Il nemico del mio nemico è mio amico. Questo assunto vale, soprattutto, in geopolitica.
Nei giorni seguenti alla dichiarazione di Trump sul riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele si sono susseguite una serie di teorie che miravano ad indagare quale sarebbe stata la prossima mossa di Trump in medio oriente e i motivi che hanno spinto Trump a prendere quella storica decisione. Al netto delle opinioni, quello che sembra chiaro – riflettendo su come si sta muovendo la diplomazia americana nella regione – è la contrapposizione sempre più marcata tra Iran e Stati Uniti. Qui l’ago della bilancia è Riyad, criticata tra le righe anche al summit dei Paesi della cooperazione islamica (Oic) di due giorni fa a Istanbul – che ha proclamato Gerusalemme Est capitale della Palestina – per aver assunto una posizione troppo morbida verso la decisione di Trump. L’Arabia Saudita infatti intrattiene importanti rapporti commerciali con gli Stati Uniti, e allo stesso tempo è anche il nemico numero uno di Teheran. La Turchia, che al summit ha fatto la parte del leone, ha sottolineato per mezzo del ministro degli esteri turco Mevlut Cavusoglu come «Alcuni Stati arabi hanno espresso una posizione estremamente debole, pare che alcuni temano fortemente gli Stati Uniti».
Via Washington e Riad allora. Al loro posto Erdogan, padrone di casa, si presenta come il nuovo paladino della causa palestinese agli occhi dei paesi arabi, suggellando la sua immagine di uomo forte in medio oriente.
Ma al summit la Turchia non è stato l’unico Paese a rinforzare la propria posizione. Anche l’Iran, che boccia la mediazione degli USA prestando il fianco ad Abu Mazen, ha avuto l’occasione di farsi bello agli occhi dei sunniti.
Al netto delle opinioni, quello che sembra chiaro – riflettendo su come si sta muovendo la diplomazia americana nella regione – è la contrapposizione sempre più marcata tra Iran e Stati Uniti
Facciamo però un attimo un passo di lato. L’ostilità dell’America nei confronti di Teheran ha risvegliato, già da prima della proclamazione di Gerusalemme come capitale di Israele, anche un altro protagonista non esattamente regionale: la Cina.
Pechino considera Teheran come un “partner strategico”, e già durante la guerra in Siria si era allineato alla linea diplomatica che assieme alla Russia sostiene Assad. L’apporto era stato fattivo, con un accordo di aiuti siglato tra Pechino e Damasco ad agosto del 2016; mentre qualche mese dopo era arrivato anche il patto che consolidava le relazioni bilaterali tra Iran e Cina in materia di difesa e cooperazione militare.
Nel frattempo Trump viene eletto presidente, e tutto il suo scetticismo nei confronti del riavvicinamento tra Stati Uniti e Iran esplode lo scorso ottobre quando annuncia che, se non ci saranno miglioramenti, non certificherà l’accordo sul nucleare iraniano – anche se l’accordo sul nucleare è ratificato dall’Onu, perciò non può essere rotto unilateralmente da un unico Paese.
La Cina in realtà ha sempre continuato a mantenere ottimi rapporti con il Paese guidato da Rouhani, dopotutto Xi jinping è stato il primo capo di Stato a visitare l’Iran dopo la cancellazione delle sanzioni. Poi sono iniziati a piovere soldi. Dieci miliardi di dollari per l’esattezza, nell’ambito di un accordo tra i due paesi che riguarda progetti strutturali firmato a settembre di quest’anno. E infine l’annuncio della Central Bank of Iran di qualche giorno fa circa l’estensione della cooperazione bancaria tra i due paesi, minore dipendenza dal dollaro e maggiore affidamento sulle valute locali negli accordi commerciali.
I legami tra i due paesi paiono sempre più intensi, e il motivo è molto semplice: l’Iran è un paese strategicamente rilevante per la nuova Via della Seta , l’ambizioso progetto di infrastrutture lanciato da Pechino per collegare in modo più efficace l’Asia all’Europa. Infatti, come sottolinea l’Asia Times, l’Iran è il principale anello di collegamento nelle rotte dell’Asia centrale e del Caucaso.
Claudia Astrarita scrive su Panorama che la Cina vede l’Iran come un piano B, nel caso qualcosa andasse storto con nazioni problematiche quali la Russia, il Pakistan e l’Afghanistan.
Quello che è certo è che la Cina continua ad intensificare i rapporti con l’Iran, mentre dall’altra parte del golfo l’Arabia Saudita si lega sempre di più agli Stati Uniti, e per questo motivo si compromette agli occhi dei paesi arabi. Se all’interno dei giochi inseriamo la Russia – anch’essa scesa in campo al fianco di Assad assieme all’Iran – il cerchio si chiude: il triangolo strategico Mosca Pechino Teheran è servito.