Storia numero 1. Sono abbastanza tollerante con i troll che per ragioni varie mi insultano sui vari social network, al massimo li blocco dando il mio piccolo contributo alla pulizia dell’ambiente, ma quando ce vo ce vo. Qualche anno fa ho ricevuto diverse minacce da un tizio, comprese minacce di morte. Mi sono rivolto alla polizia postale. Dopo qualche mese ricevo una lettera dal tipo in questione che finalmente si firma con il suo nome e cognome. Si scusa molto, dice di non avere mai alzato un dito su nessuno, di essere un bravo padre di famiglia, un onesto e disciplinato lavoratore, un credente, un donatore di organi, di denaro, di cibo. E mi chiede di rinunciare alla denuncia. Ci penso su un po’ e gli rispondo: «Gentile Signore, io non ho denunciato Lei. Ho denunciato quel tizio che si impossessa di Lei e che mi minaccia di morte. Capisce che per difendere anche Lei , oltre che me, non posso ritirare la denuncia».
Storia numero 2. Parlo di questa storia con un giovane e colto agente della polizia postale. Ci pensa su un po’ e mi racconta di un pericoloso pedofilo da loro rintracciato. Quando si presentano a casa sua, il tizio li accoglie con sollievo: «Finalmente mi avete trovato. Adesso forse mi libererò da questa ossessione». Ho approfondito la questione. Esiste ormai un diffuso numero di psicologi che si occupa di sdoppiamenti e triplicamenti di personalità generati dalla possibilità di assumere sui social network numerose identità anonime. Nei casi migliori per fingersi quello che non si è e fare i fichi in rete. Nei casi peggiori perchè l‘anonimato libera il lato oscuro che c’è in ciascuno di noi e toglie le inibizioni sociali, che regolano le nostre comunità. Puoi dare sfogo ad ogni aspetto di te stesso, senza pagare conto e doverti impegnare a farli convivere con equilibrio come si richiede ad ogni persona adulta. Un po’ come nelle assemblee di condominio dove fortunatamente la buona educazione ci impedisce di dire quel che pensiamo di quel vecchio condomino che rompe le balle a tutti e non paga mai le quote dovute. Provate a fare un’assemblea di condomino coperta dall’anonimato e vedrete quanto tempo ci mette lo stabile ad andare in rovina.
Nei casi peggiori perchè l’anonimato libera il lato oscuro che c’è in ciascuno di noi e toglie le inibizioni sociali, che regolano le nostre comunità. Puoi dare sfogo ad ogni aspetto di te stesso, senza pagare conto e doverti impegnare a farli convivere con equilibrio come si richiede ad ogni persona adulta
Le scritte sui cessi dove dare della puttana a quella che non ti fila sono sempre esistite, ma restavano confinate ai gabinetti pubblici. Facevano persino tenerezza. Ma i social network sono diventati la più importante e potente rete di comunicazione. Incomparabile con nulla prima esistito. Se qualcuno ti incontra per strada, in ufficio, in un’occasione sociale e ti rivolge la parola è buona creanza che si presenti. Inoltre hai la sua faccia davanti con tutto il connesso linguaggio del corpo. Per quale diavolo di motivo invece dovrei discutere, posso essere insultato o addirittura minacciato da un tizio che si firma “rossetto32”? Oltretutto se intuisco le ragioni per cui un pedofilo sceglie l’anonimato non riesco veramente a comprendere come gli anonimi dei social network preferiscano rinunciare alla loro identità personale , al loro nome e cognome confondendosi in una folla in cui “uno“ non conta mai come ”uno”, ma si mescola in un rumore di fondo , privo di ogni reale informazione. Perché mentre il cristianesimo, la rivoluzione francese e l’illuminismo ci hanno regalato il diritto alla identità personale si rinuncia ad essa diventando un anonimo fra gli anonimi? Uomini e donne senza qualità. O forse con qualità che essi stessi detestano e preferiscono celare. Sì lo so, spesso sono solo tigri di carta a cui basta una carezza o un attimo di attenzione per divenire mansueti. Ma non faccio lo psicologo della rete.
Fra le altre cose sulla rete si crea una specie di doppio “ingaggio”. Le persone note, quelle che hanno stima di se stesse, quelle che la usano per lavoro, per autoaffermazione o semplicemente per il gusto di metterci la faccia – il “libro delle facce” si chiama paradossalmente il regno degli anonimi – mostrano la loro identità e sono costrette ad un confronto asimmetrico con gente senza nome e senza volto. Spesso bersagli per personaggi nascosti nell’oscurità. Democrazia ? Certo la rete è democratica, concede l’accesso a tutti. Buona cosa. Ma se i tutti diventano nessuno se non una folla vociante e insultante, lo stabile condominiale va a pezzi alla faccia della democrazia. Rimedi ? Facebook, Twitter e il resto vanno ormai considerati alla stregua di servizi pubblici, come il servizio postale, la Tv e gli altri network. Pretendere la carta di identità di tutti, senza dovere ricorrere alla polizia postale, mi sembrerebbe il minimo. I Governi hanno il diritto di pretenderlo dal signor Zukerberg. Poi ci sono le eccezioni. Un conto sono gli anonimi, un conto gli pseudonimi. Soprattutto in Paesi dove volentieri la gente ci metterebbe la faccia e il nome, ma non può farlo perché rischia la galera. Casi da esaminare con cura, ma un ragione in più per pretendere che nei Paesi liberi la libertà si accompagni alla responsabilità personale.