Tutti Premier a loro insaputa. Così la corsa a Palazzo Chigi è diventata una fiction

Non è ancora iniziata la campagna elettorale e già impazzano le indiscrezioni su chi sarà il prossimo premier. Il generale Gallitelli, Marchionne, Draghi. Il ministro Calenda e il leghista Zaia. Nomi buttati a casaccio per posizionarsi e bruciare gli avversari. Tanto alla fine deciderà Mattarella

Un generale dei carabinieri a Palazzo Chigi. L’idea è curiosa, e a dire il vero un po’ inquietante. Il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi l’ha proposta pubblicamente qualche settimana fa, candidando in diretta tv l’ex comandante dell’Arma Leonardo Gallitelli. E se invece il governo italiano fosse affidato a un economista di primissimo piano? Da diversi mesi i retroscena giornalistici considerano il presidente della Bce Mario Draghi uno dei papabili successori di Gentiloni. Un’investitura non si nega a nessuno, soprattutto se priva di qualsiasi valore. E così per il ruolo di premier ecco spuntare il manager Sergio Marchionne e il ministro dello Sviluppo Economico che piace un po’ a tutti, Carlo Calenda. Senza dimenticare il presidente dell’Europarlamento Antonio Tajani, il titolare dell’Interno Marco Minniti e il governatore leghista Luca Zaia… La legislatura si avvia alla conclusione e la politica diventa fiction. Il presidente della Repubblica non ha ancora sciolto le Camere, la campagna elettorale deve ancora iniziare, ma è già partita la corsa a Palazzo Chigi. Nomi buttati sul tavolo un po’ a casaccio, per posizionarsi o bruciare un avversario. E il risultato è una gara surreale priva di qualsiasi fondamento. Una riffa incontrollata – spesso all’insaputa dei diretti interessati – che racconta bene la confusione di questa fase.

Per adesso la parola spetta al Quirinale. Durante le vacanze natalizie il presidente Sergio Mattarella avvierà l’iter che porterà alle elezioni di inizio marzo. Non sfugge che una volta conclusa la campagna elettorale, a urne chiuse, sarà ancora il Colle a decidere. Anche perché a quel punto, con ogni probabilità, nessuno dei leader in campo potrà garantire al presidente una maggioranza parlamentare. È la conseguenza beffarda di questa legge elettorale. La frammentazione del quadro politico obbligherà a correre non tanto per vincere, ma per posizionarsi. La vera partita si aprirà soltanto dopo il voto. E al netto di grandi sorprese, il nuovo governo nascerà dalle intese post elettorali. Già questa certezza rende surreali molte delle attuali candidature. Nei prossimi mesi i leader di partito dovranno metterci la faccia, ma già sanno che non potranno ambire alla premiership. Qualcuno ne ha preso atto, altri fanno finta di non aver capito. Il leghista Matteo Salvini ripete che diventerà premier se il Carroccio sarà il primo partito del centrodestra. L’alleata Giorgia Meloni aspira allo stesso ruolo. I Cinque Stelle hanno addirittura eletto in rete Luigi Di Maio come “candidato premier” del movimento.

La legislatura si avvia alla conclusione e la politica diventa fiction. Il presidente della Repubblica non ha ancora sciolto le Camere, la campagna elettorale deve ancora iniziare, ma è già partita la corsa a Palazzo Chigi. Nomi buttati sul tavolo un po’ a casaccio, per posizionarsi o bruciare un avversario. Il risultato è una gara surreale priva di qualsiasi fondamento. Una riffa incontrollata, spesso all’insaputa dei diretti interessati

Con buona pace delle legittime aspirazioni dei singoli, il discorso si aprirà solo dopo il voto. Lo stesso Matteo Renzi difficilmente potrà tornare a Palazzo Chigi. «Mi pare davvero complicato in un quadro di coalizioni», ha spiegato l’altro giorno al Corriere, con realismo, il ministro della Giustizia Andrea Orlando. «A dir la verità non si immagina premier lui stesso, visto che ne cita altri». Il nome del presidente del Consiglio verrà fuori da un accordo post elettorale. E alla fine, in caso di impasse, potrebbe essere direttamente Mattarella a individuare una figura terza, in grado di guidare un governo di larghe intese. Per il momento la confusione regna sovrana: la quasi certezza che dalle urne non uscirà una maggioranza di governo anticipa una situazione di stallo e incertezza. E tanto per intorbidire ulteriormente le acque, ecco spuntare ogni giorno un nuovo candidato premier. Profili buttati a caso, per accreditarsi o innervosire qualche concorrente. Investiture ufficiali, talvolta. Molto più spesso candidature fatte trapelare maliziosamente per sondare le reazioni. Silvio Berlusconi è un grande appassionato di quest’arte. Negli ultimi mesi il leader di Forza Italia ha indicato un’incredibile serie di possibili premier. Con imprenditori e giornalisti ha fatto il nome del presidente della Banca Centrale Mario Draghi e del manager Fiat Sergio Marchionne. Ha puntato sul fedele collaboratore Antonio Tajani, oggi presidente del Parlamento Europeo, senza nascondere la grande stima per il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda. Un po’ a sorpresa, ha recentemente tirato fuori il nome del generale Gallitelli.

E allora forse ha ragione Matteo Salvini, che l’altra settimana ha perso la pazienza ed è sbottato. Davanti all’ennesima candidatura proposta da Berlusconi, il leader leghista ha commentato con realismo: «Adesso basta nomi a capocchia, per favore».

Senza dimenticare i pubblici apprezzamenti per il premier in carica. «Cosa farei senza una maggioranza dopo le prossime elezioni? – ha spiegato il Cavaliere pochi giorni fa durante la presentazione del libro di Bruno Vespa – La soluzione più corretta è che Gentiloni resti al governo». Inutile dire che il presidente del Consiglio è entrato da tempo, di diritto, nella lista dei possibili candidati. I toni mai urlati, il basso profilo, la sua capacità di mediazione e le contenute ambizioni piacciono trasversalmente. Tanto che per molti potrebbe essere lui il premier adatto in caso di larghe intese tra Forza Italia e Partito democratico. Ma non è il solo componente dell’esecutivo in lizza per la poltrona. Lo stesso segretario dem Matteo Renzi ha recentemente indicato alcune possibili alternative: il ministro dell’Interno Marco Minniti, il titolare della Cultura Dario Franceschini, il collega Graziano Delrio. Ogni settimana si aggiungono nuove ipotesi. Dopo il grande risultato nel referendum sull’autonomia, ad esempio, persino il presidente del Veneto Luca Zaia è stato pubblicamente indicato come probabile premier leghista in un eventuale governo di centrodestra. Tutti premier, a loro insaputa. Il copione si ripeterà ancora per qualche mese. Anzi, in prossimità del voto il surreale toto-nomine potrebbe persino aumentare di intensità. E allora forse ha ragione Matteo Salvini, che l’altra settimana ha perso la pazienza ed è sbottato. Davanti all’ennesima candidatura proposta da Berlusconi, il leader leghista ha commentato con realismo: «Adesso basta nomi a capocchia, per favore».

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