Raspando qua e là per il resto del pianeta, due articoli interessanti. Il primo, di sinuosa intelligenza, lo firma sul New Yorker Peter Schjedahl, critico d’arte ‘sul pezzo’ e tutto d’un pezzo. Dice la sua sul – presunto – Salvator Mundi di Leonardo da Vinci, battuto recentemente all’asta – lo sanno anche i pavimenti – per la smodata cifra di 450 milioni di dollari. Incipit impeccabile (“450 milioni di dollari spesi per qualcosa che non è una specie di bombardiere strategico di ultima generazione, ma è poco più di una vecchia pittura malconcia, non solo non ha alcun senso nel mercato attuale dei beni planetari: ci suggerisce che il denaro è diventato inutile”), articolo puntellato da afrodisiaci aforismi (“l’arte è sentimentalmente ritenuta inestimabile; ma tutto è inestimabile finché qualcuno non lo vende”) e cinismo al vetriolo (“Con uno sguardo puntato verso la Cina, Christie’s ha minimizzato il riferimento cristiano del soggetto, definendolo ‘la Mona Lisa maschile’. A nessuno importa della religione. Basta concentrarsi sulla superstar del Rinascimento”). Insomma, l’asta più pazza del mondo è una carnevalata kitsch, agli occhi del superbo critico newyorchese, in cui, nella più comune delle farse post-postmoderne, non conta il contenuto ma il messaggio, non conta ciò che è ma ciò che fai credere che sia. “Quello passato all’asta da Christie’s per quasi mezzo miliardo di dollari non è un’opera d’arte. È un’attribuzione”. Morale. “Per chi abbia emozioni intellettuali, e intraveda lo spirituale nell’arte, lo spettacolo cui abbiamo assistito potrebbe andare in scena su un pianeta alieno popolato da creature con remi attaccati alle braccia”. Insomma, applausi, il Salvator Mundi è la sola più cara della galassia. Felici loro.
22 Novembre 2017