Come sarà il 2018 per i rapporti tra l’Italia e l’Europa? Molto difficile, per molti motivi: per l’insoddisfazione da parte delle istituzioni comunitarie riguardo al ritmo delle riforme italiane, per la rigidità tedesca e per il nervosismo che scaturirà da un probabile stallo nelle elezioni del 4 marzo. Le previsioni sono fatte per essere smentite, per questo il centro studi Nomisma nel presentare il suo volume “The world in 2018” preferisce parlare di “analisi”. Fatto sta che durante l’incontro di presentazione di venerdì 12 gennaio, a Milano, le analisi si sono fatte molto precise. Una su tutte: quella di Erik Jones, direttore dipartimento di studi economici della John Hopkins University – Sais di Bologna e autore di uno della trentina di saggi del volume, raccolti da Andrea Goldstein e Julia K. Culver. Tre i punti chiave dell’intervento di Jones: la Brexit, le riforme delle istituzioni europee e i rapporti tra Italia ed Europa. Sulla Brexit vale la pena di ricordare che i tempi sono più stretti di quanto si immagini, perché se le negoziazioni non si chiudono nell’ottobre 2018 sarà molto difficile arrivare alla firma alla deadline prevista, nel marzo 2019. Più rilevanti, per gli interessi italiani, i punti successivi, tra loro molto interconnessi ed entrambi legati a stretto filo a quel che succederà in Germania.
«È molto probabile che Macron perderà» nella sua sfida di riformare le istituzioni europee, ha spiegato Jones. «Perché? Non per quello che sta succedendo in Francia ma per quello che sta succedendo in Germania». Il motivo è da ricercare in una linea rossa che – al di là dei nostri wishful thinking – rimarrà invalicabile: quella che ha tracciato la Csu (gemella bavarese della Cdu di Angela Merkel) nei colloqui per la formazione del governo. «Non si potrà avere un ministro europeo con una qualche risorsa finanziaria – elenca il docente -. Questo ministro potrebbe solo imporre il controllo sugli altri Paesi. Non si potrà avere un budget europeo che redistribuisca fondi, anche solo in forma di assicurazione, da una nazione all’altra. Non si potranno allocare più risorse al meccanismo europeo di stabilità» cioè il meccanismo di salvataggio degli Stati in caso di crisi. «E non si potrà dare alcuna delle concessioni che Macron sta cercando allo scopo di cambiare forma al governo europeo». A tracciare questa linea rossa, idealmente, è stato un “Non-Paper” vergato lo scorso ottobre dall’ex ministro delle Finanze (ora presidente del Bundestag) Wolfgang Schäuble, che è stato considerato un epitafio per i progetto del presidente francese Emmanuel Macron. «In quel Non-Paper ha descritto la necessità che il coordinamento delle politiche fiscali a livello europeo si concentri non sul deficit ma sul debito, con un dito molto chiaramente puntato sull’Italia», commenta Jones. Non solo: «Si concentra anche sulla stabilità e sui rischi sul sistema finanziario, e in particolare sul grado di esposizione delle istituzioni finanziarie al debito sovrano del proprio paese. Ancora una volta, il dito è puntato in modo molto chiaro sull’Italia».
Tutto parte dalla Germania e dalle linee rosse tracciate dalla Csu sulle riforme europee. Il testo di riferimento è un “non-paper” dell’ex ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble. Le conseguenze di questa rinnovata rigidità arriveranno fino in Italia
Nel governo tedesco, prevede il docente, «non ci saranno compromessi su questo punto. Eppure un compromesso lo devono trovare, perché se spingono troppo duramente su questo punto, destabilizzeranno il sistema bancario italiano». L’accordo premilinare trovato tra Cdu-Csu ed Spd non cambia le cose in tavola, aggiunge il docente. In primo luogo perché i rischi di bocciatura sono ancora presenti, in particolare per la contrarietà della componente giovanile della Spd, chiamata a confermare l’intesa attraverso un referendum, e per i rischi politici che si riproporrebbero per l’Spd alle prossime elezioni. In secondo luogo perché «anche nel best case scenario l’allenza sarebbe così debole che non ci sarebbero le condizioni per un negoziazione che porti al compromesso a livello europeo». Ancora peggio sarebbe lo scenario di un nuovo voto nell’autunno del 2018, per la concomitanza del voto regionale in Baviera. «La Csu non vorrebbe nemici a destra» e le linee rosse sulle concessioni alle riforme europee si farebbero dunque ancora più nette.
È a partire queste linee rosse tracciate in Germania che bisogna partire per capire che succederà tra i rapporti tra Italia e Unione europea. Molto dipenderà da quel che succederà dopo il voto del 4 marzo. «Non voglio predire quale sarà la situazione politica italiana – spiega il professor Jones -. Quello che posso predire è che a livello europeo ci sarà insoddisfazione sul ritmo delle riforme italiane». Tra i motivi di insoddisfazione ci sono «quelli sulle politiche fiscali da parte della Commissione europea all’interno del contesto del semestre europeo e i molti lamenti sulla stabilità del sistema finanziario che viene sia dalla Bce che dall’Esm». Tutte queste lamentele, aggiunge, «vanno intese come un’intenzione di incrementare la pressione sul governo italiano dopo il 4 marzo, per spingere in avanti il processo di riforme».
«È molto probabile che Macron perderà nella sua sfida di riformare le istituzioni europee. Perché? Non per quello che sta succedendo in Francia ma per quello che sta succedendo in Germania»
Come sarà accolta questa nuova probabile pressione? Male. « Sfortunatamente questo sarà ricevuto in Italia come un’interferenza non voluta sia da parte dei commissari europei che dei funzionari di Bce e Esm». Non è un mistero che il clima pro-Europa si sia molto raffreddato negli ultimi anni in Italia. «In qualche modo dovremo ricostruire quel senso di vocazione europea. Altrimenti saremo condannati a un futuro dove solo il Pd è un partito europeista e il Pd sta perdendo la sua quota di votanti. Il futuro che vedo è quello di una pressione non necessaria sull’Italia perché faccia le riforme, ed è qualcosa che giocherà contro il Pd e anche contro l’atteggiamento degli italiani verso l’Europa. Quindi vedo molti rischi sia per le relazioni dell’Italia con l’Europa e per le riforme europee in generale».
Questa è una cosa molto brutta perché quello che ha distinto l’italia è la sua spinta verso un’integrazione europea. Per qualche ragione, negli ultimi due anni la popolarità dell’Europa in Italia è crollata, mentre è salita in altri Paesi in particolare dopo l’elezione di Macron.
La visione sull’Europa espressa da Andrea Goldstein, direttore generale di Nomisma, è decisamente meno drastica, perché, ha detto, «su banche e politica fiscale ci sono stati segnali chiari e positivi, l’Europa sta trovando la sua strada su questi temi, fondamentali per crescita». Positivi anche i segnali sui fronti della «promozione e protezione del “Made in Europe” nel mondo». Il passaggio dalla rivoluzione digitale delle piattaforme e dei social network all’industria 4.0, inoltre, «sta aprendo per Europa strade più consone a modello di sviluppo europea». Netta invece la critica alla situazione italiana, per l’incertezza sull’esito del voto e ancor di più per la vaghezza delle proposte sull’Europa. «La definizione di un governo in Germania – ha detto Goldstein -, rischia di mettere l’italia in una posizione di ulteriore debolezza dopo il 4 marzo. Se l’Italia si ritrovasse senza un governo, significherebbe che le scelte che l’Europa prenderà saranno figlie di impulsi provenienti da altri che hanno interessi divergenti dai nostri». A 50 giorni dalle elezioni, ha aggiunto, «non sappiamo niente di cosa pensino i candidati. Al meglio dicono delle banalità assurde sull’uscita o meno dall’Euro. Al peggio si occupano della tassazione del cibo per animali domestici e delle attività di Soros in Italia. Forse ci sono altre questioni più importanti per l’economia italiana e per il governo dell’Eurozona, che ha una certa influenza sul nostro Paese».