TaccolaCorrado Clini: Ilva, il ministero dell’ambiente dorme ed Emiliano non ha tutti i torti

L’ex ministro dell’Ambiente del governo Monti: «Sono possibili subito interventi tampone, perché il ministero dell’Ambiente non fa nulla? Il mio piano di risanamento prevedeva interventi in 36 mesi e costava 3 miliardi. I commissari non l’hanno attuato, perché i Pm non ne hanno chiesto conto?»

Sull’Ilva si è perso tempo e non si sono prese delle misure tampone che avrebbero potuto alleviare le problematiche per la popolazione, a partire dalle polveri che, nelle giornate ventose, raggiungono dai parchi minerali il quartiere Tamburi di Taranto. Ne è convinto l’ex ministro dell’Ambiente Corrado Clini (governo Monti), che gestì nel 2012 l’esplosione del “caso Ilva”, con l’arresto di Emilio e Nicola Riva e il sequestro dell’area a caldo disposta dal Gip di Taranto Patrizia Todisco. Ne seguì una nuova autorizzazione ambientale che portò alla riduzione delle attività e che predispose un piano di risanamento da 3 miliardi di investimento (in luogo degli attuali 1,15 interventi ambientali più 1,25 interventi industriali) da realizzarsi in 36 mesi (mentre l’attuale piano prevede la conclusione degli interventi entro il 2023, con la copertura dei parchi minerali in 36 mesi). I rilievi di Clini sono diretti in primo luogo al ministero dell’Ambiente, che dovrebbe «individuare le misure di protezione dell’ambiente e della salute in questa fase transitoria». Ma è tutta la gestione commissariale che finisce sotto accusa, proprio per il fatto di non aver attuato il piano ambientale incorporato in una legge del 2012. Per questa ragione e per la circostanza che il nuovo piano ambientale è stato revisionato da un Dpcm e non da una legge, avverte: le obiezioni del presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, almeno sul piano formale, «sono condivisibili».

Professor Clini, tecnicamente l’intervento ambientale si può fare in meno tempo dei cinque anni e mezzo previsti dal piano ambientale di Arcelor Mittal, che vede concludere i lavori nel 2023?
Sì. Quando da ministro nel governo Monti predisposi l’Aia, la autorizzazione integrata ambientale, negoziai con la proprietà di allora, il gruppo Riva, il rispetto dei termini. Dopo qualche settimana dalle nostre richieste si dissero pronti a fare degli interventi in 36 mesi per interventi su tre fronti: le cokerie, gli altiforni e la copertura dei parchi minerali. Il valore degli interventi era di 3 miliardi di euro. Quell’Aia è rimasto un documento di riferimento, a fine 2012 fu incorporato in una legge (L. 231/2012, ndr). Era stabilito per legge che entro il 2015 il piano ambientale dovesse essere finito. Ne consegue un aspetto, che ho sottolineato più volte nell’indifferenza generale.

Quale?
Che tutti i rinvii che sono seguiti da allora sono al di fuori della legge. Sono stupito che nessuno, comprese le autorità giudiziarie, abbiano detto ai commissari che erano fuori legge. Quando Michele Emiliano, che pure è politicamente molto lontano da me, va al Tar qualche ragione ce l’ha. Sulla base di quale normativa stanno procrastinando i tempi? Siamo due anni dopo la scadenza dei termini, qualcosa non ha funzionato.

Emiliano ha ragione a dire che gli enti locali non sono stati coinvolti abbastanza?
Non saprei rispondere nel merito. Emiliano ha lamentato il fatto che il Dpcm sul piano ambientale del 29 settembre non ha preso atto delle posizioni degli enti locali. Di certo il Dpcm non ha la forza di sostituire una legge, quella che integrava l’Aia del governo Monti del 2012, sulla revisione dei termini di risanamento. Si doveva andare in Parlamento e fare una nuova legge che prorogasse i termini. Su questo punto le obiezioni di Emiliano sono condivisibili.

«Tutti i rinvii che sono seguiti [all’autorizzazione ambientale del 2012] sono al di fuori della legge. Sono stupito che nessuno, comprese le autorità giudiziarie, abbiano detto ai commissari che erano fuori legge. Quando Michele Emiliano, che pure è politicamente molto lontano da me, va al Tar qualche ragione ce l’ha»


Corrado Clini

Per la copertura dei parchi minerali il nuovo piano ambientale prevede 36 mesi. Si può fare in un tempo minore?

Dal punto di vista tecnico l’intero intervento sull’acciaieria richiede tempo, servono 36 mesi. Alcune cose si possono però fare prima. Per esempio sui parchi minerali si possono fare degli interventi tampone per limitare i danni. Non basta innaffiare i cumuli di minerale ferrorso. Bisogna mettere delle barriere e coprire le aree che sono più esposte. Sono sorpreso che i commissari non ci abbiano pensato subito.

Una domanda all’ex medico del lavoro: quanto incide la copertura dei parchi sull’inquinamento?
La copertura incide sul pulviscolo, che ha una responsabilità su fenomeni irritativi e relativamente a malattie della parte alta dell’apparato respiratorio. C’è poi la parte del cosiddetto “rischio chimico”, che è legata ad attività di combustione e di presenza di idrocarburi nell’atmosfera. Quando predisposi la “mia” autorizzazione integrata ambientale, previsi l’adozione delle migliori tecnologie disponibili in Europa.

Coprire i parchi non risolve quindi i problemi maggiori?
Risolve il problema ambientale più macroscopico. Gli interventi sugli impianti riducono invece l’inquinamento della produzione di cokerie e altiforni, che, attraverso gli idrocarburi, sono responsabili di malattie respiratorie e hanno effetti cancerogeni. È un ciclo produttivo che notoriamente va tenuto sotto controllo, anche attraverso interventi continui di manutenzione ordinaria e straordinaria. L’output negli ultimi anni si è ridotto perché è scesa la produzione di acciaio. Per ridurre le emissioni ci sono due modi. O si chiudono gli impianti, che è quello che chiedevano in molti quando io ero ministro dell’Ambiente. Oppure si risanano gli impianti. È la strada che all’epoca da ministro seguii e che fu molto contestata. Ora curiosamente è quello che tutti chiedono.

Anticipare l’intervento di copertura dei parchi ha un costo. Chi può mettere i soldi? Prima del congelamento del tavolo dei retroscena parlavano di un piano per far anticipare parte della spesa alla gestione commissariale, che si sarebbe dovuta rivalere in seguito su Arcelor Mittal. Altri invocano l’intervento della Cassa Depositi e Prestiti.
In base alle leggi europee il risanamento è a carico del proprietario dell’impianto. Noi proprio per questo avevamo chiesto i 3 miliardi di interventi ai precedenti proprietari. Il piano attuale prevede interventi da parte del pubblico per oltre un miliardo, mi aspetto che la Commissione europea apra una procedura di infrazione per aiuti di Stato.

Si arriverà a questo?
Le strade possibili in questi casi sono due: o si nazionalizza, che è una procedure complessa ma possibile. O ci si assume degli oneri che non è lecito assumersi. Qui la situazione è ingarbugliata. Il governo Letta decise la strada del commissariamento – a mio avviso con un provvedimento immotivato -. Questo deresponsabilizzò il gruppo Riva e diede ai commissari una responsabilità impropria. Sono entrati dei fondi pubblici e ritengo che la questione con la Commissione europea sia tutt’altro che conclusa.

«Sono stupito dal fatto che il ministero dell’ambiente non abbia fatto quello che bisognava fare: individuare le misure di protezione dell’ambiente e della salute in questa fase transitoria. Nella situazione attuale emergono fenomeni, come le polveri che arrivano sul quartiere Tamburi. Se si assume come ipotesi che questo avvenga ancora per i prossimi tre anni, non è possibile non fare nulla prima»

Come giudica il ruolo giocato dal ministero dell’Ambiente?
Sono stupito dal fatto che il ministero dell’ambiente non abbia fatto quello che bisognava fare: individuare le misure di protezione dell’ambiente e della salute in questa fase transitoria. Nella situazione attuale emergono dei fenomeni, come le polveri che arrivano sul quartiere Tamburi. Se si assume come ipotesi che questo avvenga ancora per i prossimi tre anni, non è possibile non fare nulla prima. Al governo dico: siete capaci di entrare nel merito e di dire quali interventi debbano essere fatti subito e di dire all’azienda che questo è prioritario? Il ministero dell’Ambiente sarebbe dovuto intervire su questo punto, in base alle leggi italiane. Gli strumenti ci sono.

Se il Tar di Lecce accogliesse il ricorso degli enti locali gli impianti si spegnerebbero, come mette in guardia il ministro dello Sviluppo economico Calenda?
Se il Tar accogliesse la richiesta, da ministro dell’Ambiente farei assumere con gli enti locali le iniziative e le prescrizioni per l’azienda per fare in modo che i rischi più urgenti fossero tamponati. Il problema vero per la continuità produttiva non è il ricorso al Tar ma la continuazione dell’inquinamento. Può far scattare la richiesta di chiusura da parte del tribunale ma anche da parte del sindaco, che è anche autorità sanitaria. Di fronte a un’ordinanza del sindaco gli impianti dovrebbero fermarsi.

La gara per l’assegnazione dell’Ilva, vinta dalla cordata guidata da Arcelor Mittal, ha pesato a sufficienza le questioni ambientali?
Alla luce di quello che viene ora alla luce, penso che sarebbe dovuta essere posta maggiore attenzione alle soluzioni tecnologiche. Il punto di riferimento avrebbe dovuto essere il piano ambientale. Ho l’impressione che questo tema sia stato considerato ma non nella maniera più adeguata. Leggo dai giornali che anche la Commissione europea avrebbe delle perplessità su questo aspetto.

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