Sesto San Giovanni, la Stalingrado d’Italia, da quest’estate non è più rossa. Al ballottaggio del 25 giugno 2017 il candidato di Forza Italia Roberto Di Stefano ha vinto contro il sindaco uscente del Pd Monica Chittò conquistando quasi il 60% dei voti. È una svolta significativa per una città che non era mai stata guidata da una giunta di centrodestra. Parliamo di una vera e propria roccaforte della sinistra, dove la fede comunista di buona parte della popolazione è sempre stata un aspetto fondante dell’identità.
La destra ha vinto picchiando duro sui temi dell’ordine, dell’immigrazione, e in particolare della presenza islamica. Lo spauracchio di una “Sesto musulmana” è stato agitato con efficacia dal neoeletto sindaco, che in un’intervista rilasciata ad ottobre si è definito “contro l’islamizzazione”, ma “non contro la libertà di religione”. In particolare la campagna si è focalizzata sul blocco del progetto di costruzione della moschea che la comunità musulmana – rimbalzata per anni in vari luoghi della città – aspetta da più di dieci anni.
L’amministrazione si è mossa subito in direzione contraria alle richieste dei musulmani: “il sindaco neoeletto ci ha negato l’incontro che gli avevamo chiesto per fargli gli auguri, e ha posticipato l’incontro alla formazione della nuova Giunta” racconta a Linkiesta.it l’imam e direttore del Centro Culturale Islamico, Abdullah Tchina. Poi è arrivata la negazione, un unicum in anni di presenza musulmana a Sesto, dell’utilizzo del palazzetto per le celebrazioni della Festa del Sacrificio. Si è aggiunta “l’impossibilità di portare avanti il corso di arabo alla scuola civica – corso per altro aperto a tutti, un servizio di cui ha usufruito per anni anche la comunità copta – per assenza di collaborazione da parte dell’amministrazione”. Infine è arrivato, lapidario, il blocco del progetto della moschea, nello scorso ottobre, grazie al voto del Consiglio comunale sulla decadenza della concessione del diritto di superficie sull’area di via Luini. Un blocco per ora temporaneo fino a quando non si sarà espresso il TAR, che è stato chiamato in causa dalla comunità musulmana per mezzo di due ricorsi.
Lo spauracchio di una “Sesto musulmana” è stato agitato con efficacia dal neoeletto sindaco, che in un’intervista rilasciata ad ottobre si è definito “contro l’islamizzazione”, ma “non contro la libertà di religione”
Ci sarebbe tanto da dire su quella che è stata rinominata in modo fuorviante “la più grande moschea del Nord Italia”. Nel progetto finale infatti la moschea avrebbe dovuto avere l’area della preghiera di una dimensione tale che, secondo le regole di utilizzo degli spazi interni, avrebbe potuto ospitare circa 500 persone. Stiamo parlando quindi di una moschea piccola rispetto alle dimensioni della comunità musulmana di Sesto, composta da circa cinquemila unità.
Incontriamo Tchina Nella periferia di Sesto, dentro al prefabbricato posto al fianco del campo dove avrebbe dovuto sorgere la moschea. È lui a spiegarci la lunga storia della comunità islamica di Sesto San Giovanni. Per nulla isolata e disorganizzata, anzi presa come modello di studio dall’Università Cattolica per la qualità dell’offerta culturale e religiosa: un esempio virtuoso a livello nazionale. «Nei fatti avremmo potuto utilizzare gli immobili di via Veneto [immobile acquisito dalla comunità islamica nel centro della città n.d.r.]senza aspettare un’altra sistemazione, ma abbiamo voluto rispettare la cittadinanza – spiega Tchina -. Questo perché abbiamo una visione, un piano a lungo termine, non guardiamo solo all’attualità. Abbiamo deciso di iniziare un percorso assieme alla città e all’amministrazione. Così, quando arrivi a questo punto, dopo tutti questi traslochi, quando arrivi all’ultima stazione, spendi un milione e duecentomila euro e il progetto viene annullato è un fallimento per la città stessa».
Si sarebbe trattato di un edificio in continuità con il territorio e con la storia di Sesto: di fianco alla zona della preghiera infatti era stato progettato un minareto in acciaio, richiamo esplicito al passato industriale del luogo. Era previsto anche uno spazio aperto a tutti con ristorante, area per incontri di formazione, biblioteca: una vera e propria fonte di riqualificazione per il quartiere.
Insomma, un inesistente pericolo-moschea sarebbe stato agitato a fini propagandistici. Guarda caso, di pari passo con il perpetuarsi di una visione conservatrice della religione cristiana, che spesso viene usata in funzione strumentale. Con il Natale dietro l’angolo, il sindaco ha voluto omaggiare le scuole del territorio di un “piccolo presepe”, baluardo della tradizione cattolica. «Consideriamo importante in questo momento storico difendere la nostra cultura, i nostri valori, le nostre tradizioni. Purtroppo sempre più spesso si moltiplicano in vari comuni e in alcune scuole tentativi di nascondere il Natale. Il Presepe rappresenta la nostra identità oltre a essere portatore di uno straordinario messaggio di pace e speranza e per questo mostrarlo dovrebbe essere un’ovvietà», ha commentato il sindaco Di Stefano.
Si sarebbe trattato di un edificio in continuità con il territorio e con la storia di Sesto: di fianco alla zona della preghiera infatti era stato progettato un minareto in acciaio, richiamo esplicito al passato industriale del luogo
Singolare il fatto che, mentre l’amministrazione comunale sembra virare verso un un conservatorismo cattolico/antislamico, la chiesa locale, nella persona del decano Don Leone Nuzzolese, pur nel rispetto delle varie amministrazioni, ha sempre guardato con sensibilità alle istanze della comunità islamica.
Una tradizione di confronto interreligioso che caratterizza da tempo Sesto. Tra l’altro, proprio in questi mesi il Decanato e il Centro Culturale Islamico hanno organizzato un ciclo di incontri sul tema delle Sacre Scritture (sia la Biibbia che il Corano), con cenni significativi al ruolo di Abramo, patriarca comune, e a quello di Maria. Con una partecipazione più che considerevole da parte dei residenti.
Massimo Fere, membro di Pax Christi e uno degli organizzatori dei percorsi del dialogo interreligioso conferma che «la comunità musulmana ha sempre mantenuto un ottimo rapporto con la chiesa locale, rapporto che negli ultimi anni si è molto intensificato. Sulla scia del magistero di Papa Francesco abbiamo imparato ad ascoltarci reciprocamente, anche nelle rispettive spiritualità. Per esempio dopo gli attentati di Parigi noi della comunità cristiana ci siamo sentiti subito con i musulmani. Per dare un segno alla città. Sarebbe stato semplice organizzare una manifestazione, una marcia. Ma ci siamo detti: “cosa ci caratterizza soprattutto come credenti?” Ci siamo risposti: “l’ascolto”. Così abbiamo preparato un momento di preghiera comune, in cui abbiamo letto reciprocamente testi sacri della Bibbia e del Corano» conclude Fere. Sono solo alcune delle attività che negli anni hanno permesso di legare le due comunità. Per esempio sono stati organizzati anche corsi di lingua per le mamme arabe che faticano a imparare l’italiano. Poi, durante il Ramadam, la cena “Sapori e Saperi” riunisce la cittadinanza nel segno della condivisione: cinquecento persone l’anno scorso.
E per finire c’è da sottolineare la rilevanza delle realtà associative, molto vive a Sesto, che si sono mosse moltissimo negli ultimi anni per favorire l’integrazione.
Insomma, nella nuova Sesto non è così semplice rompere i legami con il passato, e la chiesa di Francesco non si nasconde certo dietro le belle parole: le immagini delle sale che ospitano gli incontri del dialogo interreligioso, gremite di cittadini sestesi, sono la vera faccia di una città che non vuole piegarsi a certe logiche di propaganda, mantenendo invece la qualità del dialogo interreligioso a livello alto. Altissimo.