Lavoro, più contratti a tempo indeterminato (ma non per i giovani)

Il problema del lavoro è la precarietà, ma crescono le assunzioni a tempo indeterminato. Anche se per ora solo al Nord, e solo per chi ha più di 35 anni

È inutile girarci intorno, la maggiore preoccupazione degli italiani rimane sempre il lavoro. Nonostante la ripresa, nonostante l’aumento dell’occupazione, che ha raggiunto i livelli pre-crisi.

Ora è la precarietà a preoccupare, la preponderanza di assunzioni a tempo determinato, che ormai appaiono la modalità principe con cui si inizia una carriera da giovani. Tra il terzo trimestre 2017 e il corrispettivo del 2016 i nuovi posti di lavoro dipendente creati sono stati 482 mila, ma solo 92 mila a tempo indeterminato.

Eppure, anche se meno di quelli a tempo determinato anche i lavoratori permanenti sono cresciuti, e non poco, rispetto ai record negativi della crisi.

Questo perché nonostante tutto qualcosa si muove. Anche dopo la fine quasi totale della decontribuzione sono proseguite le trasformazioni da tempo determinato a tempo indeterminato.

E, anzi, la notizia è che almeno fino agli ultimi dati completi disponibili, quelli relativi a tutto il 2016, a incentivi ormai molto ridotti, la percentuale di lavoratori a tempo determinato che dopo un anno (tra il 2015 e il 2016 per esempio) avevano visto il proprio contratto divenire permanente è cresciuta, ritornando simile a quella degli anni pre-crisi. Si tratta del 21,3%, contro il 16,4% del periodo peggiore, quello tra 2013 e 2014.

Chiaramente come sempre accade questi progressi non sono mai omogenei. La differenza maggiore, manco a dirlo, è a livello di età. Il miglioramento più grande in questi ultimi anni è stato per i 45-54enni, dal 12,3% del 2013/14, al 20,9% del 2015/16. Più ridotto tra i giovani.

Volendo gettare uno sguardo più profondo negli anni il confronto con il primo biennio della serie, il 2004/05, rispetto a cui i dati attuali rimangono comunque peggiori, rivela come sia cambiato il mondo del lavoro.

I precari del 2004 divenivano dipendenti a tempo indeterminato nel 2005 più facilmente se giovani. Ce la faceva il 30% dei 15-24 enni. Nel 2016 erano solo il 19,2% nella stessa fascia di età. Solo tra i 35 e i 44 anni la proporzione rimane la stessa, intorno al 24%.

La percentuale di lavoratori a tempo determinato che, dopo un anno (tra il 2015 e il 2016 per esempio), avevano visto il proprio contratto divenire permanente, è cresciuta

Dati ISTAT

A quanto pare ormai il passaggio da precariato a contratto permanente è più inteso come premio per l’esperienza, come strumento per trattenere il lavoratore esperto che potrebbe andarsene.

Anche perché oggi anche la persona specializzata viene assunta spesso a tempo determinato.

Ritroviamo in queste statistiche anche i cambiamenti di genere nel mondo del lavoro. Ovvero la crisi dell’uomo e l’emergere negli ultimi anni del ruolo della donna, che ha sofferto meno la crisi, avvenuta soprattutto in settori prevalentemente maschili come l’edilizia e l’industria.

E così rispetto a 12 anni fa oggi le differenze tra i sessi a livello di passaggio a tempo indeterminato sono molto diminuite. Erano decisamente maggiori nel 2004/05, con il 30,9% di uomini che riuscivano a fare il salto contro il 21,4% delle donne. Oggi siamo al 22,6% contro il 19,9%.

E attenzione, tra i giovanissimi è più facile che sia una donna, dopo un anno, ad avere un contratto permanente, che un uomo. In quest’ultimo caso per i maschi siamo passati da un 32,4% di probabilità al 18,7%.

Ed è probabile che in futuro sarà sempre più così, con la tendenza delle donne ad essere più istruite.

La donna ha sofferto meno la crisi: avvenuta soprattutto in settori prevalentemente maschili come l’edilizia e l’industria

Dati ISTAT

È un trend evidente in particolare al Sud, dove i numeri sono più piccoli, dove poche donne lavorano, di solito proprio le più istruite, e dove la crisi ha picchiato più duro sui settori a tradizionale appannaggio maschile.

Il Sud, appunto. Il divario tra le macro-aree italiane è sempre più ampio, e lo si nota anche da queste statistiche. Tra 2015 e 2016 la percentuale di lavoratori a tempo determinato passati a tempo indeterminato è stata simile o ha superato i livelli degli anni 2000 solo al Centro e al Nord. Per il Sud è invece sempre crisi nera.

Ormai il Mezzogiorno sembra un altro Paese, che dalla crisi non è mai uscito. Le trasformazioni qui sono ormai poco più della metà che al Nord, mentre una volta erano solo il 25% in meno.

Dati ISTAT

E la differenza maggiore è proprio quella tra Campania e Lombardia. Partiti da dati simili nel 2013/14, nella regione di Milano ci sono stati enormi progressi. I passaggi a tempo indeterminato sono volati dal 19,3% al 31,6%, mentre in Campania sono addirittura diminuiti, in contro-tendenza rispetto al dato nazionale.

La presenza in Lombardia di aziende più grandi, delle multinazionali, dell’industria e dei servizi avanzati che stanno trainando la ripresa non è certo un caso.

Dati ISTAT

Anche la diminuzione della proporzione di insicuri (ovvero di coloro che temono di perdere il lavoro nei prossimi 6 mesi e di non ritrovarlo), che pure c’è stata ed è una buona notizia, risente del crescente divario Nord- Sud.

È infatti proprio in Calabria, la stessa regione dove l’insicurezza è maggiore, al 12,9%, che questa cala di meno.

Dati ISTAT

Ci sarà da aspettare qualche tempo per osservare cosa è accaduto nel 2017. I dati del terzo trimestre ci dicono che a fronte di una crescita in un anno di sole 92 mila unità dei lavoratori a tempo indeterminato ben 347 mila sono state le trasformazioni, che hanno compensato il saldo negativo tra assunzioni e cessazioni.

È probabile che questi passaggi verso un contratto permanente siano sempre più importanti in futuro, e diventino uno degli strumenti principali in mano alle aziende, che non si fidano di assumere subito a tempo indeterminato.

Proprio per questo la doppia velocità che emerge sempre più evidente nei dati strutturali tra Nord e Sud, tra giovani e più anziani, in parte tra uomini e donne, deve fare riflettere ancora di più.

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