Disney s’è comprata metà dell’immaginario occidentale (ed è una pessima notizia)

Walt Disney ha acquisito gran parte della Century Fox, arrivando ad essere il più grande operatore cinetelevisivo del mondo. E se Trump festeggia, gli spettatori di tutto il mondo si preoccupano: c'è in gioco il futuro di metà dell'immaginario occidentale, da Star Wars ai Simpson

52 miliardi di dollari. È questa la cifra con cui The Walt Disney Company ha acquisito una delle rivali più importanti, la Century Fox, prima di proprietà della famiglia Murdoch. L’annuncio è stato dato settimana scorsa, proprio mentre nei cinema di tutto il mondo veniva distribuito The Last Jedi, l’ottavo film della saga di Star Wars, il terzo — se si conta anche Rogue One, lo spin off uscito il Natale scorso — da quando Disney, nel 2012, ha acquisito la Lucas Film per 4 miliardi di dollari.

Per il mondo del intrattenimento televisivo e cinematografico è una notizia gigantesca, come gigantesca ora è l’ombra con le orecchie tonde che aleggia sull’immaginario audiovisuale occidentale. Donald Trump ha commentato l’acquisizione con giubilio: creerà un sacco di posti di lavoro, ha fatto dire dalla sua portavoce, aggiugendo che spererebbe di vederne molte altre di operazioni di questo tipo.

Non c’è da meravigliarsi. Come agli occhi di Obelix ogni cinghiale appare come già infilato in uno spiedo, agli occhi di Trump qualsiasi cosa assume la forma dei dollaroni. Per noi comuni spettatori, invece, la notizia è di quelle che fanno venire i brividi e i sudori freddi. Anche perché non è certo la prima grossa acquisizione che The Walt Disney Company porta a compimento negli ultimi quindici anni.

Prima della Century Fox, infatti, nel paniere dell’impero dalle orecchie tonde sono finite anche la Pixar (rilevata per 7,4 miliardi di dollari nel 2006), la Marvel (nel 2009, per 4,24 miliardi) e la Lucas Film (nel 2012, per 4 miliardi di dollari. Insomma, ora che con altri 50 e passa miliardi si è presa anche la Century Fox, la Disney ha il controllo sulla produzione di una larga parte dell’immaginario cinematografico e televisivo dell’intero mondo occidentale, dal già menzionato Star Wars fino ai Simpson.

A&E, ABC e sottomarchi, Buena Vista, ESPN, Disney e sottomarchi, History Channel, Marvel, Lucas Film, Touchstone, a cui ora aggiungiamo due robettine del calibro di 21th Century Fox e tutti i sottomarchi Fox tranne i canali televisivi, che Disney non si può comprare perché già ne possiede (ABC). Il mazzo è enorme. A livello di mercato, se contiamo soltanto il box office americano, il colosso Disney-Fox, una specie di volpe con le orecchie tonde, mette insieme più del 28 per cento del mercato, sostanzialmente raddoppiando il risultato del secondo, Warner Bros, fermo a poco più del 15 per cento. Sony, Universal e Paramount, le altre big del settore, devono mettersi in tre insieme per superarlo, con i rispettivi 12%, 11,5% e 10,9% del mercato americano.

Ma non sono in ballo soltanto un sacco di soldi. Disney infatti è un brand dalla personalità molto, per così dire, esigente, che, malgrado i suoi vertici rassicurino di voler lasciare piena autonomia a tutti i marchi, una volta acquisita la parte economica non esita a entrare nella parte creativa. Giusto per capire la dimensione del problema, esiste in inglese esiste ormai da qualche tempo l’espressione The Disney Effect, che Urban Dictionary definisce così: «The act of making a bad/horrendous sequel or prequel to an originally good movie», ovvero, il fatto di trarre da bei film originali dei cattivi/pessimi sequel e prequel.

Una specie di re Mida al contrario? Dipende dai punti di vista. Nel senso strettamente economico è difficile dire che la strategia del colosso dell’intrattenimento sia perdente. Anche soltanto osservando la trasformazione di Star Wars e i relativi risultati al box office si evince che l’effetto Disney avrà pure scontentato tanti vecchi fan, ma ha fruttato un sacco di soldi.

Cosa ci dobbiamo aspettare dai prossimi anni? Valutando la recente attitudine di Disney, che, come scrive Brent Lang su Variety, è il «concentrarsi quasi esclusivamente in film di supereroi, avventure animate e sequel o spin off di Star Wars» e, continua Lang, nel fatto che «la Dinsey non sembra interessata a produrre e distribuire nulla che sia R-rated», ovvero, vietato ai minori di 17 anni. E non si sta certo parlando di industria del porno. Si parla di film come It, Detroit, Mother, The Big Sick, Atomic Blonde, The Post, Alien: covenant, Kingsman 2: The Golden Circle, per restare soltanto ad alcuni dei film usciti quest’anno. Per non parlare di tutti i format televisivi di cui si è appena aggiudicata la proprietà, dai Simpson fino ai Griffin.

Insomma, l’ombra lunga delle grandi orecchie fa paura sul serio. E il futuro prossimo del nostro immaginario, almeno dal punto di vista televisivo e cinematografico, rischia di essere letteralmente piallato dall’Impero dell’Happy Ending.

X