«L’area del Medio Oriente e Nord Africa è di assoluto interesse per le rinnovabili». Se si dovesse trovare una frase chiave del primo Italian-Arab Business Forum, che si è tenuto lo scorso 12 ottobre a Milano, si dovrebbe prendere quella di Andrea Panizzo, head of Europe and Middle-East business development di Enel Green Power. Non è stata l’unica in tal senso: «La tendenza all’uso delle rinnovabili è chiarissima e ci sono opportunità di investimenti significativi per le imprese italiane, soprattutto nelle reti e nei contatori elettronici», ha detto Matteo Codazzi, Ceo della società di progettazione Cesi, attiva nelle nuove reti elettriche dell’area. Licia Mattioli, vicepresidente di Confindustria: «Guardiamo agli enormi investimenti nelle rinnovabili nel Medio Oriente e Nord Africa, noi possiamo essere partner». E Maurizio La Noce, energy advisor residente da 30 negli Emirati Arabi Uniti: «Dubai ha un piano per arrivare al 75% di energia prodotta da rinnovabili entro il 2050. Se c‘è una cosa che abbiamo capito negli ultimi 20 anni è che quando si impegnano a seguire un piano lo seguono».
Come mai tutto questo fermento? Alcuni dati aiutano a capire un processo che è appena iniziato ma che poggia su basi solide. Per il mondo delle rinnovabili all’inizio di ottobre c‘è stato un vero shock: in Arabia Saudita, per il parco solare di Sakaka, da 300 MW, è stato stracciato per l’ennesima volta in pochi anni il prezzo di offerta del costo dell’energia elettrica ricavato da un impianto fotovoltaico. Il consorzio formato dalla società di Abu Dhabi Masdar e dalla francese Edf ha offerto la cifra di 17,9 dollari per Megawattora. «È stata una sorpresa per tutti», ha sintetizzato Panizzo, specificando che in Italia e Spagna, pur con tutti i cali degli anni recenti, il prezzo si aggira attorno ai 45 dollari per MWh. Un anno prima, nel settembre 2016, era stata una gara nella stessa Abu Dhabi a segnare il precedente record: 24,2 dollari per un parco da 350 MW a Sweihan. E pensare che solo il mese precedente il mondo aveva spalancato la bocca davanti al recordo di un impianto cileno, che per la prima volta aveva fissato l’asticella sotto i 30 dollari. Per rendere l’idea, ancora nel 2009, quindi non agli albori della tecnologia del fotovoltaico, il prezzo medio negli Usa era di circa 350 dollari a Megawattora (e nel 2017 ancora superiore ai 70 dollari).
Questi prezzi (ancora provvisori, perché solo il prossimo gennaio si saprà chi avrà vinto l’offerta, il prezzo è solo uno dei criteri presi in considerazione) sono il risultato di progressi tecnologici costanti ottenuti negli ultimi anni (come la tecnologia di tracking, che permette di far seguire il sole ai pannelli e assicura una resa maggiore del 15-20%) ma sono anche il segno che i Paesi arabi, e in particolare quelli del Golfo, hanno deciso di mettersi a giocare seriamente la partita delle energie rinnovabili. Come spiega Bloomberg, a questi prezzi si può arrivare solo con una combinazione di terreni dati gratuitamente per gli impianti, connessioni alla rete elettrica nazionale, finanziamenti a tassi favorevole e una grande taglia per ogni singolo progetto.
Per il mondo delle rinnovabili all’inizio di ottobre c‘è stato un vero shock: in Arabia Saudita, per il parco solare di Sakaka, da 300 MW, è stato stracciato per l’ennesima volta in pochi anni il prezzo di offerta del costo dell’energia elettrica ricavato da un impianto fotovoltaico: 17,9 dollari a Megawattora. Nel 2009 negli Stati Uniti il prezzo si aggirava attorno ai 350 dollari
I programmi di sviluppo di ciascun Paese sono ambiziosi. Quelli che stupiscono meno sono quelli di emirati come Dubai, che di fatto hanno esaurito le proprie riserve petrolifere (salvo alcune off-shore) e hanno impostato da più di 20 anni un piano di sviluppo basato su finanza, trasporti e immobiliare. Dubai, che importa quasi tutto il suo gas dai Paesi vicini, ha varato il piano Clean Energy Strategy 2050. Gli obiettivi sono progressivi: 7% di energia pulita entro il 2020, 25% entro il 2030 e 75% entro il 2050. Che non sia un piano scritto solo sulla carta lo raccontano due progetti: la costruzione del parco solare a concentrazione Mohammed bin Rashid Al-Maktoum Solar Park, che dovrebbe raggiungere nella prima fase una potenza di 700 MW e gradualmente salire fino a 5 GW nel 2030. Una cifra enorme per un singolo impianto, che ovviamente nessuno è in grado di dire oggi se sarà veramente raggiunta (altre fonti si fermano infatti a 1 GW entro quella data). Il costo iniziale sarà di 14,3 miliardi di dinari, pari a 3,26 miliardi di euro, per la fase finale il piano è di 11,4 miliardi di euro (50 miliardi di dinari). Un secondo progetto prevede di installare pannelli fotovoltaici su tutte le case di Dubai entro il 2030.
Anche la vicina Abu Dhabi, che invece ha un’economia ancora largamente dipendente dal petrolio, intende arrivare al 2030 con il 65% del Pil derivante da altre fonti. Sul fronte delle energie rinnovabili ha annunciato la costruzione dell’impianto fotovoltaico più grande del mondo, da 1,17 Gigawatt, che produrrà energia per 200mila case. Il costo è di oltre 700 milioni di euro.
Dubai, che di fatto hanno esaurito le proprie riserve petrolifere, ha varato la Clean Energy Strategy 2050. Gli obiettivi sono progressivi: 7% di energia pulita entro il 2020, 25% entro il 2030 e 75% entro il 2050. Ma anche la vicina Abu Dhabi, che di petrolio è piena, ha progetti ambiziosi
La novità maggiore è però la svolta solare dell’Arabia Saudita, il Paese che più ha fatto parlare di sé durante il vertice Italo-Arabo, per i suoi obiettivi di installazione di solare fotovoltaico: 3,5 GW entro il 2020 e 9,5 GW entro il 2030. Il programma di energia rinnovabile dell’Arabia Saudita fa parte di un progetto più ampio per ridurre la dipendenza della sua economia dalle esportazioni di petrolio. Il governo sta cercando di dare impulso a nuovi settori, come l’industria petrolchimica, il manifatturiero e il turismo. Le risorse per diversificare l’economia verranno dalla prossima privatizzazione del gigante del petrolio Saudi Aramco.
Un fronte molto caldo è pure il Marocco, come ha spiegato Daniel Rich, Coo di Tunur, il progetto che ha come scopo l’esportazione dell’energia elettrica dal Marocco all’Europa (attraverso una nuova interconnessione Tunisia-Sicilia da 600 milioni di euro). Tra le tecnologie disponibili, il Paese sta puntando sul solare a concentrazione. La tecnologia messa a punto per la prima volta dal premio Nobel per la Fisica Carlo Rubbia ha costi maggiori (attorno ai 70 dollari per MWh) ma ha il vantaggio di poter immagazzinare più facilmente l’energia prodotta, distribuendola anche durante la notte.
Un report di Meed Intelligence ha calcolato che i progetti pianificati nell’area Mena avranno un valore di 200 miliardi di dollari e dovrebbero portare a una potenza installata di energia da fonti rinnovabili pari a 67 Gigawatt. L’energia rinnovabile non ha solo raggiunto la parità con la tradizionale produzione di combustibili fossili termici in Medio Oriente, ma nel 2016 è stata più conveniente
In generale, ha calcolato un report della società di ricerca Meed Intelligence, i progetti pianificati nell’area Mena avranno un valore di 200 miliardi di dollari e dovrebbero portare a una potenza installata di energia da fonti rinnovabili pari a 67 Gigawatt. Secondo la società, un driver chiave dietro la spinta per la diversificazione energetica nella regione del Medio Oriente e Nord Africa è la forte crescita della domanda di gas. Con una maggiore efficienza e minori emissioni rispetto ad altri combustibili fossili, il gas è diventato il combustibile preferito per la produzione di energia in tutta la regione negli ultimi due decenni. Tuttavia, ad eccezione del Qatar, si spiega nel report, tutti gli Stati del Golfo si trovano ad affrontare un mercato del gas in contrazione, con esigenze concorrenti nei settori petrolifero, industriale e delle utility. «Mentre si stanno esplorando nuove alternative, come il nucleare e il carbone, e una manciata di progetti in atto in tutta la regione, l’energia rinnovabile sta rapidamente emergendo come alternativa preferenziale alle piante tradizionali di petrolio e gas», si legge. Il driver chiave dietro la spinta per l’energia rinnovabile è l’economia, perché «l’energia rinnovabile non solo raggiunge la parità con la tradizionale produzione di combustibili fossili termici in Medio Oriente, ma nel 2016 effettivamente scende sotto quelli raggiunti per impianti convenzionali a combustibile fossile», conclude l’analisi.