«Le torture ai migranti e il nostro disinteresse colpevole»

Alcuni deputati di Liberi e Uguali ricorrono alla Corte Costituzionale contro il memorandum di intesa con Tripoli. «Il governo ha stretto un accordo internazionale mai ratificato dal Parlamento». Parla Civati: «Purtroppo le violenze sui migranti sono fuori moda, non entrano in campagna elettorale»

Sono vicende terribili, di stupri e torture. «Eppure sono temi considerati fuori moda, lontani dalla campagna elettorale». Storie di migranti detenuti in Libia, imprigionati per mesi, sfruttati, vittime di violenze e trattamenti disumani. «E in Italia si preferisce fare finta di niente», racconta il leader di Possibile Pippo Civati. «In queste settimane la politica ha preferito parlare di immigrazione in modo strumentale, solo per conquistare qualche voto in più, senza offrire alcuna soluzione. Abbiamo sentito panzane di ogni tipo, spesso irrealizzabili. Probabilmente questo sarà ricordato come uno dei momenti più bassi della storia repubblicana». Ma se gli sbarchi sulle nostre coste sono diminuiti, centinaia di migliaia di persone continuano morire dall’altra parte del Mediterraneo. Al centro dell’attenzione torna il trattato di cooperazione tra Italia e Libia per il contrasto dell’immigrazione illegale. Alcuni deputati di Liberi e Uguali hanno appena presentato un ricorso presso la Corte costituzionale, accusando il nostro esecutivo di aver stretto un’intesa con il governo di Tripoli senza coinvolgere il Parlamento. Anche se, come previsto dalla Costituzione, i trattati internazionali devono essere ratificati dalle Camere.

Dalla firma del memorandum di intesa, nel febbraio dello scorso anno, il fenomeno migratorio non si è certo interrotto. Ci sono meno naufragi in mare, è vero. Ma la situazione continua a essere drammatica. Le inchieste giornalistiche degli ultimi mesi hanno fatto luce sui centri di detenzione libici, dove i migranti sono vittime di pestaggi e torture. Alcuni persino venduti come schiavi. Decine di migliaia di persone tenute prigioniere in condizioni inumane, senza acqua, cibo e servizi igienici. «Potevamo scegliere tra l’accoglienza e la tortura, abbiamo scelto la tortura». Nel suo ultimo libro “Voi Sapete” Civati punta il dito contro la nostra indifferenza. Un viaggio virtuale tra il Sahel e la Sicilia che è anche un duro atto di accusa ai potenti del mondo. «Complici, perché tollerano e finanziano tutto questo». La decisione di ricorrere alla Consulta nasce anche da qui. Un’iniziativa politica, raccontano i proponenti, ma anche un impegno morale. Il deputato Andrea Maestri è un avvocato immigrazionista, a Montecitorio spiega i dettagli del ricorso. «Subappaltare il lavoro sporco alla guardia costiera libica e alle milizie di Tripoli è un’operazione cinica, ma anche di barbarie politica e costituzionale», racconta. «Nel 2017 è inammissibile stringere un accordo che consente, per interposto Stato, di violare la convenzione di Ginevra e il principio di non respingimento dei rifugiati».

«Subappaltare il lavoro sporco alla guardia costiera libica e alle milizie di Tripoli è un’operazione cinica, ma anche di barbarie politica e costituzionale. Nel 2017 è inammissibile stringere un accordo che consente, per interposto Stato, di violare la convenzione di Ginevra e il principio di non respingimento dei rifugiati»

Eppure di fronte a quello che l’alto rappresentante Onu per i diritti umani ha definito «un oltraggio alla coscienza dell’umanità», si preferisce chiudere gli occhi. A fermare i migranti adesso è il governo di Tripoli, la vicenda non ci riguarda più. I deputati di Liberi e Uguali chiamano in causa le responsabilità del nostro governo e delle istituzioni europee. Intanto il Parlamento italiano scopre i suoi limiti. Civati ricorda il voto che qualche settimana fa ha autorizzato l’ultima missione militare. Un intervento in Niger, «i cui contorni sono ancora oscuri», velocemente approvato a Camere già sciolte. Inevitabilmente si torna al memorandum di intesa siglato tra il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e il rappresentante del governo di riconciliazione nazionale dello Stato di Libia Faye Mustafa Serraj. Un impegno anche economico, visto che il nostro Paese si è fatto carico di finanziare la formazione del personale e l’assistenza tecnica per la guardia costiera e la guardia di frontiera libica. Su cui però il Parlamento non è mai intervenuto. Ecco perché i deputati, assistiti da alcuni legali dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione, ora presentano un ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. Accusano Palazzo Chigi di aver stretto accordi con la Libia senza sentire il Parlamento. Senza sottoporre i trattati al vaglio di Camera e Senato. «Il governo – spiegano – non presentando il progetto di ratifica al Parlamento italiano ha impedito il legittimo esercizio del potere costituzionalmente garantito dalla Costituzione al Parlamento stesso».

Il ricorso alla Consulta è solo l’ultima tappa di una lunga battaglia. I deputati raccontano di aver presentato fin dall’inizio mozioni e interrogazioni per fare luce sulla vicenda. Cercando di chiarire i termini dell’intesa con Tripoli, ma anche le criticità legate alla gestione dei flussi migratori da parte delle autorità nordafricane. Non di rado in violazione dei diritti umani. «Purtroppo – racconta Maestri – su questo tema le risposte, in particolare del ministro Minniti, sono state molto evasive». L’impegno non si esaurisce adesso. Il tema sarà portato avanti anche nella prossima legislatura, assicurano i parlamentari. «È un’iniziativa che dobbiamo a chi porta sulla propria pelle le conseguenze di atti politici che consideriamo molto lontani da noi, ma invece ci riguardano da vicino» insiste Maestri, che da avvocato ha seguito direttamente molte vicende. «Come quella di una ragazza nigeriana che dopo aver attraversato il deserto, ha trascorso un lungo periodo di prigionia in Libia, è stata sfruttata come lavoratrice agricola, vittima di violenze, pestaggi e quattro stupri».

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