In Italia l’università costa cara. È un dato di fatto: se in molti paesi europei gli studi sono gratuiti – vedi Germania e alcuni stati scandinavi – l’Italia si posiziona invece al terzo posto tra quelli più cari dell’Unione dopo Olanda e Regno Unito, con uno sbalorditivo aumento del 60% delle tasse universitarie negli ultimi dieci anni. Siamo uno dei pochi paesi a far pagare l’università, e anche tanto. Per contro, la qualità non cresce e di conseguenza i nostri atenei non riescono a posizionarsi nelle zone alte dei ranking internazionali.
Alle idiosincrasie ci si fa presto l’abitudine, con il precariato si cerca di convivere – e a volte fa nascere partiti -, frattanto si indurisce nel tempo il callo dei Baroni. Ma l’anomalia più grande delle università italiana riguarda la tassazione: non solo negli ultimi dieci anni le tasse sono aumentate in modo esponenziale, ma in molti casi i costi hanno ecceduto i limiti imposti per legge, con il risultato di un arricchimento improprio degli atenei a discapito degli studenti.
L’esempio più recente di tassazione barbina potrebbe riguardare l’Università degli Studi di Milano del rettore Vago. Quest’ultimo si trova da tempo alle prese con il difficile trasferimento delle facoltà scientifiche da Città Studi all’area Expo, mentre in molti ricorderanno quando l’anno scorso fu messo in croce senza troppi complimenti per aver tentato di inserire il numero chiuso in tutte le facoltà umanistiche da tempo in sovraccarico. Oggi Vago si trova a fare i conti con l’accusa di aver richiesto oltre 34 milioni in più agli studenti rispetto al tetto imposto per legge. A puntare il dito contro l’ateneo milanese è l’Unione degli Universitari (Udu) che il 19 febbraio ha depositato un ricorso al Tar per far luce sui fatti. L’Udu, che si prepara ad affrontare le elezioni di maggio per il rinnovo della rappresentanza studentesca forte di un tema caldo da spendere in campagna elettorale, non è nuovo a questo genere di battaglie: a Pavia, il Tar e il Consiglio di Stato gli ha dato ragione sui ricorsi ai bilanci per gli anni dal 2010 al 2012, e così l’università si è trovata costretta a ridare indietro agli studenti 1,7 milioni di euro con gli interessi.
Ma esattamente come si calcolano le tasse universitarie? Per legge, il rapporto tra la contribuzione studentesca e FFO – il budget erogato dallo Stato alle università denominato Fondo di Finanziamento Ordinario – non può essere superiore al 20%. Nel bilancio provvisorio della Statale di Milano per il 2018 invece questo rapporto si attesta al 32,8%. In poche parole: una truffa di 34 milioni di euro ai danni degli studenti. Ma non è la prima volta che l’ateneo meneghino propina tasse fuorilegge. «Quasi sempre la Statale ha fatto pagare ai propri studenti tasse che non dovevano essere pagate» spiega a Linkiesta.it Carlo Dovico, coordinatore di Udu per Milano. «Non esiste una vera e propria motivazione per cui la Statale faccia pagare le tasse più del dovuto. In alcune università vi è stata in passato una necessità di fare cassa con i soldi degli studenti per via dei tagli di Tremonti e della Gelmini. Ma se si dà un’occhiata ai bilanci della Statale di Milano si capisce bene che l’ateneo non ha problemi economici: ci sono quasi 400 milioni di avanzo e questo ci ha lasciato davvero perplessi. Probabilmente quei soldi servono in vista del passaggio in area Expo delle facoltà scientifiche, ma non saprei dare una motivazione concreta».
Per legge, il rapporto tra la contribuzione studentesca e FFO – il budget erogato dallo Stato alle università denominato Fondo di Finanziamento Ordinario – non può essere superiore al 20%. Nel bilancio provvisorio della Statale di Milano per il 2018 invece questo rapporto si attesta al 32,8%. In poche parole: una truffa di 34 milioni di euro ai danni degli studenti
E in effetti la Statale se la sta passando proprio bene. Registra un saldo di bilancio sempre in positivo e un avanzo di amministrazione che negli anni è sempre cresciuto: nel 2011 era di 73 milioni di euro, nel 2012 toccava i 208 milioni, nel 2013 saliva a 229 milioni, nel 2015 a 260 milioni, nel 2016 a 299 milioni, fino a giungere nel 2017 a quota 356 milioni. Facendo due conti si può bene intuire come più del 70% dell’avanzo di bilancio derivi da tasse fuorilegge – spiega bene Vulcano Statale.
Insomma, questa è solo la prima volta che l’Udu meneghino ricorre al Tar. Ma sarebbe intervenuto anche prima probabilmente, non fosse che a Milano l’Udu è sbarcato solo un anno fa. Giusto il tempo di dare un’occhiata all’ultimo bilancio preventivo ed è partito il ricorso.
Ma la Statale non è un caso isolato. Un’inchiesta dell’Udu del 2011 mostrava come ben 36 atenei pubblici su 61 totali avevessero una contribuzione studentesca fuori legge. Più della metà delle università italiane. La top 10 degli atenei fuori legge richiedeva ad ogni studente dai 400 ai 600 euro in modo non legittimo, con la Ca Foscari di Venezia al primo posto e la Statale di Milano che conquistava la medaglia d’argento. Seguivano in lizza Insubria, Politecnico di Milano, Bergamo, Urbino, Padova, IUAV Venezia, Bologna, Modena e Reggio.
Nel tempo però la situazione non sembra migliorata, anzi, fin da prima del fortunato ricorso di Pavia, la politica è riuscita ad aggrovigliare una legislazione che non brilla per chiarezza. Come viene spiegato in “Sulle nostre spalle”, l’inchiesta sulle tasse universitarie pubblicata da Udu nel 2017, in Italia l’aumento progressivo delle tasse negli ultimi dieci anni ha avuto origini soprattutto politiche. I tagli della Legge 133 del 2008 del ministro Tremonti provocarono nell’anno accademico 2009/2010 un’impennata della tassa media a livello nazionale di 79 euro (+8,56%). Poi, la Legge 240 del 2010 della ministra Gelmini indusse ad una serie di aumenti continui, tra i 23 e 24 euro all’anno, fino al 2012/2013. In seguito, la liberalizzazione di Monti della contribuzione studentesca favorì aumenti sempre più vertiginosi, che non si sono interrotti fin ad oggi. In particolare il Decreto Legge 95/2012 (convertito con la Legge 135 del 7 agosto 2012) modificò la normativa sul 20% scorporando dal conteggio il gettito della contribuzione versata dagli studenti fuori corso. Ma ciò sarebbe avvenuto solo seguendo criteri da definirsi con un successivo Decreto Ministeriale, il quale non è mai uscito e perciò non è possibile compiere la distinzione. Frattanto nel 2016 il Consiglio di Stato si è espresso sui ricorsi presentati dall’Udu ai bilanci dell’Università di Pavia, confermando che gli atenei non possono escludere dal conteggio del 20% la contribuzione degli studenti fuori corso. Tanto per non complicare le cose, l’ultima Legge di bilancio inserisce anche gli “studenti internazionali” tra quelli che possono essere scorporati dal conteggio. Il problema è che non c’è chiarezza normativa, e la definizione di questo tipo di studenti non è comune a tutte le università. Il risultato di tutte queste leggi? Una grande confusione, che offre agli Atenei un valido pretesto per dopare le entrate ai danni degli studenti.
Proprio in questi giorni caldi che anticipano la campagna elettorale, l’Unione degli Universitari ha pubblicato un dossier in cui vengono denunciati gli atenei con tasse fuorilegge. Ad oggi il numero degli atenei che non rispettano le regole ricalca quello del 2011: 33 su un totale di 59 esaminati. Se nel 2008 gli atenei che sforavano il limite del 20% erano 20 (uno su tre), nel 2015 invece un ateneo su due ha sforato il limite di legge sulla contribuzione studentesca. I dati, provenienti dal database della Ragioneria di Stato, sottolineano uno scenario di irregolarità diffusa, dove la contribuzione studentesca ammonta al 22% del finanziamento statale. Al nord, comunque, si ruba più che al sud: nel settentrione quasi 9 atenei su 10 violano il tetto del 20%.
L’Unione degli Universitari ha pubblicato un dossier in cui vengono denunciati gli atenei con tasse fuorilegge. Ad oggi il numero degli atenei che non rispettano le regole ricalca quello del 2011: 33 su un totale di 59 esaminati. Se nel 2008 gli atenei che sforavano il limite del 20% erano 20 (uno su tre), nel 2015 invece un ateneo su due ha sforato il limite di legge sulla contribuzione studentesca
«Abbiamo appena concluso un’indagine che nasce dall’analisi dei bilanci consolidati degli atenei pubblici» racconta a Linkiesta.it Mattia Sguazzini, responsabile diritto allo studio dell’esecutivo nazionale dell’Udu. «È interessante notare come al sud, dove le tasse sono sempre costate di meno che nel resto del Paese [1000 euro circa, rispetto ai 1500 del nord e i 1100 del centro ndr.], molti atenei stanno facendo salire i prezzi per far fronte ai tagli dei finanziamenti e soprattutto alla mancanza di gettito per via del numero sempre più basso di iscritti».
Malgrado la recente introduzione della no tax area fissata a 13mila euro a livello nazionale le disparità continuano ad essere evidenti, e secondo Sguazzini quest’anno si potrebbe andare incontro a delle brutte sorprese. «Se già è pesante la responsabilità del ministero nell’aver diffuso con estremo ritardo il riparto dei 55 milioni per l’applicazione dei modelli contributivi inducendo le università a calcolare le tasse senza nessuna certezza di rientrare nei costi, il 2018 apre a uno scenario ancora più rischioso. Questo perché si sta ancora aspettando l’uscita del decreto ministeriale sul costo standard che doveva essere pronto a novembre. Le università così conoscono soltanto il numero dei propri esonerati, ovvero solo una delle due variabili necessarie a calcolare quanto gli spetta dei 105 milioni stanziati dallo Stato».
Intanto il 22 febbraio scorso è partito il secondo ricorso dell’Udu, questa volta ai danni di Torino. «Milano e Torino sono i casi più eclatanti ed è per questo che abbiamo deciso di fare ricorso. Speriamo di non dover ricorrere a vie legali anche con altri atenei. La maggior parte delle volte, soprattutto quando si parla di cifre ridotte, decidiamo di ricorrere alla contrattazione» conclude il membro dell’esecutivo.
Tra una macchina statale lenta, i tagli, un apparato normativo confuso e il silenzio delle direzioni degli atenei, la questione delle tasse universitarie in Italia sembra un ginepraio inestricabile che sopravvive nella latitanza ai danni dell’equità e della qualità. Dopotutto etica ed estetica vanno di pari passo. Comunque sia, alla fine a perdere sono sempre gli studenti.