grande efficacia perché frutto di una progettualità che diventa un discorso verticale sulla cultura contemporanea e ribadisce il senso ultimo del fare musica ai tempi di significanti che non sono vuoti, ma immaginari. MASSEDUCTION raccoglie un travaglio personale e lo trasforma in uno zeitgeist analitico che abbraccia l’aspetto sonoro, ma anche l’aspetto visivo, quello visuale e quello di comunicazione. Dalla copertina provocatoria (Annie Clark ha sempre messo la sua faccia in copertina, adesso un fondoschiena su sfondo rosso neon) a tutte le foto e clip di accompagnamento, che ritraggono Clark intrappolata in ostacoli di plastica trasparente o che non riesce a parlare, fino ad arrivare ai video simmetrici, precisi, chirurgici, è chiaro come il discorso sulle relazioni di potere e sulla massificazione de-umanizzante arrivi da lontano e, soprattutto, voglia andare lontano.
MASSEDUCTION è un disco volutamente esagerato proprio per quello che vuole dire. Parliamo di sesso, di potere, di falso? E allora il disco dobbiamo farlo così. È iper-prodotto (e, non casualmente, unendo un alfiere del big sound mainstream Jack Antonoff e un nerd della produzione grossa ma indie John Congleton), è plastificato, è spigoloso, è multi-strato e multi-genere. Ma è anche incredibilmente misurato. È come se la scrittura, sia musicale che lirica, di Clark abbia trovato un punto di contatto perfetto tra l’ambizione e la sostanza. Voglio raccontare una cosa specifica, trovo in modo, butto dentro tutto, esagero ma al tempo stesso riesco anche a togliere, a limare, a essere essenziale. È la maturità, questa. Che arriva dopo un percorso di ricerca che inizia con una cantautrice brava e finisce con una personalità artistica completa, che riesce a costruire un tessuto musicale che intercetta, costruisce e, sì, riesce a mostrare una proposta di musica del futuro.
È come se la scrittura, sia musicale che lirica, di Clark abbia trovato un punto di contatto perfetto tra l’ambizione e la sostanza. Voglio raccontare una cosa specifica, trovo in modo, butto dentro tutto, esagero ma al tempo stesso riesco anche a togliere, a limare, a essere essenziale. È la maturità, questa.
Non è un caso che uno dei “padrini” putativi della Clark sia stato David Byrne, un altro che negli anni Settanta il futuro l’aveva immaginato proprio concependo la musica pop come arte totale e verticale. St. Vincent sta in quella particolare categoria di artisti bianchi che hanno deciso di fare carta straccia delle influenze e delle pesanti eredità storiche per provare a tracciare una nuova via. Una via che avesse sia la canzone al centro, sia il suono come obiettivo e prospettiva. Non sono tanti, adesso che la musica dei bianchi sta attraversando una profonda crisi di personalità e credibilità. Lei, Bon Iver, Holly Herndon, James Murphy degli Lcd Soundystem, Björk, poco altro.
Le due frasi attorno a cui gira tutto il disco sono una nel ritornello della canzone che dà il titolo al disco: «Masseduction/I can’t turn off what turns me on» (Masseduction), e in uno dei più straordinari giochi di parole degli ultimi anni Los Ageless (ditemi se questo titolo non dice già tutto quello che deve dire): «How can anybody have you and lose you/And not lose their minds, too?». È lì che si trova il significato attorno a un sistema totalizzante fatto di desiderio e inevitabilità, coercizione e dominio, dinamiche disfunzionali e appiattimento. In tempi in cui si riflette molto sullo svuotamento dei significati, dell’evaporazione dei confini tra ciò che è vero e ciò che è falso, dell’inasprimento dialettico in cui anche l’arte “popolare” (perché alla fine stiamo parlando di un disco pop) sta trovando difficoltà a fare sintesi, raccontare e cercare di agire, è un segnale forte. Soprattutto, è forte l’idea che possa svilupparsi attraverso canzoni molto belle, ambiziose e capace di essere comunicabili e attrattive. Riuscire a usare al meglio gli stessi strumenti che si vogliono criticare è da sempre il più grande gesto di rottura che un’artista possa fare. E con MASSEDUCTION, St. Vincent, lo fa nel modo migliore, costruendo quello che è ad oggi una delle esperienze più significative dell’anno.