TaccolaTrema la Borsa Usa, ma l’Europa può stare tranquilla

Parla Angelo Meda, Banor Sim: la correzione era attesa ed è stata amplificata dagli strumenti automatici. Ora il valore chiave è quello dei rendimenti dei bond decennali Usa: se sale sopra il 3% di colpo i mercati azionari scenderanno ancora. Oggi però nessuno può prevedere il loro andamento

SPENCER PLATT / GETTY IMAGES NORTH AMERICA / AFP

È stata definita la correzione più attesa di tutti i tempi. La discesa degli indici azionari di Wall Street è stata brusca venerdì 2 febbraio e ha avuto una accelerazione drammatica nel pomeriggio (in Italia sera) di lunedì 5, quando le vendite hanno subito un’accelerazione violenta, che ha portato a una chiusura in rosso del 4,6 per cento. La giornata di martedì 6 è stata poi scandita da rapidissimi saliscendi, prima di una chiusura del Dow Jones al +2 per cento. Questi movimenti sono stati causati inizialmente da un dato positivo, il dato della crescita dei salari negli Usa, poi, sulle prospettive di aumento di inflazione e rialzo dei tassi di interesse da parte della Fed, da un crollo delle azioni, a sua volta amplificato dai movimenti automatici degli strumenti legati all’aumento della volatilità. Ma che succederà nelle prossime settimane? Lo abbiamo chiesto ad Angelo Meda, Head of Equities and Portfolio Manager di Banor SIM.

Qual è la sua lettura del cambio di direzione del Dow Jones di venerdì scorso e soprattutto di lunedì, quando le perdite sono sembrate amplificate da strumenti automatici?

Noi siamo tranquilli, ci aspettavamo la correzione. Eravamo a 403 giorni senza una discesa degli indici del 5% e a 320 giorni senza una discesa del 3 per cento. In termini di periodi senza correzioni eravamo ai massimi storici. Venerdì scorso la correzione del 3% è arrivata. Poi quando lunedì si sono messi in moto meccanismi automatici come gli Etf sulla volatilità e in serata c’è stata una correzione maggiore, sono arrivati numeri da Flash Crash (la grande e improvvisa discesa del 6 maggio 2010, ndr), con una perdita di 6 punti secchi, sicuramente per motivi tecnici.

Solo tecnici?

Per il momento non è cambiato il quadro macroeconomico, le aziende continuano ad andar bene, l’economia cresce. Per questi motivi pensiamo ci possa essere un’ulteriore discesa ma non ci aspettiamo una correzione del 10% sui mercati. Pensiamo che sia stato un inizio di correzione salutare, con una causa scatenante data dai numeri sull‘aumento dei salari negli Usa e poi l’episodio degli Etf legati alla volatilità che hanno portato ai numeri di lunedì sera. La reazione di martedì 6 febbraio, in cui il Dow Jones ha alla fine guadagnato il 2%, è positiva

Concorda nel vedere i dati positivi dei salari e quindi i timori di inflazione e conseguenti rialzi dei tassi negli Usa superiori alle attese come la causa del cambio di rotta? In molti hanno puntato il dito sull’incremento del valore dei bond decennali Usa, i Treasury, fino al valore di 2,85%, contro un valore di 2,4% a fine 2017.

Sì, un rialzo di un mezzo punto di tasso teoricamente vale il 7-8%, in termini di calo mercato azionario, anche se non sono numeri scritti sulla pietra. Per il bond decennale di quest’anno ci si poteva aspettare un rialzo di mezzo punto e una conseguente discesa del 7-8% dei mercati durante l’anno, in modo tranquillo. La risalita dei rendimenti è invece stata improvvisa e gli effetti sono stati immediati.

«Noi guarderemo in maniera continua i tassi sui titoli decennali Usa, che sono stati la causa scatenante della correzione dei giorni scorsi. Nessuno al mondo ora è in grado di dire se saranno al 2,7% o al 3%, sarà il numero da tenere sotto osservazione nelle prossime settimane. Il 3% è anche una soglia psicologica. Sopra il 3% le obbligazioni renderebbero di più del dividendo dell’indice azionario americano S&P 500; si inizierebbe ad avere una minore spinta per il mercato azionario»


Angelo Meda, Banor SIM

In base alle valutazioni fatte finora, che scenari state ipotizzando circa l’andamento dei mercati nelle prossime settimane? È stato uno scossone o è logico aspettarsi una correzione molto profonda?

Noi guarderemo in maniera continua i tassi sui titoli decennali, che sono stati la causa scatenante della correzione dei giorni scorsi. Se i rendimenti rimangono al di sotto del 3% e se l’inflazione rimane sotto controllo, ci aspettiamo un assestamento e che il mercato recuperi metà della perdita avuta negli ultimi giorni. Se invece i tassi di interesse si muovono ancora in modo significativo, allora lo scenario cambia.

In caso di un incremento dei rendimenti sui titoli Usa superiore alle attese, che aspettative avete sull’andamento di azioni e obbligazioni negli Usa?

Molto semplicemente, fino a poco tempo fa non esisteva alternativa al mercato azionario, perché le obbligazioni rendevano talmente poco che rendevano sconveniente l’investimento. Con i tassi che salgono sopra il 3% il quadro cambia. Già ora delle obbligazioni high yeld viaggiano attorno al 5% per scadenze di sette anni e cominciano ad avere un rendimento interessante per un investitore anche europeo, nonostante il rischio di cambio. Potrebbe esserci un travaso tra il mondo obbligazionario e il mondo azionario. Potrebbe esserci un’uscita importante nel breve periodo dai fondi obbligazionari. Non si riverserebbe tutto nell’azionario, perché rimarrebbe una parte di liquidità.

Non dovrebbe essere il contrario?

Se i tassi salgono, si comincia ad avere rendimenti negativi sulla parte obbligazionaria, perché vuol dire che i prezzi delle obbligazioni scendono. Se gli investitori vedono che il loro fondo è sceso, possono riscattare il proprio fondo obbligazionario e accelerare il rialzo dei tassi. Questo anche perché non c‘è più un compratore certo, essendo la Fed alla fine del suo percorso di Qe. Attorno ai tassi di interesse ci sono scenari molto diversi e tutti equamente possibili. Nessuno al mondo ora è in grado di dire se saranno al 2,7% o al 3%, sarà il numero da tenere sotto osservazione nelle prossime settimane, il 3% è anche una soglia psicologica. Sopra il 3% le obbligazioni renderebbero di più del dividendo dell’indice azionario americano S&P 500; si inizierebbe ad avere una minore spinta per il mercato azionario. Sfondare quota 3% di per sé non basta per causare un crollo dei mercati azionari. È importante la velocità e anche il dato di inflazione. Gli scenari sono molto variabili.

«Paradossalmente il mercato sarebbe felice di un mancato governo in Italia, perché le coalizioni che si stanno formando sono molto eterogenee e con programmi non particolarmente market friendly. Il rischio che vediamo è che dall’Europa venga una richiesta di correzione dei conti pubblici, magari in primavera. A quel punto un governo debole, in carica solo per l’ordinaria amministrazione, non avrebbe nessun potere politico per imporre determinate correzione e lo spread salirebbe»

In caso di una discesa generalizzata delle azioni negli Usa, gli effetti arriverebbero nei mercati europei?

In Europa abbiamo Paesi del Centro-Nord, dalla Germania in su, in cui dovremmo assistere alle stesse dinamiche americane, con un rialzo potenziale dei tassi dovuto al fatto che la disoccupazione è molto bassa e la condizioni economiche sono buone. Dall’altro lato abbiamo un’Europa del Sud dove l’inflazione rimane bassa e la disoccupazione alta. Al momento, però, non prevediamo che quel che succede in America si possa replicare in Europa, ossia che ci sia un rialzo repentino dei tassi. Certo il bund al 0,7% di rendimento è destinato a salire, almeno nell’arco di due anni. Ma il fatto che la Bce sia ancora attiva sul mercato potrebbe rallentare questi movimenti repentini dei tassi. Sull’Europa siamo quindi relativamente tranquilli. Chiaramente le elezioni italiani potrebbero creare delle sorprese.

Arriviamo all’Italia. Il cambio di prospettiva sui mercati Usa deve preoccupare l’Italia, soprattutto a seguito di un possibile stallo post-elettorale?

Paradossalmente il mercato sarebbe felice di un mancato governo in Italia. Perché le coalizioni che si stanno formando sono molto eterogenee e con programmi non particolarmente market friendly, chi più chi meno. Il rischio che vediamo è che dall’Europa venga una richiesta di correzione dei conti pubblici, magari in primavera. A quel punto un governo debole, in carica solo per l’ordinaria amministrazione, non avrebbe nessun potere politico per imporre determinate correzione. L’unico caso in cui vediamo un allargamento dello spread è quello di un’Europa che si impunta e chiede rapidamente una correzione dei conti. Politicamente non mi immagino alcuna forza politica che abbia voglia di approvare una manovra recessiva con la prospettiva di tornare a votare a breve. Il rischio viene quindi più dall’Europa, da richieste in un momento sbagliato. I politici europei non sono famosi per azzeccare i tempi delle richieste.

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