Bruciano in fretta, le leadership, ai tempi della politica iper-personalizzata. Pochi anni possono essere la stagione sufficiente a far invecchiare persino il volto dello sfidante più giovane. Che in Italia, almeno fino a ieri, è stato quello di Matteo Renzi. Non è tutta responsabilità del segretario del Partito Democratico, la crisi d’identità della sinistra. Altrimenti bisognerebbe incolparlo anche dei disastrosi risultati raccolti dalla socialdemocrazia in mezza Europa. E’ un fatto però che Renzi, salito in sella appena dopo l’avvio di questa legislatura, stia arrivando già vecchio alle sue prime elezioni Politiche. Un guaio peggiore, a livello d’immagine, dei tanti di cui è disseminata la sua fulminea cavalcata nelle istituzioni. In quattro anni ha conquistato la guida del principale partito di Governo, attraverso le primarie. E’ diventato presidente del Consiglio senza essere mai stato parlamentare, togliendo l’appoggio a Enrico Letta. Ha stravinto le elezioni Europee del 2014, il famoso 40%. Ha fatto e disfatto riforme sul lavoro, la scuola e la Costituzione. Ha dialogato e poi litigato con D’Alema e Berlusconi. Quindi ha perso la poltrona di Palazzo Chigi dopo la pesante sconfitta al referendum del 4 dicembre. Ha subito una scissione, la sconfitta in Comuni storicamente di sinistra come Genova, è tornato alla guida del Pd attraverso altre primarie, si è riproposto come aspirante premier di centrosinistra cercando e respingendo a fasi alterne i possibili alleati, da Speranza a Pisapia. Tutto subito e in fretta.
Non bisogna intonare il de profundis sulla leadership di Renzi, certo. La pagina bianca delle elezioni Politiche è tutta da scrivere. L’ex sindaco di Firenze ha dimostrato in più occasioni una grande resistenza ai momenti di crisi. Alla sua sinistra non ha (ancora) un leader alternativo. Oltretutto, la possibilità che dalle urne non esca una chiara maggioranza contribuisce a considerare tutti dei potenziali vincitori, come spesso accade in Italia. Quello che comunque colpisce è, appunto, la rapidità con cui le novità vengono divorate nel gran banchetto dei talk show, dei ruspanti dibattiti su Facebook, dei selfie e delle giravolte politiche dettate dalla cronaca di giornata. Una guerra di dichiarazioni e di immagini, in cui vittima e carnefice spesso coincidono. Col risultato che il gran rottamatore Renzi, come veniva presentato appena quattro anni fa, è diventato rapidamente uno come gli altri. Costretto a giustificare che cosa ha fatto e non ha fatto quando ha guidato il Governo. Obbligato a entrare nel flusso di commenti in cui condottieri e peones nuotano quotidianamente insieme. Determinato ad alzare in continuazione i toni per mostrarsi sempre giovane e rampante e senza paura.
Nel frattempo, in opposizione al giovanilismo renziano sono cresciuti leader giovani più giovani di lui. Matteo Salvini, a destra. Luigi Di Maio, fra le fila dei 5 Stelle. Renzi ha 42 anni, Salvini 44, Di Maio addirittura 31. Sono arrivati ieri. Politicamente il più vecchio fra loro è proprio il leader Pd, nonostante sia arrivato poco prima. Se tutto è nuovo, verrebbe da dire, niente è più nuovo. Il contrappasso. E questo vale non solo per Renzi. E’ un monito per gli elettori a caccia di svolte rapide e a prezzi scontati. Ma è un messaggio anche per tutte le altre leadership iper-personalizzate che stanno costruendo le loro fortune (non solo in Italia) non sull’esperienza, non sulla stabilità delle carriere, non sulle mediazioni politiche, ma su un’altra abilità. Il saper fiutare l’aria del momento, il momento giusto, qualsiasi cosa voglia dire. Promettendo una sola cosa: quando arriveranno loro al Governo, tutto ma proprio tutto cambierà. Tutto e in fretta. E’ un attimo però a passare dall’immagine di quello che gira con l’auto di famiglia, in jeans e senza scorta all’immagine di quello che viaggia con l’auto blindata, l’aereo di Stato e il codazzo di aiutanti in giacca e cravatta. A quel punto, sembrano tutti uguali. E i problemi irrisolti pure.
Twitter: @ilbrontolo