Cambridge Analytica, perché Facebook è troppo grosso per passarla liscia

La sola possibilità che i dati di 50 milioni di persone finiscano impacchettati e venduti è intollerabile. È ora che i colossi del digitale rendano conto ”politicamente” del loro operato

‘Too big to fail’ era il mantra dei padroni della finanza statunitense, prima del grande diluvio, prima che la fine di Lehman Brothers desse il via a una traversata del deserto, dolorosissima per tutti. Si credeva semplicemente che non potesse accadere. Ed è accaduto. Ecco, il punto con Facebook e i big del web non è tanto ipotizzare o preconizzare rovinose cadute e dissoluzioni (piuttosto, qualcuno potrebbe prendere il posto di altri…), quanto interrogarci sulle loro dimensioni. ‘Too big’ e basta, dunque.

Il caso Cambridge Analytica è istruttivo e inquietante al tempo stesso. Facebook ha ormai la dimensione – in quanto tale, potremmo dire – per pesare immensamente più della gran parte dei Paesi, sulla scena internazionale, ma continua a comportarsi come fosse una semplice azienda. Come costruisse macchine. Facebook maneggia il mondo, nel modo più efficiente che esista: detenendo i dati di un paio di miliardi di persone. Detenendo, ripeto. L’aver subito o anche solo inconsapevolmente favorito le mosse oscure di Cambridge Analytica, non può essere risolto con un atto di contrizione e un paio di inevitabili dimissioni eccellenti. ‘Too big’, per limitarsi a questo. Se fosse vero anche solo un quinto di quanto trapelato, nella capacità di indirizzare il sentiment di milioni di persone (voti), nelle elezioni Usa o sulla Brexit, i Governi dovrebbero darsi una svegliata e chiedersi solo una cosa: come difendere la democrazia.

La sola possibilità che esista una simile scorciatoia, i dati di 50 milioni di persone impacchettati e forniti ai software di elaborazione di chicchessia, è intollerabile. Il problema non è punire, ma prevenire. I (too) big del web non possono muoversi in ‘terra incognita’, non possono essere lasciati liberi di interpretare le troppe zone grigie delle legislazioni nazionali e sovranazionali.
Sia chiaro, chi scrive è tutt’altro che contro il web o i social e crede fermamente nelle straordinarie, mi permetto di aggiungere uniche, opportunità regalate ai nostri tempi dalla Rete.

Per essere chiari, io sono fra quelli che crede che il mondo sia migliore, anche grazie a Facebook. Proprio per questo, però, gli stessi protagonisti di questa realtà affascinante e delicatissima dovrebbero porsi il problema della credibilità e neutralità del Web. Così come i governi non possono assumere atteggiamenti ‘prudenti’ o timorosi, per la paura di essere tagliati fuori dai programmi di espansione dei colossi. ‘Too Big’, dunque, per essere lasciati all’autoregolamentazione o alla selezione naturale. La responsabilità cresce, con il crescere delle proprie dimensioni e della possibilità di modificare la realtà che ci circonda. A nessun interprete dei mass media tradizionali verrebbe mai concesso di dire: ‘io sono solo una piattaforma, io non ho responsabilità sui contenuti’. A Facebook è stato concesso per anni di definirsi un non-editore.

Ripeto, qui non si tratta di punire, limitare o delimitare. Sarebbe come provare a interpretare la realtà di oggi, con le regole del mondo analogico. Un inutile suicidio. Bisogna sapersi adattare, reagire con la velocità che è propria dei nostri tempi e chiedersi cosa e come fare. Chi, con merito indiscutibile e grazie a intuizioni favolose, è oggi ‘Too Big’, deve essere chiamato alle sue responsabilità. A Washington, Bruxelles e Londra si diano una svegliata.

Il campanello d’allarme, che sentiamo tutti, non è quello di apertura di seduta a Wall Street.

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