Kohlrieser: «Trump sta sbagliando tutto con la Corea del nord»

A parlare è il guru mondiale dell'arte della negoziazione e ospite del World business forum di Milano. Dalle liti sul lavoro, alla crisi nucleare tra Stati Uniti e Corea del Nord, il suo metodo di risoluzione dei conflitti può essere applicabile dappertutto. E gli abbiamo chiesto come

«Alcune volte per risolvere un conflitto bisogna mettere un pesce puzzolente in mezzo al tavolo». È normale sentire frasi del genere al World business forum di Milano. Metafore semplici usate da guru ed esperti per spiegare in modo efficace concetti complessi alla platea di addetti ai lavori che pagano cifre importanti per capire come usare queste tecniche nella vita lavorativa di tutti i giorni. E l’evento del 7 e 8 novembre al Palacongressi di Milano non ha fatto eccezione. Tra i tanti speaker che si sono alternati sul palco c’è anche George Kohlrieser, specializzato nello studio della scienza della negoziazione e della leadership. Due concetti all’apparenza distanti; in realtà complementari sia sul lavoro che in politica. Grandi leader sono grandi negoziatori e viceversa.

Come tutti i conferenzieri riusciti a fare della loro capacità di spiegare concetti semplici una professione redditizia, Kohlrieser ha una storia, vera, su come ha iniziato 40 anni fa a studiare questi argomenti. Preso fisicamente in ostaggio con pistola alla tempia, riuscì a far ragionare il suo rapitore chiedendogli: «Come vorresti essere ricordato dai tuoi figli?». Il suo ragionamento si basa su due pilastri: mettersi nei panni degli altri e smetterla di sentirsi psicologicamente degli ostaggi. Dalle liti sul lavoro, alla crisi nucleare tra Stati Uniti e Corea del Nord, questo metodo può essere applicabile dappertutto. E gli abbiamo chiesto come.

Partiamo proprio dall’esempio del “pesce puzzolente da mettere in mezzo al tavolo”. Perché dovrebbe essere una strategia per risolvere i conflitti sul lavoro?
Alcuni anni fa ero in vacanza in Sicilia. E ho visto dei pescatori portare la loro pesca mattutina al mercato. Era incredibile osservare con che gioia pulissero ogni volta questi pesci puzzolenti e sanguinanti, ogni giorno dalle cinque alle sei e mezza della mattina. Al terzo giorno, hanno notato che li stavo guardando e mi hanno invitato a lavorare con loro. E così senza parlare italiano, con un bicchiere di vino in mano e un grembiule, ho pulito quel maledetto pesce puzzolente, togliendo le budella. Ma tutti l’abbiamo fatto con gioia. Lo stesso concetto vale nella gestione delle crisi. Affrontare i problemi sul lavoro significa essere in grado di mettere il pesce sul tavolo, sopportare l’odore sgradevole e pulirlo in attesa di cenare insieme a fine giornata. Spesso molte aziende lasciano “il pesce” sotto il tavolo. Non risolvono il problema e lo ingigantiscono. Ma la puzza si sentirà comunque fino a quando non decideranno di risolvere il problema.

Lei ha detto più volte che i veri leader non devono sentirsi in ostaggio. Cioè?
Chiariamo: non parlo di quando si è fisicamente in ostaggio, con la pistola alla tempia o il coltello alla gola. Mi riferisco a quando ci si sente un ostaggio psicologico. Quando ci si sente intrappolati, impotenti, vulnerabili, fino al punto in cui ci mettiamo perennemente sulla difensiva e non si riesce a risolvere un problema.

E come ci si libera da questo complesso?
Il punto è riacquistare il potere, sapere ciò che vuoi e capire che puoi creare una connessione con un collega o con il tuo capo senza sentirti un ostaggio. Per farlo bisogna usare la stessa tecnica del negoziatore di ostaggi: fare domande, essere in grado di legarsi alla persona che ti sta psicologicamente detenendo in ostaggio, trovare un terreno comune. Bisogna capire e accettare ciò che l’altra persona ci sta dicendo e capire qual è la sua percezione del problema. Crea un dialogo, comprendi qual è la motivazione dell’altra parte. La chiave è essere consapevoli della propria personalità. Chiediti sempre: quello che sto facendo ha un impatto negativo sul mio collega o capo?

Facciamo degli esempi concreti
Una volta ho dovuto convincere un giovane dipendente che non si sentiva rispettato dal suo capo. Ed era pronto a lasciare l’azienda dopo l’ennesimo rifiuto del suo superiore di accettare un suo progetto. Li ho messi nella stessa stanza e ho fatto capire al capo che doveva immedesimarsi nei panni del suo dipendente e capire la sua frustrazione. Il ragazzo in realtà non avrebbe mai voluto lasciare l’azienda, ma era ostaggio della sua frustrazione. Lo stesso vale con i miei studenti. Quando a lezione un ragazzo non smetteva di telefonare gli ho chiesto perché non lo spegnesse. Lui ha gridato dicendo. « Ho bisogno del mio telefono perché mia mamma è all’ospedale». Allora ho iniziato un dialogo, ho fatto proposte, offerto opzioni, spiegato il mio disagio. Alla fine ci siamo accordati per fare una pausa a metà lezione in modo che potesse usare il cellulare solo in quel caso.

Trump con la Corea del Nord sta sbagliando tutto perché non capisce le motivazioni dietro la strategia di Kim Jong Un. Per capirlo, bisogna conoscere la storia. Kim Jong Un vuole unire le due Coree, riportando prestigio alla sua nazione. Il suo modello politico è il nonno Kim Il-sung che ha creato la Corea del Nord, non suo padre Kim Jong-il che ha gestito bene lo Stato e ha portato molta povertà. Trump non riesce a capire il senso di umiliazione e frustrazione che ha Kim Jong Un nei confronti degli Stati Uniti.

Spostiamoci dal mondo del lavoro alla politica. Trump ha vinto le elezioni anche promettendo agli americani che avrebbe risolto le crisi negoziali grazie alla sua abilità di dealmaker. Come giudica il suo operato?
Trump con la Corea del Nord sta sbagliando tutto perché non capisce le motivazioni dietro la strategia di Kim Jong Un. Per capirlo, bisogna conoscere la storia. Kim Jong Un vuole unire le due Coree, riportando prestigio alla sua nazione. Il suo modello politico è il nonno Kim Il-sung che ha creato la Corea del Nord, non suo padre Kim Jong-il. Trump non riesce a capire il senso di umiliazione e frustrazione che ha Kim Jong Un nei confronti degli Stati Uniti. Sono due le qualità dei grandi leader: essere premuroso delle sofferenze altrui (caring) e audace nel portare avanti la sua strategia (daring). Trump è audace ma non si mette nei panni altrui. L’opposto di Barack Obama che si preoccupava delle motivazioni dei suoi interlocutori internazionali, ma non era affatto audace, avrebbe dovuto essere più duro in politica estera.

Cosa dovrebbe fare allora Trump?
Dovrebbe cercare il Paese che gode del rispetto e della fiducia di Kim Jong Un: la Cina. Coinvolgere Pechino per creare un legame con la Corea del Nord e trovare una base su cui costruire un legame. Bisogna far capire al leader nordcoreano che c’è il rischio di eliminare un Paese dalla faccia della Terra, che rischia di perdere tutto. Ma mai minacciando l’uso della forza, perché così fai andare l’altro sulla difensiva. Trump dovrebbe imparare dai grandi leader del passato.

Tipo?
Gandhi ha reso indipendente l’India senza alcun potere politico formale. Ma anche Nelson Mandela, che ha trascorso 27 anni di carcere e non si è mai sentito ostaggio o impotente perché sapeva quello che voleva. Così come Martin Luther King, capace di influenzare il dibattito e vincere la lotta dei diritti civili perché ha creduto nelle sue posizioni e ha sempre cercato di avere un collegamento con chi non la pensava come lui attraverso la forza delle parole, non con la violenza.

E tra i politici di oggi?
Senza dubbio Angela Merkel. È la politica che gode di più fiducia tra i leader europei e mondiali. La cancelliera riesce a influenzare le decisioni degli altri perché è empatica, si mette nei panni altrui ma allo stesso tempo sa ciò che vuole. Abbiamo una carenza di grandi leader perché non abbiamo una scuola per formarli. Ibm, Coca Cola, Fiat tutte queste multinazionali stanno facendo uno lavoro di formazione della classe dirigente. Si coltivano in casa i manager che un giorno saranno pronti a guidare le aziende. Sono seguiti passo dopo passo con un sistema di benefit e feedback che permette a loro una volta arrivati al vertice di essere pronti. In politica questo non c’è.

Lei ha detto che il vero leader è quello in grado di creare una base sicura. Cioè riesce a creare un’ambiente di lavoro o politico in grado di influenzare positivamente chi gli sta intorno. E creare fiducia perenne. Lei provocatoriamente ha detto che l’Isis fa la stessa cosa.
Esatto, ma la loro è una base sicura negativa. Sanno cosa vogliono, hanno capito come comunicarlo in modo efficace e hanno offerto l’ideologia perfetta per i perdenti della globalizzazione. Per sconfiggere l’Isis non dobbiamo buttare le bombe; dobbiamo capire il motivo per cui tante persone sono attratte da questa ideologia. Stiamo parlando di persone alienate che si sono unite allo stato islamico perché si sentivano umiliati e rifiutati dalla società e si sono riuniti per una causa, grazie al lavoro del leader carismatico Al Baghdadi.

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