La grande “elle” rovesciata dell’Oriocenter sbrilluccica di lucine natalizie blu. Ma qui, nel più grande centro commerciale d’Italia, in faccia all’aeroporto di Bergamo, si respira tutt’altro che aria di festa. Basta nominare la circolare arrivata dalla direzione sulle aperture di Natale, che il sorriso dei commessi si trasforma improvvisamente in ghigno. La metà dei quasi tremila dipendenti dei 280 negozi, bar e ristoranti della struttura creata da Antonio Percassi ha già messo nome, cognome e firma sotto la petizione “Santo Natale, Santo Stefano, Capodanno non si lavora!”. E i sindacati continuano ad aggirarsi tra grucce, maglioni e scarpe per trovare altre adesioni. Lo scorso 27 novembre, mentre dentro si cominciavano a fare i primi pacchetti regalo, fuori si è tenuto un sit in di protesta con circa mille lavoratori. E se dalla proprietà continueranno a fare il muso duro, l’ipotesi è anche quella di mettere in scena il primo sciopero natalizio.
Dopo la protesta del Black Friday dei dipendenti Amazon, ecco la battaglia di Natale. Nella cattolicissima Bergamo tutto è cominciato quando dal Consorzio operatori Oriocenter il 10 novembre hanno spedito la circolare che annunciava, per la prima volta nella storia di questo gigante di vetro e scale mobili, l’apertura totale per il 26 dicembre dalle 9 alle 22, come un qualsiasi giorno feriale, e fino alle 23 per l’area food e cinema, dove si lavorerà dalle 17 alle 23 anche il giorno di Natale e il primo dell’anno. Apriti cielo. I dipendenti non ci hanno visto più. E anche dalla Curia hanno fatto trapelare più di una critica.
«Dopo primo maggio, ferragosto, 25 aprile, 2 giugno, Ognissanti, Immacolata, Epifania, pasquetta e tutte le domeniche del mese, c’era rimasto solo Natale. Ora vogliono toglierci anche questo», dice Flavia, 25 anni, rappresentante della seconda generazione dei lavoratori dell’Oriocenter. La madre è stata assunta quando il centro commerciale ha aperto, nel lontano 1998. E ora sta dietro il bancone di un negozio di abbigliamento a qualche centinaio di metri da lei. Si vedono ogni tanto in pausa pranzo. Ed entrambe hanno firmato la petizione. «Che vengano anche loro dai piani alti a lavorare a Natale e Santo Stefano», dicono, «così capiscono cosa si prova». Si racconta che in passato, davanti a una provocazione simile, il direttore del centro Ruggero Pizzagalli sfidò i sindacati e si fece vedere tra i corridoi durante un giorno festivo. «Ma solo per qualche ora», commentano tutti.
Dopo la notizia del Natale lavorativo, a muoversi per primo è stato un gruppetto di commesse di una nota catena del fast fashion. A Oriocenter oltre otto lavotori su dieci sono donne. Lo stipendio medio per un full time è di 1.100 euro, ma la gran parte ha contratti part time a 24 ore. Molte di loro sono state dirottate in questa piccola cittadella coperta dopo la chiusura delle tante fabbriche tessili della bergamasca. «Ogni anno è sempre peggio», dice Mara, due bambini e un marito. «Vogliono toglierci anche quei pochi giorni in cui riesci a stare a casa con i tuoi figli. Si parla tanto di famiglia, ma poi guai se non compri una maglietta il giorno di Natale! Mica salviamo la vita di qualcuno vendendo panini e mutande!», commentano Manuela e Sara. «Qui ci sono mamme sole o divorziate. Che fanno? Lasciano i figli soli a Natale? I nostri sono bambini di serie B?». E un cameriere lancia un messaggio: «Ai clienti vorrei dire che li accoglierò con il sorriso, ma in realtà vorrei tanto restare a casa».
Sembra la storia del Grinch che rubò il Natale, lettura obbligata dei bambini americani. E il modello qui sono proprio gli States, dove qualcosa di aperto la trovi sempre, qualunque giorno, a qualsiasi ora.
Oriocenter in Italia è stato e continua a essere precursore delle novità del commercio. Primo in Italia ad aprire 52 domeniche all’anno, senza dover aspettare il “salva Italia” di Monti, ma sfruttando una legge regionale confezionata ad hoc che lo identificò come “polo turistico” per la sua vicinanza all’aeroporto. Uno a uno, senza che i lavoratori battessero ciglio, sono stati depennati i giorni rossi sul calendario. Il mantra è: se non vendiamo chiudiamo e tu perdi il lavoro. «Ma così non è», ribatte Terry Vavassori, delegata della Fisascat Cisl, ex dipendente del grande supermercato del centro. «E ne abbiamo un esempio qui vicino. Le Acciaierie di Cortenuova ha cominciato insieme a Oriocenter ad aprire ogni domenica. Eppure è fallito!».
Dopo primo maggio, ferragosto, 25 aprile, 2 giugno, Ognissanti, Immacolata, Epifania, pasquetta e tutte le domeniche del mese, c’era rimasto solo Natale. Ora vogliono toglierci anche questo
L’obiettivo finale, secondo i sindacati, è che il centro rimanga aperto tutti i giorni, 365 giorni l’anno. «Non abbiamo posizioni talebane, cerchiamo solo di mettere un argine», dice Alberto Citterio, segretario della Fisascat Cisl bergamasca. «Si comincia così, e prima o poi anche gli altri esercizi commerciali della zona dovranno fare lo stesso. Serve un minimo di salvaguardia, non solo per i dipendenti, ma anche per i negozianti».
L’ultima novità è l’apertura fino a mezzanotte nel primo week end di saldi. «Quando hai un compagno o una famiglia e dici che vai a lavorare all’Oriocenter ti augurano buona fortuna», raccontano tutti. Tante famiglie vanno crisi e molti matrimoni falliscono. Tra piani turni dell’ultimo momento, e orari strambi e spezzettati, finisci per non lavorare quando tutti gli altri lo fanno e viceversa. «Meglio lavorare in fabbrica», ripetono in tante. «Almeno riesci ad avere una vita oltre al lavoro».
Secondo i numeri comunicati dalla proprietà, spartita tra il gruppo Percassi e i tedeschi di Commerze Real, dal centro commerciale ogni anno passano 11 milioni di persone, circa 30mila al giorno. Di viaggiatori con la valigia, che attraversano il sottopassaggio e arrivano dall’aeroporto, in realtà se ne vedono pochi. Tante famiglie hanno trasferito tra questi corridoi di marmo la passeggiata della domenica pomeriggio. E i ragazzini, raccontano le commesse, il sabato pomeriggio passano il tempo nei camerini a fotografarsi con indosso vestiti che poi non compreranno. Con i suoi 105mila metri quadri, Oriocenter è diventata una città nella città, ma senza luce naturale. Qui vengono a cantare i divi dei talent musicali, qui si celebrano giornate di solidarietà e le sagre dei prodotti tipici locali. E persino la curva dell’Atalanta si è spostata sotto la galleria coperta per incitare i campioni della squadra di proprietà Percassi, creatore di Oriocenter e titolare di molti dei negozi del centro commerciale. Tra gli striscioni in mostra durante il sit-in del 27 novembre, uno diceva: “Neanche l’Atalanta gioca a Natale. Perché io dovrei lavorare?”.
Il vicino centro commerciale Globo di Busnago ha già fatto retromarcia sull’apertura del 26 dicembre. Ma dalla proprietà dell’Oriocenter l’intenzione sembra tutt’altra. Anche la richiesta di un incontro da parte dei sindacati è caduta nel vuoto. E dopo la notizia dei primi malumori, la direzione ha risposto a suon di circolari per ricordare agli esercenti di mantenere lo stesso livello di accoglienza anche nei giorni festivi. E soprattutto l’obbligo, come da contratto, di alzare le saracinesche quando il centro è aperto. Pena il pagamento di sanzioni, che possono arrivare anche fino a diecimila euro. Qui, pure se il negozio apre in ritardo, le guardie lo segnalano e sei costretto a sborsare una penale. Anche perché i prezzi di affitto richiesti dai piani alti sono proporzionati agli accessi, e più il centro è aperto più i canoni salgono.
Il centro funziona così: la direzione detta le regole e tutti devono rispettarle. E alla fine il consumatore finirà per adattarsi e fare shopping pure il giorno di Natale anziché giocare a tombola. Ma molti dei proprietari dei 280 negozi sottovoce lo dicono che il 26 dicembre non vorrebbero aprire. Qualcuno, nel corso della riunione di fine anno con la direzione, lo ha detto apertamente. Anche perché i fatturati, pure quelli di alcuni grandi negozi, nonostante le aperture extra, con i centri commerciali che spuntano intorno come funghi, si sono ridotti rispetto agli anni passati. E per il 26 dicembre, il gioco non vale la candela. A una settimana dall’avvio dei saldi, la previsione è che Santo Stefano sarà soprattutto un giorno di cambi dei regali di Natale, mentre i dipendenti saranno pagati con la maggiorazione festiva del 30 per cento.
«I lavoratori però non sono obbligati a lavorare», ricorda Mario Colleoni, segretario della Filcams Cgil. Ma tra il dire e il fare ci sono di mezzo i contratti. Il centro commerciale è diviso in due da una cortina di ferro. Quelli della prima ala del centro a essere costruita, hanno i contratti a tempo indeterminato e i rappresentanti sindacali: non a caso hanno firmato quasi tutti la petizione e in tanti hanno già fatto sapere di non essere disponibili a lavorare nei giorni di Natale. Quelli della nuova ala – l’ultimo ampliamento è stato inaugurato lo scorso maggio e in programma ce n’è pure un altro – hanno tutti contratti a tempo determinato, lavori a chiamata o in somministrazione. E qui le cose si complicano.
Si parla tanto di famiglia, ma poi guai se non compri una maglietta il giorno di Natale! Mica salviamo la vita di qualcuno vendendo panini e mutande! Qui ci sono mamme sole o divorziate. Che fanno? Lasciano i figli soli a Natale? I nostri sono bambini di serie B?
Quando il delegato della Filcams Francesco Pisciotta entra nei negozi illuminati a festa per raccogliere le firme della petizione, qualche commessa tra i denti lo dice: «Vorrei firmare, ma ci hanno detto di non farlo. Non posso mica rischiare il posto di lavoro per Natale». E tanti fogli pieni di firme alla fine sono spariti nel nulla tra le scartoffie vicino alla cassa. «Non lo troviamo. E comunque non ci interessa più», dicono le commesse che hanno “cambiato idea”. Salvo poi contattare i delegati via Facebook e incontrarli nei parcheggi sotterranei come nei migliori film di spionaggio.
Il tasso di sindacalizzazione, tra i corridoi dell’Oriocenter, non supera il 10 per cento. I quasi 300 negozi hanno ragioni sociali e dimensioni diverse: dai 300 dipendenti del supermercato “Iper” ai negozietti di 3-4 dipendenti. E le dimensioni contano quando devi mostrare i muscoli. Tanti, a Natale, lavoreranno. E tanti altri non lo faranno. Ci sono negozi che non hanno avuto alcuna adesione da parte dei dipendenti. Altri non più di quattro o cinque. E alla fine saranno molti quadri e store manager a tenere aperti i negozi più grandi. «Ma tutto ha un prezzo», dicono Manuela e Sara. «Non lavoriamo il 26? Ci faranno lavorare 24 e 31». Nel turno serale, ovviamente. Mentre a casa cominceranno a stappare lo spumante.