Da Weinstein a Elisabetta: il potere è alla frutta, ma noi siamo ancora alle brioches

Dal caso Weinstein ai leaks sui paradisi fiscali, fino alla totale incapacità di gestire crisi interne come Brexit e indipendenza della Catalogna. Ma se il potere è sempre più arrogante forse è colpa nostra, dei cittadini, che incapaci di reagire, smettiamo di partecipare alla vita politica

Il potere ha rotto il patto con la gente. Non che sia la prima volta o che sia qualcosa di particolarmente strano. È il suo istinto, la sua natura: dominare. Il problema è che la cosa è diventata evidente, smaccata, addirittura grottesca se la osserviamo con un minimo distacco. Tanto più che non arriva più soltanto dalla parte più conservatrice, tutt’altro,

Il caso Weinstein sta facendo crollare una diga che minaccia di stravolgere totalmente la mappa del potere di Hollywood, soprattutto nella sua parte liberal, ma casi di matrice simile, e non solo nel cinema, stanno accadendo in ogni ambito, in ogni parte del mondo Occidentale, minacciando di scombinare tanti mazzi di carte, di tanti organismi di potere, dal Parlamento europeo fino ai vertici di moltissimi campi professionali.

Il 20 agosto del 2013, il profilo Twitter ufficiale di House of Cards pubblicava un post che ora, dopo le accuse che hanno colpito Kevin Spacey, suona in modo particolarmente laido, ma anche particolarmente vero: «Everything in the world is about sex except sex. Sex is about power». Qui infatti il problema non riguarda la morale. Perché il problema non è che Weinstein sia un mostro, né quanto sia orco Spacey. Il problema è che quelli che stanno emergendo non sono casi isolati, né facenti parte di una rete comune. Quella che sta emergendo è una consuetudine del potere, una prassi di dominio, di abuso, di arroganza che infatti non ha il sesso come unico campo da gioco.

I Paradise Papers, secondogeniti dei leaks che hanno generato quelli di Panama, stanno mostrando un altro lato della stessa prassi di dominanza, di arroganza, di sfacciataggine senza ritegno di un potere che evidentemente pensa di non avere più bisogno della pace sociale e di un patto con le classi subalterne. Tanto viene da pensare a leggere la lista dei nomi coinvolti dallo scandalo: Bono, Madonna, addirittura la regina Elisabetta e moltissimi altri. Tutti accusati di avere evaso sistematicamente le tasse nel proprio paese portando parte dei propri patrimoni nei paradisi fiscali.

Uno su tutti è l’esempio che rende l’idea della gravità del fenomeno, e c’entra la regina Elisabetta. Una signora che per tutta la vita, così come le sue decine di predecessori, è stata stipendiata lautamente dai propri sudditi soltanto per essere lei stessa, figlia del proprio sangue, ha usato quei soldi per creare fondi in paradisi fiscali e, di conseguenza, non pagando le tasse, ha sottratto risorse al proprio stesso regno. È una cosa che va ben al di là dell’accettabile. È praticamente un quadro di Escher della politica, un paradosso, un salto carpiato mortale all’indietro con avvitamento e pure lo scappellamento a destra. Ve lo immaginate il Re Sole che investe i suoi soldi nella pirateria caraibica togliendoli al Regno su cui non tramonta mai il Sole? Non ha senso.

Questo paradosso ci porta al vero problema. Il potere è arrogante e dominante per sua stessa natura e, se ora non si preoccupa più di celare questa sua natura intima, la colpa non è sua, ma nostra. Davanti a un potere così maldestramente sfacciato, come è possibile che non ci sia ancora la reazione di chi questa arroganza e questo dominio lo subisce? La verità è che ad essere inadeguato non è il potere, ma siamo noi, tutti noi, incapaci di reagire, pavidi, individualisti fino all’onanismo.

Alla fine del 1700, quando in Francia le classi subalterne rivoltarono come un guanto l’assetto del potere, la nobiltà era arrivato al capolinea. E, come tutte le cose che arrivano al capolinea, divenne parassitario, incancrenito e inutile. Come una gran parte della borghesia nel 2017, quella classe parassitaria si occupava più di disperdere e sprecare le risorse, piuttosto che di difenderle. All’epoca, malgrado la maggior parte della popolazione fosse analfabeta, la reazione ci fu e si chiamò Rivoluzione Francese. Fu una reazione che portò a conseguenze terribili, la sua forza e la sua direzione vennero ribaltate più volte nel giro di pochi anni, ma quantomeno una reazione e un impegno diretto in politica dei cittadini, prima di tutto parigini — come le donne dei mercati della capitale francese, che guidarono la marcia su Versailles dell’ottobre del 1796 — ci fu.

Oggi invece i cittadini languono. Qualcuno, indignato ma incapace di riflettere lucidamente, si sta facendo tentare da poteri esterni alle solite élite politiche: dalla vittoria di Trump, all’ascesa dei partiti nazionalisti in Europa, fino al successo sempre più marcato del Movimento 5 Stelle in Italia. La maggior parte, invece, si sta chiudendo in un silenzio tombale. Il 56 per cento di siciliani e il 60 e passa per cento di cittadini del municipio di Ostia che che questo weekend non sono andati a votare sono l’espressione più notevole di questa resa incondizionata. Una maggioranza sempre più silenziosa, delusa e frustrata dalla politica e dalle classi dirigenti, che però invece di riprendere coscienza del proprio ruolo nella storia, si ritrova a combattere una guerra intestina tra poveri in coda per comprarsi costosissimi telefoni che non nessuno può permettersi, ovvero, a mangiare brioches.

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