Torna sugli scudi l’espressione Fake News, e – grazie a due articoli su BuzzFeed e sul New York Times – l’idea che il successo delle forze antisistema europee sia legato alla disinformatia sui social, probabilmente pagata dai russi per destabilizzare l’Occidente.
Secondo questa linea di pensiero falsi tweet e falsi post sarebbero stati il motore di eventi di portata planetaria tipo la Brexit, l’elezione di Trump, la rivolta catalana per l’indipendenza.
La medesima disinformatia metterebbe ora a rischio le prossime elezioni italiane e in particolare le “forze della responsabilità”, favorendo Cinque Stelle e Lega con la diffusione di notizie allarmistiche, gonfiate, spesso del tutto false, comunque ostili ai partiti “di sistema” e vantaggiose per l’area anti-sistema.
Fino a un paio di anni fa questo tipo di accusa veniva rivolta alla televisione. La madre di tutte le battaglie (peraltro mai combattuta fino in fondo) della sinistra fu quella contro il conflitto di interessi di Silvio Berlusconi, e contro l’anomalia “tecnica” di un candidato premier che controllava tre tv oltreché moltissimi giornali e altri ambiti dell’editoria. Lo spostamento dell’asse polemico in direzione delle Fake News, e quindi della Rete – che non ha specifici padroni ma solo influencer e forse qualche pezzo di intelligence che allunga rubli e/o dollari in giro – stupisce e incuriosisce. Un maligno direbbe che è frutto del famoso Nazareno, la tregua negoziata tra il Pd e il Cavaliere. Ma la tesi più probabile è un’altra, e cioè che questo mondo qui – il mondo della politica Millennial, di quelli nati con lo smartphone nella culla – viva il rapporto con la Rete in modo così viscerale e simbiotico da immaginarla davvero onnipotente strumento di ogni fortuna e disgrazia.
Una parte della politica italiana sembra convinta che siamo già lì, e che le reputazioni, il consenso, il successo di un’idea o di un partito non dipendano dalla loro qualità ma siano in balia dell’attivismo digitale. Come se Andreotti o Cossiga avessero legato i loro alti e bassi al moltiplicarsi sui muri, sui volantini, sugli opuscoli universitari e persino nei graffiti a pennarello sugli ascensori
Uno degli episodi più riusciti di Black Mirror racconda una società distopica dove le “quotazioni” sui social – insomma, i «Mi piace» – sono il passaporto di ogni cosa, dall’acquisto di una casa alla carriera nel lavoro. Ecco, una parte della politica italiana – quella che continua a denunciarsi vittima di complotti informatici – sembra convinta che siamo già lì, e che le reputazioni, il consenso, il successo di un’idea o di un partito non dipendano dalla loro qualità ma siano in balia dell’attivismo digitale e possano essere affondate dallo sciame social dei “nemici”. Come se Andreotti o Cossiga avessero legato i loro alti e bassi al moltiplicarsi sui muri, sui volantini, sugli opuscoli universitari e persino nei graffiti a pennarello sugli ascensori, dei “messaggi virali” dell’epoca: Kossiga boia, Andreotti mafioso.
È un grave errore prospettico, che concretizza (forse inconsapevolmente) la distrazione di massa da elementi di disinformatia molto più pervasivi, molto più cogenti anche se veicolati dai media tradizionali.
Guardate qui
Si tratta della galleria di prime pagine mandate in edicola a ridosso del voto della Brexit dal Daily Express: un quotidiano popolare che nel Regno Unito vanta un milione e mezzo di copie cartacee vendute e 14 milioni di “lettori” in Rete. Di recente la sua proprietà è stata colonizzata da una multinazionale cinese della logistica, il gruppo Suning. Che cosa volete che siano i 400 falsi account anti-immigrati e pro-Brexit scoperti dall’Università di Edimburgo rispetto a questa corazzata? Daccordo, quegli account erano collegati (forse) a un server di San Pietroburgo, ma davvero appaiono spiccioli rispetto alla geometrica potenza dei tabloid.
In Italia non esistono quotidiani di diffusione paragonabile a questa roba inglese. In compenso abbiamo molte trasmissioni tv che si abbeverano alle stessa fontana. “Quinta Colonna”, su Rete Quattro, ad esempio fa in media 700mila spettatori a sera con titoli di questo tipo: Italia invasa, nessuno vuole fermare gli sbarchi; Emergenza Rom, vivono al campo ma sono milionari; Ecco le rapine più violente degli ultimi mesi; Grand Hotel Immigrati; Nessuna sicurezza in città; Emergenza Rom, ecco uno scippo in diretta; Immigrazione senza controllo, salute a rischio?.
La trasmissione è uno dei gioielli del gruppo Mediaset. Il suo conduttore storico, Paolo Del Debbio, è stato più volte spinto da Silvio Berlusconi ad entrare in politica: è popolarissimo, se avesse accettato la candidatura a Milano probabilmente oggi sarebbe sindaco. Come quelli del Daily, “pompa” un po’ le notizie: ad esempio, si scoprì che un suo giornalista aveva pagato uno straniero per false interviste in due occasioni: nella prima lo aveva presentato come ladro Rom («Così rubo le auto agli italiani») e nella seconda come estremista musulmano («Sono daccordo se fanno lo sterminio»). Entrambi i video, ovviamente, avevano avuto enorme circolazione e condivisione in Rete, contribuendo al discredito per l’azione di governo e all’invettiva collettiva contro l’immigrazione e contro l’Unione europea.
La denuncia di BuzzFeed sull’Italia riguarda un’azienda a conduzione familiare (la Web365) titolare di 175 domini e di «alcune pagine Facebook con migliaia di follower». Viene da ridere
Tutto questo per dire che, al momento, in Europa, i mezzi più efficienti per orientare l’opinione restano ancora i media tradizionali, cioè la tv e i giornali. I loro “numeri”, tra l’altro sono certificabili a differenza di quelli della Rete dove i seguaci e i contatti si comprano notoriamente un tanto al chilo e le visualizzazioni indicano soltanto chi ha cliccato su un video o su un testo, non se lo ha visto o letto tutto, oppure se è andato altrove dopo due secondi.
La colossale inchiesta Usa sulle interferenze russe nella campagna presidenziale ha individuato 18 canali Youtube “probabilmente legati” a un’agenzia di Mosca, per un totale di 1.108 video, 43 ore di contenuti e 309mila visualizzazioni in 18 mesi.
La denuncia di BuzzFeed sull’Italia riguarda un’azienda a conduzione familiare (la Web365) titolare di 175 domini e di «alcune pagine Facebook con migliaia di follower».Viene da ridere pensando che solo in Italia, e solo nel Dossier Mithrokin (l’elenco dei contatti del Kgb sovietico diffuso negli anni ’90) c’erano undici tra quotidiani e settimanali di diffusione nazionale e un elenco di giornalisti anche notissimi, che scrivevano su testate da milioni di copie vendute in edicola. Nonostante tutto questo i cosacchi non arrivarono mai ad abbeverarsi nelle fontane di San Pietro, un po’ per incapacità loro ma molto per le abilità, le competenze e il professionismo politico degli “altri”, che lasciarono perdere le proposte di censura e fecero battaglia culturale e politica nel Paese. Ricominciare da lì, dall’idea di una politica che faccia il suo lavoro senza inseguire i Meme e gli eserciti dei troll, forse sarebbe una buona idea.