Google continua a fare il bullo sul mercato (ma la Vestager è già pronta a multarlo)

L'azienda di Mountain View continuerebbe ad abusare della sua posizione dominante nei motori di ricerca, favorendo la sua piattaforma di shopping online. La commissaria alla concorrenza indaga e ha in serbo una multa da 12 milioni di euro al giorno

EMMANUEL DUNAND / AFP

Non è bastata la multa di 2,42 miliardi di euro. Google starebbe continuando ad abusare della sua posizione dominante nel campo dei motori di ricerca, favorendo illegalmente il suo servizio di Shopping. E la commissaria europea alla concorrenza Margrethe Vestager è pronta a multare il motore di ricerca più famoso del mondo. Ancora una volta. A rivelarlo è Politico, che ha confermato l’esistenza di un questionario di 36 domande inviato dalla Commissione europea a tutti i concorrenti di Google per vedere se le modifiche imposte da Bruxelles lo scorso giugno hanno migliorato la concorrenza nel mercato dello shopping. O meglio, se hanno scalfito almeno un po’ il monopolio nelle ricerche online di prodotti da comprare. Un questionario informativo innocente, si dirà, ma secondo Politico sarebbe la prova che Vestager sta indagando per capire se Google sta rispettando i termini imposti dalla Commissione. Cioè dare spazio all’interno del motore di ricerca anche agli annunci di altri siti di comparazione come Foundem o Kelkoo. Tradotto: la Commissione chiede a Google di non essere sia arbitro che giocatore. O almeno di lasciar toccare palla anche agli altri per garantire a noi consumatori europei più libertà di scelta.

Google ha fatto appello contro la multa da 2,42 miliardi di euro, la più alta mai comminata dalla Commissione europea a una multinazionale, e in una relazione inviata un mese fa a Bruxelles ha garantito di aver rimediato alla situazione, lasciando molto più spazio ai siti web concorrenti, liberi di offrire annunci pubblicitari nella casella di posta dei consumatori. Quando gli utenti cercano un prodotto, di solito gli annunci vengono visualizzati sopra o accanto ai risultati di ricerca con collegamenti ai rivenditori. Secondo Bloomberg Google avrebbe creato un’unità separata e indipendente per l’acquisto di annunci all’interno di G-Shipping. Secondo Richard Stables, Chief Executive Officer di Kelkoo, sito di comparazione dei prezzi inglese, il 99,6% degli annunci di questo genere nel Regno Unito sono stati collocati tramite la piattaforma Google Shopping. Lo 0,4% di briciole se lo contenderebbero le aziende rivali che accusano Google di aver fatto una toppa peggio del buco e chiedono a Vestager di usare tutti i poteri a disposizione della commissaria europea alla concorrenza per sanzionare il motore di ricerca statunitense.

Google sa che perdere un’altra battaglia con Bruxelles sarebbe l’ennesimo colpo alla sua immagine già danneggiata negli ultimi tempi. Le compagnie tech non sembrano più multinazionali buone guidate da ceo illuminati che si vestono in jeans e dolcevita e vanno in bici al posto dei padroni dell’800 in smoking, e monocolo. Sono sempre più grandi e hanno i nostri dati che raccolgono con algoritmi ancora più sofisticati. E negli ultimi mesi sempre più partiti, giornali e finanziatori stanno mettendo in dubbio l’efficacia di questi monopòli buoni.

Tra le armi a disposizione di Vestager c’è anche un “bazooka”: la sentenza di non conformità che prevede multe fino a 12 milioni di euro al giorno per le aziende che non si adeguano alle misure previste da Bruxelles. Google avrebbe dovuto adeguarsi dallo scorso settembre. Calcolatrice alla mano se l’azienda di Mountain View avesse ancora abusato della sua posizione dominante a fine febbraio dovrebbe pagare 1,6 miliardi. E la multa è destinata a salire con il passare dei mesi. Chiariamo: la ricerca riguarda il mercato inglese ed è stata commissionata da un’azienda rivale di Google. È improbabile che venga usata nel giro di pochi mesi, prima servono tutte le verifiche del caso. Ma il dossier rimane sul tavolo.

La Commissione sta indagando per capire se la cosa è accaduta negli altri 27 stati dell’Unione europea. In questi giorni Vestager è impegnata anche per il caso Embraco e ieri ha visto il ministro allo sviluppo economico Carlo Calenda ma continua a lavorare sul dossier. Google si difende dicendo che il successo di G-Shopping deriva dal duro lavoro e non da auto favoritismo. E se fosse così? E se Google in realtà offrisse prezzi migliori ai commercianti che vogliono pubblicizzare e vendere i loro prodotti online? Forse, ma a oggi non sappiamo se G-Shopping sia il comparatore migliore di prezzi sul mercato, perché non abbiamo idea del feedback fornito da Google ogni volta che ha respinto le offerte per inserire annunci. E non abbiamo neanche i dati sul rendimento degli annunci visualizzati. Per questo Vestager ha chiesto una copia degli accordi tra i siti di comparazione di prezzi più importanti e i loro cinque più importanti partner commerciali per capire se G-Shopping offra o meno prezzi migliori.

In gioco non c’è solo la concorrenza in Europa, ma il ruolo di Google nel mercato mondiale. La paura più grande per il motore di ricerca più importante al mondo è che un’altra multa proveniente da Bruxelles spinga ancora di più l’Antitrust Usa a indagare se Google e le altre compagnie tech stiano distorcendo la concorrenza anche da loro. Avere i dati e gli algoritmi più sofisticati non è una colpa; è uno dei benefici dell’innovazione. Ma il punto è sempre quello: siamo sicuri che non ci sia un’alternativa migliore? Non è solo l’Europa a fare le pulci; il 9 febbraio anche l’antritrust indiana ha multato Google per 21 miliardi di dollari. E sempre per lo stesso motivo: abuso della posizione dominante della piattaforma Google Shopping. Google sa che perdere un’altra battaglia con Bruxelles sarebbe l’ennesimo colpo alla sua immagine già danneggiata negli ultimi tempi.

Le compagnie tech non sembrano più multinazionali buone guidate da ceo illuminati che si vestono in jeans e dolcevita e vanno in bici al posto dei padroni dell’800 in smoking, e monocolo. Sono sempre più grandi, invasivi ed efficienti. Registrano ogni giorno i nostri dati con algoritmi ancora più sofisticati. Negli ultimi mesi sempre più partiti, giornali e finanziatori stanno mettendo in dubbio l’efficacia di questi monopòli finora considerati buoni. Un cambiamento lento dell’opinione pubblica, ancora da dimostrare se inesorabile o reversibile. L’ultimo a dire la sua sulla quetione è stato il miliardario ungherese George Soros che al World economic Forum ha definito Google e Facebook «una minaccia per la società». Per questo da Mountain View il questionario della Commissione europea non sembra solo un semplice elenco di domande. Ma una minaccia da tenere d’occhio.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter