«Vorremmo essere, potenzialmente, il fornitore mondiale numero uno di cannabis». Così parlò, nei primi giorni del 2018, il ministro della Salute australiano, Greg Hunt, del partilo liberale. Nessuna gaffe o frase estrapolata, ma una dichiarazione a una radio, che continuava così: «Aiutare i produttori nazionali a espandersi finirà per aiutare ad assicurare un’offerta di prodotti a base di cannabis qui in Australia». Poche ore prima, il 3 gennaio, il governo di Canberra aveva avanzato la sua proposta di legge per liberalizzare le esportazioni di cannabis a scopo terapeutico. A strettissimo giro, le azioni delle società quotate specializzate nella produzione di cannabis erano schizzate ai loro massimi storici: Cann Group, AusCann Group, BOD Australia, per citare le più note. Anche se è ancora necessario un passaggio in parlamento, l’opposizione laburista ha già detto che appoggerà la proposta dell’esecutivo.
Le polemiche non ci sono state, se non quelle dei malati australiani che dal 2016 potrebbero accedere alla marijuana a scopo terapeutico e che nei fatti si sono dovuti scontrare contro strettoie burocratiche e il rifiuto di molti medici nella prescrizione. La marijuana è usata come analgesico per patologie che implicano spasticità associata a dolore (come la sclerosi multipla), come analgesico del dolore cronico, per limitare la nausea e il vomito di chi si sottopone a trattamenti di chemioterapia e per altri usi (dai risultati meno certi) come la stimolazione dell’appetito in soggetti affetti da Hiv/Aids. Il risultato è che si calcola che solo circa 300 pazienti siano finora riusciti ad accedere ai farmaci a base di cannabis. «Una delle condizioni di ciascuna licenza per l’esportazione è che la cannabis terapeutica sia resa disponibile prima ai pazienti australiani» ha detto il ministro Hunt. «I pazienti vengono prima».
Il governo di Canberra ha avanzato una proposta di legge per liberalizzare le esportazioni di cannabis a scopo terapeutico. Le polemiche non ci sono state, se non quelle dei malati australiani che dal 2016 potrebbero accedere alla marijuana a scopo terapeutico e che nei fatti si sono fin qui dovuti scontrare contro strettoie burocratiche
L’Australia non è il primo Paese a muoversi sulla liberalizzazione delle esportazioni. In precedenza era stato il turno del Canada, dei Paesi Bassi e dell’Uruguay, mentre Israele sta per avviare la propria legislazione. Il mercato australiano della cannabis terapeutica, oggi minuscolo, dovrebbe salire a quota un miliardo di dollari (Usa) entro il 2020. È solo una goccia rispetto alle stime sul mercato globale: la società americana Grand View Research prevede che il giro d’affari atteso della cannabis per uso medico sarà di 55 miliardi di dollari entro il 2025. La parte del leone, finora, la fa il Canada, che conta già su un fatturato stimato in 3,19 miliardi di dollari.
Le cifre sono molto più ampie se si considera anche la vendita di marijuana a scopo ricreativo. Una stima di Bds Analytics ha previsto che il valore della cannabis legale nei soli Stati Uniti crescerà dai 16 miliardi di dollari del 2017 ai 40 miliardi nel 2021. Il grande salto è dovuto alla recente legalizzazione della vendita a scopo ricreativo in California, che ha seguito stati come il pioniere Colorado (2012). Secondo il report di Bds la sola legalizzazione in California genererà 99mila posti di lavoro entro il 2021, un numero che salirebbe a 146mila considerando anche l’indotto.
L’Australia ha un lungo rapporto con la canapa, installata dai primi coloni. La cannabis, usata come medicinale, fu popolare durante il Diciannovesimo secolo, prima della proibizione nel 1920. Oggi il suo uso è limitato. Secondo uno studio della Deakin University e del Murdoch Children’s Research Institute, ripreso dal Guardian, la percentuale di teenager che fanno uso di è scesa dal 15% al 4% tra il 1999 e il 2015. Nello stesso periodo la quota dei consumatori di alcol è calata dal 69 al 45 per cento. Ancora più clamorosi i risultati relativi al tabacco: i teenager che fumano sarebbero passati addirittura dal 45% al 10 per cento. L’indagine è stata effettuata su 40mila adolescenti dall’età media di 13,5 anni negli stati di Victoria, Queensland e Western Australia.
La società americana Grand View Research prevede che il giro d’affari atteso della cannabis per uso medico sarà di 55 miliardi di dollari entro il 2025