Tra i tanti aneddoti della vita di Winston Churchill che si raccontano da sempre ce n’è uno molto famoso che rende perfettamente il carattere di quello strano personaggio. Il fatto potrebbe essere accaduto, stando all’unica testimonianza esistente, fatta da una sua guardia del corpo, nel 1946. I personaggi furono l’allora non più Primo Ministro del Regno Unito e una deputata del partito laburista, Bessie Braddock.
Racconta la guardia del corpo che la deputata, vedendo Churchill visibilmente ubriaco, gli disse piccata: «Winston, lei è ubriaco, e quel che è peggio è che è ubriaco in modo osceno». Churchill, la cui dieta alcoolica è passata alla storia almeno quanto le sue capacità oratorie, le rispose rincarando la dose: «Bessie, mia cara! Lei è brutta, e quel che è peggio è che è brutta in modo osceno. Ma io domani mi sveglierò sobrio, mentre lei sarà ancora brutta in modo osceno».
Al di là della veridicità dell’aneddoto, la cui ampia ricostruzione storica con annesso tentativo di verifica si può trovare sul sito Quote Investigator, il personaggio che emerge da questo scambio è, a parere unanime, abbastanza fedele a quello che fu realmente Churchill: un personaggio scontroso, ironico, decisamente schietto e geniale.
«Lei è brutta, e quel che è peggio è che è brutta in modo osceno. Ma io domani mi sveglierò sobrio, mentre lei sarà ancora brutta in modo osceno»
Ecco, Darkest Hour che in italiano sarà L’ora più buia, il film di Joe Wright dedicato al primo mese da primo ministro di Winston Churchill e che uscirà nelle sale italiane il 18 gennaio, assomiglia a questo aneddoto: è pieno di fatti sostanzialmente inventati o esagerati — dal viaggio in metropolitana in cui Churchill chiede ai passeggeri un consiglio sulle trattative di pace con Hitler caldeggiate da Chamberlain e Halifax, fino alla frase, urlata da dentro a una toilette sul fatto che fosse in grado di gestire solo una merda alla volta — dipinge Churchill come una sorta di capo comico, ma, al netto di tutto, funziona. Di più, è un film di quelli che quando esci dalla sala hai la sensazione di aver visto addirittura qualche cosa di importante.
Quel qualcosa di importante è la dimensione umana di un uomo che si trova al centro della storia senza nemmeno volerlo, un uomo che sembra sconfitto in partenza, osteggiato dai suoi, ritenuto un incapace dal Re, costantemente alterato dal whisky e dallo champagne. Un uomo che si trova a dover affrontare la più grande minaccia della storia e che pur non sapendo nemmeno da che parte iniziare, sa con certezza solo una cosa, che davanti alla aggressione nazifascista non è possibile fare nemmeno un passo indietro. Nemmeno per prendere la rincorsa.
Era il mese di maggio del 1940, alla fine della guerra sarebbero mancati ancora 5 anni giusti giusti. Erano i giorni in cui la quasi totalità delle truppe britanniche erano circondate dai tedeschi a Dunkerque e in cui stati storicamente potenti e illustri quasi quanto il Regno Unito — Belgio, Olanda, Francia — cadevano in pochi giorni sotto l’avanzata inarrestabile dell’esercito del Reich.
Davanti alla aggressione nazifascista non è possibile fare nemmeno un passo indietro. Nemmeno per prendere la rincorsa
E mentre il governo britannico vacillava ed era a pochi passi dall’accettare l’eventualità di trattare la resa con Germania e Italia, Winston Churchill, pieno di whisky e di amor patrio, si impuntò e, mentre la classe dirigente del partito conservatore stava meditando una strategia per liberarsi di lui, con un misto di culo e orgoglio riuscì a far puntare il tallone di un intero paese su una linea oltre la quale non sarebbe mai arretrato.
Quando, alla fine di quel maggio infernale, arrivò la notizia che una quantità insperata di soldati britannici erano stati evacuati da Dunkerque grazie all’appoggio di quasi mille imbarcazioni da diporto, barche private dai 10 ai 30 metri requisite per la operazione Dynamo, Churchill dettò alla sua segretaria uno dei suoi discorsi più celebri, che lesse al parlamento il 4 giugno 1940.
«Combatteremo in Francia», disse a un certo punto Churchill con la solita voce rotta dal whisky, «combatteremo sui mari e gli oceani; combatteremo con crescente fiducia e crescente forza nell’aria. Difenderemo la nostra isola qualunque possa esserne il costo. Combatteremo sulle spiagge, combatteremo sui luoghi di sbarco, nei campii nelle strade e nelle montagne. Non ci arrenderemo mai, e persino se – ciò che io non credo neanche per un momento – questa isola od una larga parte di essa fossero asservite ed affamate, in quel caso il nostro Impero, oltre i mari, armato e vigilato dalla Flotta britannica, condurrà avanti la lotta sinché, quando Dio voglia, il Nuovo Mondo, con tutte le sue risorse e la sua potenza, non venga avanti alla liberazione ed al salvataggio del Vecchio Mondo».
Combatteremo sui mari e gli oceani; combatteremo con crescente fiducia e crescente forza nell’aria. Difenderemo la nostra isola qualunque possa esserne il costo. Combatteremo sulle spiagge, combatteremo sui luoghi di sbarco, nei campii nelle strade e nelle montagne. Non ci arrenderemo mai
Gli Stati Uniti erano ancora neutrali. Churchill non poteva sapere che, esattamente 4 anni dopo, giovani proveniente da tutto il Mondo, non solo quello Nuovo — dagli Stati Uniti all’Australia, dall’India alla Nuova Zelanda, dal Marocco al Pakistan — sarebbero arrivati migliaia in soccorso del Vecchio e, tutti insieme, formando la più grande e variopinta alleanza della storia, non solo avrebbero resistito, ma l’avrebbero anche sconfitto quell’incubo arrogante e xenofobo del nazifascismo.
Ora, a 70 anni di distanza, mentre in Italia e non solo, il germe di quella arroganza, di quella violenza e di quella volgare xenofobia sta tornando ad attecchire, forse qualcosa da imparare da quell’arrogante ubriacone di Churchill ce l’abbiamo ancora: con la tigre non si tratta e non si arretra di un passo.
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