I dati di fatto mi incriminano, dovrei fare pubblica ammenda, carcerarmi nel giardino sotto casa e darmi fuoco, senza un lamento, come un Giordano Bruno degli ignoranti. Lo dico. A me quell’11 febbraio del 2013 m’era parso uno squarcio. Il taglio di Fontana, lo schizzo sciamanico di Pollock, lo sguardo sghembo di Van Gogh, la fuga di Gauguin, il blabla di Antonin Artaud, il verso di Ungaretti che va in canoa sulla pagina bianca, il “riveder le stelle” di Dante. Uno sparo.Uno sparo simile a una icona. Benedetto XVI lascia il trono pontificio. Una ustione. Alcuni minimizzarono: è un vecchio. Il Papa che recide il compito per cui deve dare la vita. Cosa importa se è vecchio? Guardate alla mistica disintegrazione di Giovanni Paolo II.
Un Papa non molla il compito come uno che decide di licenziarsi dal noioso lavoro in banca. Un Papa deve morire sul trono. Sentii il vigile nitrito dell’abbandono. Così, buttai giù un libro, roso dal furore. Il libro fu pubblicato da Guardaldi nel marzo del 2014. A un anno dall’elezione pontificia di Papa Francesco. Nel libro, Rinuncio, che è poi il diario fittizio di Benedetto XVI redatto intorno alla sua scelta – ai miei occhi mistica, anzi, teologica, non certo ‘caratteriale’ o ‘biologica’ – ipotizzavo la nascita di una setta intorno al ‘vero papa’.
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