Non vi affannate, il partito dell’astensione ha già vinto le elezioni

Ha 15 milioni di militanti e ormai sfiora il 34 per cento. È il primo movimento del Paese, in crescita da anni. Ma se il 15 per cento degli italiani è irrimediabilmente disinteressato al voto, 3 o 4 milioni di astensionisti possono ancora essere convinti. Per vincere bisogna portarli alle urne

Ne parlano in pochi, ma è il vero protagonista della campagna elettorale. In crescita da anni, ormai può vantare 15 milioni di militanti. Stando ai sondaggi più accreditati ha raggiunto la soglia del 34 per cento. Numeri alla mano non ce n’è per nessuno: il partito dell’astensione ha già vinto le elezioni. Ruba voti a destra e sinistra, persino ai Cinque Stelle. Ha conquistato un italiano su tre. Come se non bastasse, nelle prossime settimane rischia di aumentare ancora il proprio consenso. Tutto merito degli avversari: ogni volta che un leader si lancia in una promessa insostenibile, nuovi elettori, sempre più disorientati, scelgono di disertare le urne.

Il fenomeno è ampio e poco omogeneo. Tra gli italiani che hanno smesso di votare si riconoscono diversi profili. Gli arrabbiati, i delusi, gli irrecuperabili. C’è chi non ha mai ritirato il certificato elettorale e chi non sa neppure che il 4 marzo ci saranno le Politiche. Altri vorrebbero schierarsi, ma non hanno ancora trovato il partito adatto. Intanto l’onda astensionista cresce di volume: ormai rappresenta il primo partito italiano. Stando alle analisi degli esperti, il fronte si divide in tre grandi sottogruppi. Il primo è formato da circa il 10-15 per cento degli elettori: sono gli astensionisti consolidati. Persone che non hanno alcun interesse nella politica. Estremamente disgustate o profondamente indifferenti, il giorno delle elezioni non andranno a votare. Coinvolgerle nella partita è praticamente impossibile. È una realtà irriducibile composta da molti anziani, ma c’è anche una importante frazione di giovanissimi. Under 25 lontani anni luce dalla campagna elettorale di queste settimane.

Un primo gruppo è formato da circa il 10-15 per cento degli elettori italiani: sono gli astensionisti consolidati. Persone che non hanno alcun interesse nella politica. Estremamente disgustate o profondamente indifferenti, il giorno delle elezioni non andranno a votare. Coinvolgerle è praticamente impossibile

E poi ci sono gli altri disillusi del voto. Tre o quattro milioni di persone che possono ancora essere riportate alle urne. «È un elettorato che non si astiene a tutte le elezioni, ma fa una scelta. Spesso diserta le Amministrative e vota alle Politiche» racconta Antonio Noto. Il presidente di Ipr Marketing conosce bene il fenomeno, per primo ha avviato un approfondito studio qualitativo su questa realtà. Un’indagine commissionata dalla fondazione Magna Carta e presentata ieri alla stampa estera di Roma. L’attenzione si concentra su questi potenziali votanti. Astensionisti intermittenti, direbbe qualcuno. Al momento rappresentano la fascia di elettorato più ambita dai partiti, quella che può modificare gli equilibri della contesa. «Il profilo di queste persone è profondamente diverso da quello che si immagina», insiste Noto. Sono italiani che seguono la politica, leggono i giornali, guardano i talk show in televisione. Non rifiutano totalmente la politica, insomma. Ma in assenza di risposte restano in cerca di una collocazione.

La maggior parte sono astensionisti arrabbiati, hanno perso la speranza di un cambiamento. Altri si definiscono delusi: sono quelli che un giorno, chissà, non escludono di poter tornare a votare. Disorientati e amareggiati. Alcune caratteristiche sono diffuse: questi elettori manifestano da tempo un’indiscriminata sfiducia nei confronti delle istituzioni pubbliche e, di conseguenza, anche dei partiti. Non hanno perso del tutto l’interesse nella politica, ma non trovano un’offerta capace di soddisfare le proprie esigenze. E così, in assenza di partiti, guardano ai leader. Chi potrebbe invogliarli a votare? L’indagine di Ipr Marketing individua un profilo preciso. Una figura solida e affidabile, capace e coerente. Un candidato in grado di mostrare coraggio e sfidare il potere costituito. Ma soprattutto, ecco la novità, un leader che possa vantare una consolidata esperienza politica. Si tratta di un elemento nuovo rispetto al recente passato. Dopo anni di richiami alla società civile, si torna indietro. I personaggi estranei al sistema politico non convincono più. «È un evidente cambiamento di clima rispetto al decennio scorso» conferma il noto politologo Giovanni Orsina, presente all’incontro. «C’è una fortissima richiesta di politica a cui, però, non corrisponde un’offerta adeguata».

Tre o quattro milioni di italiani, intenzionati a disertare il voto, possono ancora essere riportati alle urne. Non si astengono a tutte le elezioni, ma scelgono di volta in volta. Astensionisti intermittenti, direbbe qualcuno. Al momento rappresentano la fascia di elettorato più ambita dai partiti, quella che può modificare gli equilibri della contesa

L’indagine studia in profondità il mondo degli astensionisti. Elabora un ritratto accurato degli italiani che hanno perso la voglia di votare, le loro esigenze e aspettative. È un documento che dovrebbe essere approfondito dai partiti che si candidano a governare il Paese. Quali sono i principali argomenti che possono convincere gli astensionisti? Senza grandi sorprese, il tema più sentito resta il lavoro. Seguono la sanità, la riforma del fisco e la scuola. Non solo. Tra gli spunti offerti dall’indagine si scopre, ad esempio, che gli astensionisti italiani vivono con sospetto l’immigrazione. Un fenomeno visto come un pericolo da fermare, più che un’opportunità.

Intanto la disaffezione verso le urne continua a crescere. In queste settimane neanche il presidente della Repubblica ha nascosto le sue preoccupazioni. Già nel messaggio di fine anno Sergio Mattarella aveva invocato un nuovo interesse per la contesa elettorale. «Mi auguro un’ampia partecipazione al voto – le sue parole – e che nessuno rinunzi al diritto di concorrere a decidere le sorti del nostro Paese». Concetto ribadito recentemente in un’intervista a Famiglia Cristiana. La memoria torna a cinque anni fa. Alle elezioni del 2013 si è registrata la più bassa partecipazione alle Politiche nella storia della Repubblica: il 75 per cento. Un dato comunque in linea con quanto accade all’estero. La particolarità italiana, semmai, sono stati gli altissimi tassi di partecipazione che hanno caratterizzato le votazioni dal dopoguerra agli anni Ottanta. Scomparse le ideologie e i partiti di massa, le percentuali di votanti si sono allineate con quanto accade nelle altre democrazie dell’Europa occidentale. Ne è convinto il politologo Roberto D’Alimonte, grande esperto di leggi elettorali. «Il 4 marzo l’astensione crescerà ancora? Non ne ho la più pallida idea» ammette durante l’incontro. «Ma posso dire che il fenomeno dell’astensionismo non è irreversibile». Nulla di cui preoccuparsi troppo, insomma. Spetterà ai leader politici il compito di motivare gli elettori più tiepidi. Per spingerli alle urne ci sono solo poche settimane.

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