Uno dei giochi più famosi della Settimana Enigmistica, forse perché tutti i nonni italiani lo hanno sempre lasciato fare ai propri nipoti dopo aver compilato con precisione amanuense ogni casella delle decine di cruciverba del numero, è quello dei puntini da unire, uno dopo l’altro, a formare, da un caos senza senso, prima una linea, poi una figura, infine un disegno chiaro, l’immagine di qualcosa.
È vero, il gioco annoia superati i 4 anni di età, ma l’esercizio mentale che gli sta dietro è probabilmente quello che manca a molti di noi di questi tempi: accumuliamo puntini, dettagli, informazioni ma non arriviamo mai al quadro generale. Ecco, pur non superando di molto le cento pagine, questo “Noi tutti”, il nuovo pamphlet di Mario Capanna pubblicato da Garzanti, fa un’operazione sostanzialmente simile: mette tutti i puntini su un tavolo, e li unisce uno per uno.
La figura che ne emerge è quella che abbiamo davanti agli occhi tutti noi, ogni giorno. È quel mondo in crisi da anni, devastato da una serie impressionante di guerre e di conflitti, quel mondo a cui accediamo in maniera sempre più mediata da smartphone, tablet, computer, device di ogni tipo. E ancora, il mondo sconquassato dal cambiamento climatico, che chiama il proprio autismo post verità e che costruisce muri anziché ponti.
«Cinquant’anni sono un tempo storico sufficiente per dei ragionamenti non più basati sui pregiudizi». La voce di Mario Capanna è un po’ raffreddata per la stagione e un po’ disturbata dal collegamento telefonico, ma alla domanda su come e da dove nasce questo su ultimo libro non ha molti dubbi: «Questo è un libro frutto di lunghe riflessioni, che prende spunto dal passato, ma che parla di presente e di futuro. Per questo è complesso e semplice al tempo stesso».
In cosa è complesso e in cosa è semplice?
Complesso perché sono i temi della contemporaneità ad essere complessi, dal momento che si sono accumulati e aggravati senza che ci si avvicinasse minimamente al risolverli, ma al tempo stesso semplice perché la lezione che viene dal 68 aiuta a comprenderli con maggiore linearità. Ad esempio: oggi prevale la delega e la passività, il cittadino è frustrato, vede che nessun problema viene risolto e si affida a questa sorta di delega elettoral-politica con sfiducia. La memoria del 68 invece ci ricorda che per cambiare dobbiamo fare l’esatto opposto, perché soltanto quando le idee camminano sulle gambe di milioni di persone riescono a strappare risultati.
Non ha l’impressione però che dopo in questi cinquant’anni ci sia stata una vera e propria Restaurazione?
Sì, ma tutto sommato è normale. Pensa alla Rivoluzione Francese. Dopo la presa della Bastiglia e aver tagliato la testa al Re, dopo un sacco di altre teste saltate, sicuramente anche troppe, tra cui anche quella di Robespierre, arriva Napoleone e ci si illude che la rivoluzione conquisti l’Europa e invece muore come un cane a Sant’Elena. Poi, nel 1815, arriva Metternick e al Congresso di Vienna restaura tutte le monarchie d’Europa, compresa quella francese. Davanti a tutto questo uno potrebbe pensare che la Rivoluzione abbia perso, che cosa l’hanno fatta a fare? Sembra sia stata inutile se poi il potere si è rimangiato tutto in pochi anni. Ebbene no. Perché dopo 30 anni arrivano i moti del 48 e i popoli di tutta Europa attivano una lotta che li porterà a chiedere e ottenere le Costituzioni, dovunque. La storia è fatta così. Che cosa voglio dire? Che dopo un processo di rivoluzione culturale come è stato il 68, i poteri hanno cercato di reagire non solo con la repressione, ma anche, restaurando i rapporti di forza, di cancellarne i risultati. Ma non ci sono riusciti, perché come un grande fenomeno carsico il grande messaggio del 68 in qualche modo si è inabissato e è riemerso più volte nel corso degli ultimi 50 anni e non a caso adesso mostra tutta la sua efficacia dirompente. Da questo punto di vista la lezione del 68 è ancora validissima.
Qual è stata?
Che le lotte vanno continuate, perché se non le continui la stessa democrazia inaridisce, la stessa libertà si vede restringere i margini. Ed è proprio questa conferma del fatto che ci debba essere una sorta di sollevazione permanente e cosciente delle persone e dei popoli per la difesa dei propri diritti e per il loro allargamento che dobbiamo riuscire a ricordarci di quegli anni.
Se è vero che il capitalismo è riuscito a convincerci che non ci siano alternative valide, come possiamo riuscire a smentirlo e fondare una reale alternativa?
La possibilità viene dal fatto che questa convinzione, il famoso principio TINA coniato dalla Thatcher, oggi mostra tutti suoi limiti, come d’altronde il capitalismo.
In che senso?
Se ci chiediamo cosa ha provocato questo famoso capitalismo che non avrebbe alternativa le risposte sono eloquenti. Ha provocato la terza guerra mondiale a pezzettini, come giustamente la definisce il Papa, e che anche se non se ne parla è tuttora in corso. Ma ha provocato anche la società dell’1 per cento. Questo vuol dire che seguendo il profitto come la stella polare di riferimento non si è avuta la globalizzazione come cornucopia di beni e di felicità per tutti, ma si è semplicemente raggiunto il fatto che l’1 per cento dell’Umanità ha accumulato beni e risorse superiori al restante 99 della popolazione terrestre, producendo un precariato globale. E ancora, ha prodotto i mutamenti climatici, non dimentichiamocelo, perché stiamo per superare la soglia dell’irreversibilità, come dicono allarmati 2500 scienziati di tutto il mondo da anni. Questo vuol dire che stiamo pregiudicando il futuro dell’intera specie umana, se non anche del pianeta Terra.
E quindi, come facciamo a sovvertire questa narrazione?
Ecco anche qui riemerge la lezione potente e vivificante del 68: o noi prendiamo in mano il destino di ognuno di noi e delle nostre comunità o è evidente che il futuro dell’Umanità è a rischio. Per questo il mio libro si configura idealmente come lettera aperta a tutti i sette miliardi e mezzo di persone che popolano il pianeta, e non è un espediente retorico, è quello il Noi del titolo, in un senso ultraprofondo.
Uno dei risultati maggiori del capitalismo è stato quello di cloroformizzare le menti, di addormentare le coscienze. E di fronte a questo c’è solo un antidoto efficace, riaffermare l’esigenza del pensiero critico. Permettimi di fare una parentesi: io spesso vengo invitato scuole, in università o in biblioteche per parlare del Sessantotto e dei temi che ho affrontato in questo libro, e per due ore minimo non vola una mosca.
È un buon segno…
Sì, forse che non tutti i giovani sono bolliti, ma che se sottoponi loro degli elementi e dei ragionamenti come quelli di cui stiamo parlando e loro ci si fiondano assetati. Anche i dibattiti e le discussione che ne vengono fuori sono appassionanti e intelligenti, vogliose di creare un punto di vista alternativo. Questo per me è un buon segnale da cui partire. D’altronde, che il capitalismo devasti è una cosa che non scopriamo noi due oggi, è un’antica scoperta, ecco perché dobbiamo oggi più che mai ricostruire un tessuto di pensiero critico che si misuri sulle grandi prospettive del futuro.
Che cosa manca?
Manca il passaggio che si verificò 50 anni fa. Come diceva Don Milani in modo molto semplice: pensare di risolvere il tuo problema da solo è avarizia e non ci riesci, pensare di risolverlo insieme agli analoghi problemi degli altri è la politica — beninteso, la politica non nel senso partitico, ma nel senso più alto e vasto del termine. Quindi cosa manca mi chiedevi? Manca l’impegnarsi in prima persona nella trasformazione, gettare il proprio cuore e la propria mente insieme a quello degli altri nell’opera di trasformazione. Se questo accade, come si è visto cinquantanni fa, saremo in grado di operare trasformazioni profonde e incancellabili.
C’è stato un momento preciso del Sessantotto in cui hai capito che poteva cambiare sul serio qualcosa?
Non c’è un momento specifico, ma a un certo punto ti accorgi che è esperienza quotidiana. Bertolucci diceva una frase bellissima: la sera andavamo a dormire pensando che ci saremmo risvegliati nel futuro. Questo perché toccavamo con mano l’esperienza di trasformazione, vuoi studiando insieme all’università, vuoi al lavoro, in fabbrica, vuoi le manifestazioni per la democrazia per le strade e nelle piazze. È stato accorgendosi che lavorando insieme potevamo cambiare, accorgendosi di questo noi, per l’appunto, che è successo quello che nessuno si aspettava succedesse mai. Si sprigionò una forza irresistibile, nonostante che i poteri abbiano reagito in modo terribile, dai carri armati a Praga all’omicidio di Luther King, dai massacri di Città del Messico prima delle Olimpiadi fino alla bomba di piazza Fontana. Nonostante questo sentivi di sviluppare una forza di cambiamento di ran lunga superiore, proprio perché il noi fa la differenza.
Lei parla giustamente di momenti collettivi, ma rispetto a cinquant’anni fa, ora al posto di quei momenti ci sono schiere di Io egocentrici e autocentrati, come ne usciamo?
Ahimè, hai ragione, lo ammetto anche io ed è questo un grandissimo elemento di debolezza della società attuale, che è in frantumi. Ci siamo fatti ridurre a monadi isolate, ma attenzione, perché c’è anche il lato positivo. Lo stiamo dicendo, vuol dire che ce ne rendiamo conto, ne abbiamo coscienza, che è il primo passo. C’è un’altra cosa però da considerare, lo scrivo anche nel libro e ne sono assolutamente convinto: dobbiamo mantenere la cauta speranza che ogni tanto la Storia riserva delle svolte improvvise. Pensa che nemmeno prima del 68 se lo aspettavano, tanto che le indagini dell’epoca, il famoso studio demoscopico, sottolineava come gran parte dei giovani fossero abulici e disinteressati alla politica. Poi però è successo quel che è successo.
Le considerazioni che lei fa sono tutte sacrosante e giuste, ma sono i cambiamenti che auspica nelle persone richiedono tempo, che facciamo nel frattempo?
Il fattore tempo, a sua volta, è un fattore soggettivo. Dipende dalla profondità della contraddizione che uno vive. E visto che questa profondità sta crescendo ne consegue che anche la potenzialità di reazione sta crescendo e quindi, di nuovo, io sono cautamente ottimista, perché la coscienza della crisi, della catastrofe climatica, della guerra mondiale a pezzettini e via dicendo, è sempre più evidente. Ci stiamo rendendo conto che andando andare avanti così, con questa follia autodistruttiva dell’Umanità, è semplicemente impossibile, la reazione a tutto questo si avvicina.
Nel suo libro parla anche di post verità. Non crede che questo stallo dell’informazione e della comunicazione faccia ancora più comodo al sistema?
Lo spargimento di menzogne anziché di verità è un’altra arma potente di intorpidimento delle menti e non c’è dubbio che sia un’arma in più per i poteri dominanti. Tuttavia, il fatto che si parli sempre più apertamente di fake news sta avendo come effetto, anche se forse lentamente, il fatto che le persone stiano più attente nell’uso che fanno dei social network e di internet in generale. Questo credo che sia un elemento nuovo e molto positivo, che potrebbe essere un segnale positivo e in controtendenza.
Sì, è vero, sul web probabilmente la consapevolezza sta aumentando, ma su tutto il resto? Come possiamo agire sui media e sulla nostra dieta informativa?
Lottando tenacemente contro quella che Immanuel Kant chiamava la ragion pigra. Cosa intendeva? Quando l’intelletto umano si appaga del poco che già conosce, fregandosi con le sue stesse mani. Perché, dice Kant, ognuno di noi deve usare quel poco che ritiene di conoscere per allargare la propria conoscenza critica del mondo. Contro la ragion pigra, l’unica arma è la conoscenza critica. Non c’è alternativa, tutto il resto sono chiacchiere.
Tornando al discorso sulla mancanza di alternative alla visione liberista, come giudica gli appelli al voto utile delle ultime settimane? Non è una declinazione dello stesso artificio retorico della Thatcher?
In parte sì, ma c’è una aggravante, perché siamo di fronte a milioni di persone, un popolo, quello italiano — e uso le parole pesandole — che è sottoposto a ricatto. Mi spiego: questa elettorale è palesemente incostituzionale, e tale verrà sicuramente dichiarata dalla Corte Costituzionale. Purtroppo però dopo le elezioni. LA cosa abominevole è che un parlamento eletto già a suo tempo sulla base di una legge incostituzionale, dichiara incostituzionale dalla Corte Costituzionale, chiama i cittadini a dare il voto sulla base di un’ulteriore legge incostituzionale. Questo significa un calpestamento inaudito della democrazia, ed è un ricatto. Quindi altro che voto utile o voto inutile, questo è un macigno sul percorso della nostra democrazia che spero vivamente che, dopo il voto, venga spazzato via al più presto. Perché è un’insidia terribile alla stessa democrazia costituzionale del nostro paese. Io da questo punto di vista sono molto severo e molto preoccupato.
Come possiamo aspettarci che il parlamento che verrà se ne occuperà?
Eh, il mio pensiero a riguardo dovresti conoscerlo: non saranno mai i partiti o un parlamento a farlo. Devono farlo i cittadini. E riusciranno a farlo se ritorneranno ad essere protagonisti della nostra democrazia.
Nel suo libro sottolinea come il 68 sia stata l’unica rivoluzione che non ha ucciso nessuno, ma se è vero quello che ci siamo detti e la rabbia e la frustrazione stanno aumentando, non dovremmo avere paura di tutta questa violenza repressa?
Certo, questo è un problema immenso. Lo vediamo tutti i giorni: dall’aumento dei femminicidi a quello degli infanticidi. Pensa invece, durante i mesi della contestazione del 68 diminuirono tutta una serie di reati, tra cui anche i suicidi e gli omicidi, persino quelli di stampo mafioso. Ma perché? Mica perché fu un anno miracoloso, semplicemente perché quando hai una pulsione positiva verso la realtà che vuoi cambiare generi vita, non morte. Adesso, invece, con tutti ridotti nell’isolamento, nella frustrazione, nella solitudine, nella passività, prendono piede tutte le pulsioni negative, quelle di morte anziché di eros, come direbbe Freud. Questa è la prova ulteriore, se ce ne fosse bisogno, che bisogna cambiare e anche farlo in fretta.
Per chiudere, una curiosità, ma, dopo tutte questi ragionamenti, lei domenica ci andrà a votare?
Proprio per quanto ti ho detto prima, sulla legge incostituzionale e sul ricatto, penserò fino all’ultimo se accettare il ricatto e andare a votare o non accettarlo, e stare a casa. Sinceramente, ci sto ancora pensando, ma credo di essere in compagnia di milioni di italiani. Questa storia della legge elettorale è veramente di una vergogna assoluta. Ti rendi conto dell’abominino?
Eppure tanta vuole un sistema ancora più maggioritario…
È puro autolesionismo. Già così non decidiamo nulla, con un sistema ancora più maggioritario decideremo ancora meno.
E perché non ce ne rendiamo conto?
È lo smarrimento della gente. Ecco perché tutto quel che ci siamo detti è molto importante, perché se non ci si sveglia al più presto non andrà a finire bene.