Confini permeabili con l’Irlanda, pagamento di almeno 40 miliardi di euro per il divorzio dal’Unione europea, diritti garantiti per i tre milioni di cittadini comunitari residenti nel Regno Unito. Gli accordi siglati lo scorso 8 dicembre sulla Brexit sono stati senza dubbio una vittoria netta della parte europea. Ma parlare di Caporetto inglese sarebbe sbagliato, per un semplice motivo: mentre i fautori più duri della Brexit masticavano amaro, negli headquarter della finanza si sorrideva. Il primo livello degli accordi ha mandato «un’onda di sollievo attraverso la City», ha commentato Omar Ali, il responsabile dei financial services di EY (Ernst Young) UK.
È la stessa società finanziaria che da giorni stava facendo discutere giornali e comunità finanziaria, con la sua previsione di un calo di 10.500 posti di lavoro nel settore della finanza dal “giorno uno” della Brexit, a causa degli spostamenti delle società verso mete europee, con Francoforte e Dublino in testa. Si trattava di una stima ridotta rispetto ai 12mila posti di lavoro preventivati un anno prima, ma che ora potrebbe essere considerata eccessiva.
«L’aria sta cambiando, io ho tirato un sospiro di sollievo rispetto agli scenari di hard Brexit che erano stati dipinti inizialmente. Uno scenario come questo ci fa star meglio». A parlare è Giacomo Mergoni, amministratore delegato di Banor Capital Ltd, con sede a Londra. «Theresa May è più forte di quanto si pensasse – continua -. Persone come Michael Gove (ministro delll’Ambiente e dell’Agricoltura, ndr) si stanno allineando alla sua posizione morbida. I membri del governo si stanno rendendo conto che l’unico modo per non tradire le promesse del referendum è cedere è alle richieste dell’Unione europea. È quello che è accaduto con le tre tematiche su cui si è trovato l’accordo la scorsa settimana».
A far brindare gli operatori del settore del risparmio gestito era stato però un documento uscito due giorni prima dell’accordo con Bruxelles, il 6 dicembre. Si tratta di un position paper del governo, chiamato “The UK Investment Management Strategy II”. È un documento che impegna il governo a seguire le indicazioni espresse. E che, sul tema dei rapporti con l’Unione europea è molto chiaro. «Il governo lavorerà con la Fca (Financial Conduct Authority, ndr) per esplorare le possibilità di stabilire un mutuo riconoscimento di accordi sui fondi con le giurisdizioni dei mercati target», si legge. Poco prima si chiariva quale fosse il primo “mercato target”, ricordando che le società di asset management britanniche gestiscono il 36% degli asset in Europa. «Il governo – continua il documento – si impegna ad assicurare una coerenza regolatoria globale e a preservare la coerenza regolatoria globale».
«L’aria sta cambiando, io ho tirato un sospiro di sollievo rispetto agli scenari di hard Brexit che erano stati dipinti inizialmente. Uno scenario come questo ci fa star meglio. Theresa May è più forte di quanto si pensasse. Persone come Michael Gove (ministro delll’Ambiente e dell’Agricoltura, ndr) si stanno allineando alla sua posizione morbida»
Cosa significa tutto questo? Che il governo intende fare di tutto per mantenere un’equivalenza (o coerenza) tra la legislazione europea, oggi rappresentata dalla direttiva Mifid, e quella britannica. Sarebbe proprio questa equivalenza a permettere alle firm londinesi di continuare a operare da Londra nei mercati europei. «Il passaporto comunitario che abbiamo avuto finora – commenta Mergoni – è il modo più facile di fare business nell’Unione europea. Ma è importante, in assenza di un passaporto, che rimanga un’equivalenza tra la legislazione europea. Per gli operatori del risparmio gestito il riconoscimento non sarebbe automatico come ora ma sarebbe comunque possibile». Dopo la pubblicazione del position paper e dopo i primi accordi, aggiunge, emerge chiaramente che «nel mondo degli investimenti stanno cercando una Brexit super-soft».
Con tanto di grassetto un’altra parte del position paper del governo May mette in luce come il governo «riconosca» che «i dipendenti del settore sono un gran numero di lavoratori altamente qualificati provenienti dall’Unione europea». Circa il 10% della forza lavoro nel settore dell’asset management sono di nazionalità dell’Unione europea e questo sale al 20% all’interno della forza lavoro della “alternative investment industry”. «Nel momento in cui cui il Regno Unito lascerà l’Unione europea – continua il documento – il governo ha l’obiettivo di avere un sistema di immigrazione che supporti l’economia in modo che i settori (finanziari) britannici possano continuare ad attrarre i migliori talenti internazionali».
I colloqui sugli accordi commerciali tra Regno Unito e Unione Europea inizieranno il prossimo febbraio e solo allora si avranno degli elementi di certezza in più. Le due ipotesi più citate sono l’accordo tra Unione europea e Canada (Ceta) che tuttavia liberalizzerebbe solo i prodotti e non i servizi, come ricordato nei giorni scorsi dall’ex leader dei LibDem Nick Clegg. E l’accordo tra Ue e Norvegia, che tuttavia sarebbe difficile da far digerire a Londra, dato che lascerebbe quasi tutti gli obblighi di adempimenti attuali (compresi i pagamenti all’Unione) e toglierebbe i diritti di voto al Regno Unito. È possibile che si arrivi a un accordo ad hoc di nuovo tipo.
Oggi, aggiunge l’ad di Banor Capital, «è impossibile quantificare le uscite dei dipendenti da Londra, che in ogni caso ci saranno. Noi come Banor – continua – abbiamo scommesso su Londra. Negli ultimi 18 mesi abbiamo aumentato il nostro personale da 10 a 15 e incrementato il fatturato di oltre il 30%. Siamo in tutti i casi pronti anche per uno scenario di hard Brexit, perché abbiamo una società controllata di diritto lussemburghese che potrebbe operare negli Stati europei».
A far brindare gli operatori del settore del risparmio gestito è stato un documento del 6 dicembre. Si tratta di un position paper del governo, chiamato “The UK Investment Management Strategy II”. Ha fatto capire che il governo intende fare di tutto per mantenere un’equivalenza tra la legislazione europea e quella britannica e per continuare i migliori talenti internazionali della finanza
Ancora da capire sarà se questa Brexit soft porterà nel lungo periodo a rendere la piazza londinese ancora più forte di prima. Lo scenario su cui si ragiona nell’esecutivo May, come si capisce dal “position paper” è diverso nel breve e nel lungo periodo. Nel breve periodo Londra cercherà di limitare i danni, perché l’unica certezza sarà il rischio di un mancato accesso al mercato europeo. Nel lungo periodo l’obiettivo del governo britannico è quello di rafforzare il ruolo di Londra come anello di congiunzione tra l’Asia e gli Stati Uniti. Questa visione si basa sul fatto che il diritto inglese rimane il più utilizzato nei commerci internazionali. Quanto il governo avrà ragione si vedrà. Di certo Londra rimane la piazza internazionale con più transazioni in dollari. Inoltre Londra può diventare ancor di più l’hub finanziario per le attività di investimento della Cina in Europa e negli Stati Uniti.
Uno dei risvolti di questo scenario è che in futuro si allarghi ancora la distanza che separa Londra dal resto del Regno Unito. «Molti operatori della City off the records confessano che vorrebbero una città-Stato indipendente, come Singapore – commenta Mergoni -. Sappiamo però che sarà estremamente difficile, non solo per motivi storici ma per il significato politico di protesta contro le regole di Londra racchiuso nel voto sulla Brexit».