Non c’è figura più lontana della sua da quella dei rissosi leader di partito che si sfideranno alle elezioni Politiche di primavera. Ma molto presto sarà il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a gestire un’altra fase delicata della storia politica nazionale. La prossima settimana o al massimo la prima di gennaio, potrebbe sciogliere le Camere dopo un brevissimo giro di consultazioni che certificheranno la conclusione naturale della legislatura. Quasi sicuramente il Capo dello Stato non chiederà le dimissioni del governo di Paolo Gentiloni, ma lo vorrà in carica finché non ce ne sarà un altro. Dopo il voto – atteso a marzo, il 4 o il 18 – e una tornata di nuove consultazioni che si annunciano meno scontate, ormai ad aprile. Silenzioso, misurato, poco avvezzo alle mode, Mattarella sarà in questi mesi l’unico elemento di stabilità della rissosa politica italiana.
Lo dicono le regole costituzionali, che vedono nella presidenza della Repubblica una sorta di camera di compensazione dei difetti degli altri poteri. L’unico ruolo che dura per sette anni: un’eternità, di questi tempi. Lo confermano, poi, le circostanze con le quali si sta avvicinando il voto del 2018: se la distribuzione dei seggi combinata alla nuova legge elettorale impedirà la formazione di una maggioranza parlamentare, spetterà anzitutto al Quirinale favorire una soluzione. Che potrebbe anche passare per un repentino ritorno alle urne – con Gentiloni in carica – dando sostanza a un’ipotesi che per la prima volta è valutata concretamente da tutte le forze in campo. La domanda di partenza è: l’ex democristiano Mattarella si rivelerà un presidente interventista come il suo predecessore, l’ex comunista Giorgio Napolitano, o resterà dietro le quinte? I primi tre anni di mandato, oltre al diverso contesto internazionale, lasciano pensare a questa seconda possibilità. Ma ci sono anche il temperamento e la cultura politica dell’attuale Capo dello Stato a suggerire un determinato percorso.
Quasi sicuramente il Capo dello Stato non chiederà le dimissioni del governo di Paolo Gentiloni, ma lo vorrà in carica finché non ce ne sarà un altro. Dopo il voto – atteso a marzo, il 4 o il 18 – e una tornata di nuove consultazioni che si annunciano meno scontate, ormai ad aprile
Mai fuori dagli schemi, sono stati rari i richiami pubblici di Mattarella. Se non quelli calibrati su precisi temi, come quello dei diritti. Di lui si sa veramente poco: non un vezzo, non una gaffe, non un’immagine curiosa. Mattarella sfugge ai radar, ma incarna la versione più sobria della presidenza della Repubblica: fedele al suo cerimoniale ma senza indulgere a eccessi barocchi. Con Napolitano, i riflettori erano sempre accesi, con Mattarella non c’è invece spazio per la mondanità. Una noia, per i domatori del circo politico-mediatico. Una garanzia, per i cultori della stabilità delle istituzioni. Non è un caso che alla discrezione di Mattarella corrisponda un rispetto largo, fra le fila dei politici, che non sono finora riusciti a trasformare l’inquilino del Colle in un nemico del popolo. Per descrivere l’attuale presidente, alla fine, vengono in soccorso le stesse parole usate dagli amici nel giorno della sua elezione, il 31 gennaio del 2015. Fu l’allora premier, Matteo Renzi, segretario del Pd, a imporre il nome di Mattarella, rompendo il patto del Nazareno con Silvio Berlusconi, che avrebbe preferito eleggere l’ex socialista Giuliano Amato. “Renzi – fece il paragone Pierluigi Castagnetti in un’intervista ad Avvenire – punta sulla velocità, sulla modernizzazione, sulla spinta per il futuro. Mattarella rappresenta la radice solida e saggia, la difesa non conservatrice dei valori costituzionali”.
Due mondi che più distanti non potevano essere, quelli del rottamatore fiorentino e del professore palermitano cresciuto alla scuola della Dc. Renzi, un quarantenne rampante, mediaticamente bulimico, poco ossequioso verso le liturgie repubblicane. Mattarella, un settantenne insensibile alle mode e da tempo lontano dal grande pubblico per chiudersi nel ruolo silenzioso di giudice costituzionale. Eppure, si sono incontrati. Per Castagnetti, segretario dei Popolari quando l’attuale presidente era ministro della Difesa nei governi dell’Ulivo, immaginava al Quirinale un Mattarella “più simile a Einaudi che a Pertini: sarà un uomo attento a difendere le regole, la lettera e lo spirito della Costituzione, ma anche a non invadere spazi altrui, convinto com’è dell’importanza della divisione tra i poteri dello Stato”. Con un’avvertenza: “Non accetterà pressioni e richieste indebite”. Nulla da aggiungere, finora. Alla cerimonia di auguri natalizi con le alte cariche dello Stato hanno garantito la loro presenza anche Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Persino Berlusconi ha trovato nel Quirinale un interlocutore degno di elogio.
“La svolta con Napolitano c’è stata perché era venuto meno lo slancio dei partiti, che avevano perso legittimazione – spiega il professor Mauro Tebaldi, dell’università di Sassari -. Berlusconi era in crisi, l’opposizione di centrosinistra era incapace di creare un’alternativa di governo, mentre l’arrivo del M5S stava rompendo il sistema bipolare”
La presidenza della Repubblica ha tuttavia un doppio volto, e spesso l’uno prende il sopravvento senza plateali preavvisi. Chiunque sia in carica. Amato stesso l’ha definita una “fisarmonica”, che si allunga e si ritira a seconda delle circostanze. Formalmente un notaio, quando serve il presidente usa comportamenti che non sono esplicitati dalla Costituzione ma che ne completano materialmente il ruolo di equilibratore dei diversi poteri dello Stato. E’ l’onda degli eventi a spingere in questa direzione. Francesco Cossiga è stato l’esempio più eclatante di questo tipo di trasformazione, al crollo della prima repubblica: da allora i suoi successori hanno dovuto fare i conti con la mediatizzazione (in parte già iniziata con Sandro Pertini) della figura del Capo dello Stato. L’inedito doppio mandato di Napolitano, dal 2006 al 2015, ha spinto diversi studiosi a parlare addirittura della nascita di un semi-presidenzialismo di fatto.
“Il presidente della Repubblica si muove in relazione alla forza antagonistica che ha rispetto agli altri attori, soprattutto i partiti politici – spiega a Linkiesta il professor Mauro Tebaldi, docente di Scienze politiche all’università di Sassari – . Più i partiti sono forti e capaci di formare coalizioni, meno spazio di azione c’è per il presidente della Repubblica. Viceversa, più i partiti sono deboli, più il presidente della Repubblica riesce ad agire, e lo fa in due modi. Producendo policy, attraverso messaggi al Parlamento, esternazioni e una rete di relazioni ampia ma non visibile, quello che si chiama soft power. Oppure lo fa in modo classico, imponendo soluzioni alle crisi di governo, quando queste non si trovano. E’ il cosiddetto hard power“.
Tebaldi ha pubblicato nel 2005 un libro sul potere del presidente della Repubblica per la casa editrice Il Mulino, ora sta coordinando un’équipe dell’università di Sassari chiamata a creare un database per studiare l’agenda dei capi dello Stato italiani e capire che tipo di incontri, di relazioni hanno stabilito a seconda della situazione politica in cui si sono trovati a operare. “Per esempio – dice il professore – finché non sono intervenuti gli scandali e finché aveva una solida maggioranza in Parlamento, Berlusconi ha visto poche volte Napolitano. Poi l’attività del Capo dello Stato si è intensificata”. Un passaggio che risulta interessante anche per mettere a confronto Mattarella con il suo ingombrante predecessore: “La svolta con Napolitano c’è stata perché era venuto meno lo slancio dei partiti, che avevano perso legittimazione. Berlusconi era in crisi, l’opposizione di centrosinistra era incapace di creare un’alternativa di governo, mentre l’arrivo del M5S stava rompendo il sistema bipolare. E’ mancata l’intermediazione politica, e il presidente della Repubblica è intervenuto per sostituirla. Mattarella è stato eletto invece in una fase di stabilizzazione”.
Il Quirinale, in periodi delicati come quello del 2011, è anche un interlocutore internazionale ritenuto più affidabile di capi del governo espressi da maggioranze effimire. Anche questa caratteristica con Napolitano è stata più evidente: Barack Obama lo interpellava spesso, come anche Angela Merkel, mentre con la regina Elisabetta c’era una consuetudine personale. “In questo – dice il professore Tebaldi – Mattarella ha meno risorse personali del suo predecessore”.
Tutti gli indizi lasciano pensare che di fronte a un nuovo vuoto di potere il presidente della Repubblica userà tutto il suo potere. Ma senza esibirlo.
Twitter: @ilbrontolo