Alzi la mano chi ha sentito parlare di un “piano Soros”. Se foste ungheresi lo conoscereste di sicuro: il governo di Viktor Orbán lo scorso ottobre ha lanciato una consultazione per chiedere ai cittadini il loro parere su questo piano, che prescriverebbe un milione di immigrati all’anno da far entrare in Europa (la cifra tonda deve fare specie, altrimenti non ha effetto) e punizioni per gli Stati che non si adeguano ad accogliere i migranti. La consultazione è stata governativa, quindi pagata con soldi di tutti. E non è casuale che sia arrivata pochi mesi prima dalle elezioni in Ungheria, che si terranno il prossimo aprile.
Va da sé che alcune dichiarazioni il miliardario e filantropo George Soros le aveva fatte, dicendo che per battere l’immigrazione irregolare fosse necessario creare rotte regolari e protette attraverso le quali immigrati regolari potessero raggiungere l’Unione. La quale, avendo il problema di una popolazione che invecchia, ne avrebbe tratto beneficio.
Questa visione implica che chi chiede di entrare sia pronto ad operare in un’economia avanzata: in altre parole il “piano” implica la sostituzione dell‘attuale massa di disperati senza arte né parte con un flusso regolare e controllato di lavoratori di cui l’Europa ha bisogno, secondo le regole che essa stesse stabilisce. E da nessuna parte si trova il famoso milione, che forse è equivalente a quelli del Signor Bonaventura, per chi se lo ricorda.
Intanto chi va in Ungheria trova un’economia, dopo anni di crisi anche a causa di politiche poco provvide, finalmente in espansione. Non solo a Budapest, ma anche da altre parti si stanno costruendo zone industriali a spron battuto. Tutti o quasi i progetti hanno una cosa in comune: la bandiera blu con dodici stelle. In altre parole gli ungheresi costruiscono con i soldi dell’Unione Europea, e fanno benissimo, ma dare addosso all’Europa ancora elettoralmente sembra indispensabile per prendere voti. Anche i cinesi, come abbiamo già visto, investono in Ungheria perché vogliono farne l’hub delle loro merci, dove andrebbero raccolti i prodotti cinesi per raggiungere l’Europa occidentale.
Di ungheresi ragionevoli ce ne sono parecchi, e la maggior parte tende a farsi una risata quando gli viene chiesto del piano Soros. Altri invece si preoccupano, ricordando che nel passato si rideva di altri personaggi in centro Europa ed è finita in tragedia. Per inciso il personaggio principale degli anni tra le due guerre era un semiletterato, ma un grande trascinatore di folle. Orban non è certo un ignorante: infatti ha anche studiato in Inghilterra. Grazie ad una borsa di studio pagata da… avete indovinato: George Soros.
Chi va in Ungheria trova un’economia, dopo anni di crisi anche a causa di politiche poco provvide, finalmente in espansione. Non solo a Budapest, ma anche da altre parti si stanno costruendo zone industriali a spron battuto. Tutti o quasi i progetti hanno una cosa in comune: la bandiera blu con dodici stelle dell’Unione europea. Eppure il messaggio anti-Bruxelles ha sempre più presa
Anche in Repubblica Ceca, come in Ungheria, è tempo di elezioni.
Qui le cose vanno addirittura meglio che in Ungheria: si viaggia in piena occupazione e gli annunci di ricerca di personale campeggiano nei cartelloni delle strade. Sta diventando un problema trovare operai ed impiegati. Anche qui molti progetti sono finanziati dall’Unione Europea.
Nello scorso fine settimana si è votato per eleggere il Presidente della Repubblica: il Presidente uscente Milos Zeman, noto più che altro per le sue battute improvvide e per il suo amore per il vino, probabilmente meno famoso di altri perché parla una lingua poco compresa all’estero, è risultato vincitore al secondo turno.
Lo sconfitto è Jiří Drahoš, professore di chimica ed ex presidente dell’Accademia delle Scienze ceca. Altri candidati comprendevano un giovane medico ed un ex rettore universitario. Insomma quasi tutti gli sfidanti del Presidente uscente erano quello che tutti in Italia vorremmo: competenti, onesti e senza scheletri nell’armadio. Ovvero adatti al ruolo. Praticamente tutti gli sconfitti hanno espresso supporto per Drahoš, che ha comunque perso.
Zeman è noto per i suoi legami con la Russia, ma soprattutto con la Cina, che ha acquistato diverse aziende ceche finché le autorità non hanno iniziato a tirare il freno. Zeman ha dato incarico ad Andrej Babiš, capo del primo partito alle elezioni parlamentari con il 30%, di formare un governo di minoranza per la seconda volta tra i due turni delle presidenziali. Forse in cambio di questo Babiš ha appoggiato Zeman per il secondo turno.
Non si era ancora votato , però, che già erano iniziati i malumori tra i due. Infatti Babiš, nel discorso di appoggio al presidente, aveva consigliato a quest’ultimo di spostarsi maggiormente ad Occidente, allontanandosi da Mosca e Pechino. Zeman ha risposto entrando a gamba tesa con un attacco personale al premier in pectore, neanche ci fosse stato un caso di lesa maestà. Sarà perché il presidente ceco vive al Castello di Praga, che in tempi antichi era la sede dei re di Boemia.
Nella Repubblica Ceca il premier in pectore Andrej Babiš è entrato in rotta di collissione con il presidente appena rieletto Milos Zeman, dopo avergli consigliato una politica più filo-occidentale e meno vicina a Mosca e Pechino. La rispsta è stata un attacco personale a gamba tesa
Non si faccia illusioni chi sostiene una politica di accoglienza e di distribuzione dei migranti: anche Drahoš aveva detto che la Repubblica Ceca avrebbe accettato solo chi ha diritto di asilo. Accoglienze preventive non piacciono a nessuno in Europa Centrale: la misura sarebbe talmente impopolare da assicurare la mancata elezione di qualunque politico la appoggiasse. Tutto il V4, ossia il Gruppo di Visegrád (Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Polonia) è a favore dello stop ai migranti economici. I nostri partner centroeuropei dicono che i flussi vanno fermati in Africa e che solo a chi ha diritto di asilo va permesso di entrare in Europa. Credo che moltissimi di noi trovino questa posizione assolutamente ragionevole: poi semmai va visto come si può fare.
Anche a Praga il dibattito volge intorno ai temi dell’immigrazione e dell’Unione Europea, vista in senso negativo nonostante i soldi che qui arrivano. Anche qui, come in Ungheria, non si sono visti rifugiati: l’anno scorso in tutta la Repubblica è arrivato il sorprendente numero di…67 rifugiati.
Parlando con chi vota Zeman emerge che il presidente piace proprio per le sue improvvide battute. Una volta disse che non avrebbe permesso che le donne ceche mettessero il velo, aggiungendo che in alcuni casi forse sarebbe comunque meglio che guardarle senza. In un altro caso affermò che con due bottiglie di vino e qualche grappa al giorno, che lo si accusava di consumare, uno non si può definire un alcolista. Uscite del genere sembrano piacere alla gente semplice, che dice che Zeman parla come una persona comune che fa battute, non sorprendentemente, all’osteria. Peccato solo che lo Stato non sia uno scherzo, e che il castello di Praga non sia un’osteria.
Intanto a Praga aprono studi di medicina cinese e allo zoo potrebbero arrivare dei panda, simbolo dell’amicizia dei cinesi. O forse simili alle aquile romane, che le legioni piantavano come simbolo di dominio. E mentre si allunga l’ombra del panda sul V4, il campione dell’Unione Europea nella Mitteleuropa sembra potrebbe diventare proprio Babiš, che fino a ieri era stato descritto come filo-russo (ma non da noi che ne avevamo scritto qui). Sic transit gloria mundi.