Un aspetto che a volte viene sottovalutato è che il prevalere di opinioni sui fatti non riguarda soltanto il mondo della politica e l’attendibilità di media tradizionali e nuovi, ma investe anche l’economia.
Una diretta conseguenza è che la disinformazione, intenzionale o meno, può coinvolgere anche gli operatori economici. Del rapporto tra fake news e mondo politico si parla quasi ogni giorno. Qualche mese fa il World Economic Forum nella seconda parte del report sul Global Risks 2017 dedicata alle sfide politiche e sociali, si chiedeva se le democrazie occidentali fossero in crisi e individuava tre problemi che esse stanno affrontando.
Il primo è rappresentato dal rapido cambiamento indotto dalla globalizzazione e dalla tecnologia.
Il secondo nodo da sciogliere riguarda la crescente polarizzazione sociale e culturale.
Il terzo rischio da arginare è appunto l’emergere della categoria della post-verità nel dibattito politico, dal momento che un confronto che possa essere definito democratico presuppone l’accettazione dell’altrui punto di vista e la condivisione di una base comune di fatti come riferimento. Se tutto viene messo in discussione, fatti e opinioni sembrano assumere la stessa credibilità in un contesto caratterizzato da un crescente scetticismo che riguarda la politica, i media e anche il mondo economico.
Non è un caso quindi che la comunicazione, in particolare quella in rete, stia diventando fondamentale per le aziende. È stata pubblicata da poco la sedicesima edizione della ricerca Webranking condotta da Lundquist e Comprend che ha valutato la comunicazione digitale tra le 112 aziende italiane esaminate. Ciò che emerge è che in Italia si investe sempre di più sui canali digitali per garantire trasparenza, fornire tutte le informazioni richieste e dunque per conquistare la fiducia degli stakeholder. Anche gli operatori economici devono infatti fare i conti con il pericolo della disinformazione.
Sul Financial Times dello scorso 22 agosto, nell’articolo “Companies scramble to combact fakenews”, Hannah Kuchler evidenziava i danni che essa comporta alla reputazione delle aziende e quindi di conseguenza a prezzi e vendite. Viene riportato l’esempio di Starbucks quando circolavano tweet in cui si diceva che la nota catena regalava frappuccini a immigrati privi di documenti, l’hashtag usato era #borderfreecoffee. Secondo Snopes, sito web specializzato nel confutare le fake news, in una recente lista delle 50 notizie false più popolari, 12 riguardavano proprie delle aziende. Può accadere che le notizie false siano motivate politicamente, ad esempio Indra Nooyi, ad della Pepsi, era stata etichettata come una sostenitrice di Trump per frasi mai dette.
Altre fake news invece non sono motivate dalla politica ma vengono diffuse per fare pubblicità negativa o per catturare l’attenzione. Brooke Binkowski, managing editor di Snopes, ha infatti affermato che le fake news non solo feriscono finanziariamente le aziende ma distruggono la fiducia e creano un’atmosfera in cui le persone non sanno di chi possono fidarsi, anche perché il tutto è amplificato su scala mondiale.
Le piattaforme digitali hanno introdotto misure per cercare di rallentare la diffusione della disinformazione, tentando ad esempio di estromettere dalle pubblicità siti noti per essere divulgatori di falsità. Facebook si è alleato con fact checkers come Snopes per flaggare le fake news. Se una notizia viene accertata come falsa, viene etichettata come “disputed” e si abbassa il ranking nella news feed.
Ancora sul Financial Times si legge che Storyful offre un servizio che monitora cosa viene detto sui social media e Weber Shandwick sta commercializzando un software chiamato firebell per preparare le aziende quando vengono travolte da un attacco sui social. La sua chief reputation strategist Leslie Gaines- Ross ha sottolineato che per difendere un’azienda da fake news e campagne denigratorie è importante coinvolgere i propri dipendenti, non solo per renderli i propri occhi e le proprie orecchie. Essi possono anche raccontare per chi lavorano e condividere la loro esperienza a partire dalla cerchia di amici e parenti. Dalla politica ai media, dall’economia alla scienza, pare non vi sia un ambito immune da notizie inesatte o false diffuse in maniera più o meno intenzionale.
L’unico antidoto in grado di contrastare questa tendenza è la fiducia, quella da riconquistare e da alimentare ogni giorno grazie a chi in prima persona lavora o è in contatto con i soggetti colpiti dalla disinformazione e che con le propria testimonianza può provare a raccontare una storia diversa, magari dai toni meno sensazionalistici ma più aderente alla realtà.