Alla Camera non erano mai entrati prima. «Questo è un luogo simbolico, speriamo sia di buon auspicio» ammette Simone Di Stefano. Il leader di Casapound arriva a Montecitorio per presentare il programma elettorale e lanciare la sfida. «Il voto del 4 marzo è solo il primo passo. Prenderemo il 3 per cento, supereremo lo sbarramento, e poi continueremo a crescere. Il tutto in piena democrazia e libertà». Ecco l’altra novità: il movimento politico di Di Stefano sarà presente su tutte le schede. Le firme sono state raccolte nei tempi stabiliti: «I nostri candidati saranno presenti ovunque». Il risultato delle urne resta un’incognita. Nonostante il clamore mediatico che i “fascisti del terzo millennio” attirano spesso e volentieri, entrare in Parlamento resta un obiettivo difficile. Ma il candidato premier ostenta tranquillità. Cita gli ultimi risultati elettorali: il 9 per cento a Ostia conquistato pochi mesi fa. L’8 per cento di Lucca e il 7 per cento di Bolzano, dove oggi i rappresentanti di Casapound siedono in consiglio comunale. In tutta Italia sono più di cento le sedi aperte in questi anni. Giacca e cravatta, è questa l’immagine che i dirigenti del partito vogliono dare in favore di telecamere. «Siamo una forza politica che ha acquisito concretezza. Una realtà vera, tangibile, matura con cui tutti devono fare i conti». Vicino a Di Stefano siedono Mauro Antonini a Angela De Rosa, candidati presidenti alle regionali di Lazio e Lombardia. Sono la dimostrazione evidente – comunque la si pensi in merito – che Casapound sta iniziando a radicarsi sul territorio. Nella sala stampa della Camera ci sono anche diversi militanti. Tanti candidati che alla fine si prestano sorridenti alle foto di rito, dentro e fuori il Palazzo. Si riconoscono Carlotta Chiaraluce e Luca Marsella, i protagonisti della campagna elettorale sul litorale romano. Lui oggi siede in consiglio municipale, lei è stata capace di raccogliere più preferenze di tutti. Ulteriore conferma che sono proprio le periferie i luoghi dove oggi il movimento conquista maggior consenso.
Alla Camera non erano mai entrati prima. «Questo è un luogo simbolico, speriamo sia di buon auspicio» ammette Simone Di Stefano. Il leader di Casapound arriva a Montecitorio per presentare il programma elettorale e lanciare la sfida. «Il voto del 4 marzo è solo il primo passo. Prenderemo il 3 per cento, supereremo lo sbarramento, e poi continueremo a crescere»
Il prossimo futuro. Quasi sicuramente le elezioni non premieranno vincitori: «La legge elettorale porta inesorabilmente al pareggio», conferma Di Stefano. All’orizzonte si profila un nuovo governo tecnico. «Vogliamo entrare in Parlamento per fare opposizione dura e spietata». Superando il 3 per cento Casapound potrebbe portare una piccola rappresentanza alla Camera, tredici-quattordici deputati. Le polemiche sono quasi inevitabili. È giusto concedere ospitalità in Parlamento a una forza politica che, più o meno direttamente, si richiama al fascismo? La conferenza di oggi non è una forma di legittimazione istituzionale? La sala stampa di Montecitorio è stata prenotata grazie all’intervento del deputato Massimo Corsaro: già Alleanza Nazionale, poi Fratelli d’Italia, oggi nel Misto. «Qual è il problema? – spiega lui – Casapound è qui per presentare il programma elettorale, hanno raccolto regolarmente le firme e si sono candidati in tutti i collegi. Non capisco questo ostracismo». Semmai Di Stefano denuncia di non avere abbastanza visibilità. «In due anni sarò stato invitato in televisione quattro volte. Se avessi avuto lo stesso spazio di Salvini e Meloni oggi Casapound sarebbe al 15 per cento». Le ipotesi di scioglimento del partito? «Dal 1946 alla nascita di An – insiste Di Stefano – il Movimento sociale italiano è sempre stato presente in Parlamento. E loro erano gli eredi diretti dei combattenti della Repubblica sociale. Non si capisce perché 70 anni dopo qualcuno parli di sciogliere un movimento come il nostro, che si è candidato grazie a una raccolta firme in tutto il Paese e segue tutte le regole della democrazia». Ci pensa un attimo, poi aggiunge: «Anzi, che difende la Costituzione a spada tratta». Il leader di Casapound tira in ballo il titolare del Viminale. «Il ministro Minniti deve garantire l’agibilità politica dei partiti che hanno raccolto le firme e si presentano alle elezioni. Oggi il rischio per la democrazia sono quegli idioti dei centri sociali che non si candidano, non si sa chi li manovra, eppure sfasciano e usano la violenza». Più tardi torna ancora sull’argomento. «Ho sentito dire che ci saranno cortei il 10 gennaio, il giorno del ricordo delle foibe in cui da anni Casapound è in piazza. Organizzare cortei dell’estrema sinistra in quel giorno significa soffiare sul fuoco. Noi non vogliamo lo scontro, vogliamo anzi stemperare i toni e arrivare tranquilli al voto. Il ministro dell’Interno ce lo deve garantire».
Il programma si intitola Una nazione. Nei punti fondamentali Casapound rivendica la distanza da tutti gli altri partiti. «Siamo rimasti gli unici che propongono l’uscita unilaterale, e il più velocemente possibile, dalla moneta unica e dall’Unione europea». Sono nostalgici, non è un mistero. «L’Italia deve tornare a essere la quinta economia del mondo. Un paese dove trovare lavoro fisso, comprare casa e mettere al mondo due figli era alla portata di ogni giovane coppia». Salvini da questo punto sembra aver intrapreso una strada molto più moderata. Casapound propone di rescindere in un colpo solo «tutti i trattati capestro che danneggiano la nostra economia». Basteranno quattordici giorni per tornare alla Lira. Il programma propone la nazionalizzazione delle banche e delle autostrade (tariffa fissa a 80 euro l’anno). Chiede di aprire un canale commerciale strategico con Russia e Giappone. «Vogliamo cancellare il pareggio di bilancio dalla Costituzione». Sovranità e protezionismo: «Dobbiamo proteggere la nostra economia da chi ci fa concorrenza sleale. Vuoi andare in Cambogia e spostare la produzione? Qui in Italia non vendi nemmeno uno spillo. Metteremo dei dazi al 100 per cento». Roba da far impallidire Donald Trump.
«La legge elettorale porta inesorabilmente al pareggio», spiega Di Stefano. All’orizzonte si profila un nuovo governo tecnico. «Vogliamo entrare in Parlamento per fare opposizione dura e spietata»
Altrettanto estremo è il programma in tema di immigrazione. Per fermare i flussi migratori Di Stefano arriva a ipotizzare una missione militare in Libia. «Interveniamo con il nostro esercito per ricostruire uno stato sovrano che possa controllare le coste». La cittadinanza si potrà ottenere solo attraverso lo ius sanguinis, deve essere scritto in Costituzione. Ma non solo. Casapound prevede la possibilità di revocare la cittadinanza alle prime, seconde o terze generazioni in caso di reati gravi. «In quel caso torni al paese di origine di tuo padre». Il mutuo sociale è un vecchio cavallo di battaglia del movimento. Più recente la proposta di introdurre un reddito nazionale di natalità. Cinquecento euro al mese per ogni bambino da zero a 16 anni. Difficile dire se potrà interrompere il crollo delle nascite, ancora più complicato immaginarne la copertura finanziaria. «Questa misura costa 20 miliardi di euro l’anno – taglia corto Di Stefano – La stessa cifra dello sciagurato reddito di cittadinanza che propongono i Cinque Stelle: la precarizzazione dell’esistenza». I rapporti con altre forze politiche europee? Pochi, anche il Front National di Marine Le Pen è distante. «Semmai c’è una forte simpatia con i greci di Alba Dorata, anche loro sono impegnati in raccolte alimentari e condividono la nostra critica all’euro». Il finale riserva un piccolo colpo di scena. Rispondendo alla domanda di un giornalista, il leader di Casapound parla di ipotetiche alleanze. «Se mai esisterà un governo di centrodestra di stampo sovranista, con Salvini premier e Bagnai o Borghi all’Economia, potremmo anche pensare a un appoggio esterno. Non vogliamo ministri o sottosegretari, ma potremmo dare il nostro sostegno per uscire dall’euro e bloccare l’immigrazione».