Il Pil, un poco alla volta, cresce: è una notizia nota, e positiva. Ma si potrebbe dire che parte del nostro benessere derivi anche da attività illecite? In un certo senso, sì. Difatti il nuovo sistema europeo dei conti nazionali e regionali che gli stati membri dell’Unione Europea hanno adottato a partire da settembre 2014 comprende nel calcolo del Pil le attività di reddito indipendentemente dallo status giuridico, permettendo così di far rientrare nei conti anche l’attività illegale. Così, il Sec 2010 ha prodotto effetti significativi sui livelli di molte grandezze macroeconomiche.
L’Istat ci aiuta ad analizzare l’influenza delle attività illecite sull’economia grazie ad un rapporto uscito ad ottobre su “L’economia non osservata nei conti nazionali” che si basa sugli anni dal 2012 al 2015. Proprio nel 2015 l’economia non osservata – sommerso economico e attività illegali – vale 208 miliardi di euro, ovvero il 12,6% del Pil. Un dato positivo rispetto al passato: l’incidenza della componente non osservata dell’economia sul Pil ha infatti segnato nel 2015 una brusca diminuzione, scendendo di 0,5 punti percentuali rispetto al 2014. Si può constatare però che l’economia non osservata sia scesa per via di una flessione del sommerso, ma non per la diminuzione delle attività illegali, che invece sono rimaste su livelli pressoché costanti durante gli anni. Queste hanno prodotto nello stesso anno un valore aggiunto pari a 15,8 miliardi di euro, ovvero 0,2 miliardi in più rispetto all’anno precedente, e il peso di queste attività sul complesso del valore aggiunto si mantiene stabile all’1,2%.
Nel 2015 l’economia non osservata è scesa per via di una flessione del sommerso, ma non per la diminuzione delle attività illegali
L’Istat, sulla base delle indicazioni fornite da Eurostat, ha incluso nel sistema dei conti solo alcune attività economiche: il traffico di stupefacenti, la prostituzione ed il contrabbando di tabacco. Le procedure di stima in questi casi non sono semplici. Per quanto concerne il traffico di stupefacenti, i dati si basano sulle informazioni relative alle componenti della domanda per misurarne, tramite un ragionamento a ritroso, le grandezze economiche. Questa attività è la più rilevante tra quelle illegali, con un valore aggiunto che nel 2015 si attesta a 11,8 miliardi di euro, ovvero poco meno del 75% del valore complessivo delle attività illegali, e con un ammontare di consumi delle famiglie pari a 14,3 miliardi di euro. Un approccio basato sull’offerta, tenendo conto di diverse tipologie di prostituzione, viene invece effettuato per la stima dei servizi di prostituzione. Questi servizi realizzano un valore aggiunto pari a 3,6 miliardi di euro – poco meno del 25% dell’insieme delle attività illegali – e consumi per circa 4 miliardi di euro; mentre il valore aggiunto generato dalle attività di contrabbando di sigarette – calcolato analizzando il lato dell’offerta – è pari a circa 0,4 miliardi di euro, con un incremento di poco inferiore a 100 milioni di euro rispetto al 2014. Infine, l’indotto connesso alle attività illegali, principalmente riferibile al settore dei trasporti e del magazzinaggio, si è mantenuto sostanzialmente costante, generando un valore aggiunto pari a circa 1,3 miliardi di euro.
Eticamente è accettabile che il coefficiente più importante per valutare lo stato di salute del Paese coinvolga anche attività illegali che spesso sono legate a doppio filo con le mafie?
Certamente questi dati rappresentano solo una parte minoritaria del Pil italiano, ma eticamente è accettabile che il coefficiente più importante per valutare lo stato di salute del Paese coinvolga anche attività illegali che spesso sono legate a doppio filo con le mafie? Su lavoce.info Eleonora Montani commenta questi dati sottolineando come “in uno stato di diritto la criminalità dovrebbe essere sempre combattuta”. Anche in barba all’economia e al sistema omogeneo di calcolo del Pil nei paesi dell’unione.