«Renzi gioca sulla difensiva, Berlusconi ha perso lo smalto, ma il vero flop è Grasso»

Edoardo Novelli: «È stata una campagna poco creativa, ma piena di cambiamenti». Finite le ideologie, restano le illusioni. «Vi immaginate la Dc che promette di tagliare le tasse sulla casa?». La parola chiave è stata sicurezza, un aiuto alla destra. «Ma l’idea dei ministri Cinque Stelle è geniale»

«È stata una campagna elettorale di basso profilo? Non saprei. Poco creativa, sì. Ma non è stata la più gridata né la più polemica che la storia ricordi. Sicuramente è stata una partita dall’esito molto incerto. Negli anni Settanta si sapeva già chi avrebbe vinto, stavolta no». Edoardo Novelli è il principale esperto di linguaggio elettorale nel nostro Paese. Docente di comunicazione politica all’Università Roma Tre, ha appena pubblicato per Laterza il libro «Le campagne elettorali in Italia». Un lungo viaggio tra comizi e manifesti che attraversa l’intera storia repubblicana.

Professore, finalmente si vota. Non mi dica che questa campagna elettorale l’ha coinvolta?
In queste settimane abbiamo assistito a grandi cambiamenti. Gli elementi caratteristici di ogni campagna sono almeno quattro: la legge elettorale, il denaro, il sistema dei media e la polarizzazione della scena politica. Ecco, stavolta ci siamo trovati davanti a una tempesta perfetta. Rispetto al passato è cambiato tutto. Non ci sono più soldi, c’è un nuovo sistema di voto. Si è modificata anche la scena mediale: la tv ha perso il suo ruolo e ha lasciato il posto alla Rete. Politicamente, poi, per la prima volta ci troviamo di fronte a un sistema tripolare.

Un tempo si attaccavano manifesti, adesso si twitta in continuazione. Probabilmente una grande novità di questa campagna sono stati i social network: quali sono le differenze rispetto al passato?
Le piazze fisiche degli anni 50 e 60 e quelle televisive degli anni seguenti erano accessibili a tutti. Oggi invece la campagna elettorale si è immersa nella Rete. Non tutti possono vedere quello che accade. I siti internet, i gruppi Facebook e gli account twitter che segue lei sono diversi dai miei. Lei ha visto una campagna elettorale differente dalla mia. Ormai l’ambizione di chi gestisce la comunicazione politica è quella di inviare messaggi profilati, la comunicazione è mirata a diverse tipologie di elettorato. La campagna elettorale non è più aperta.

Intanto la tv non è più la protagonista.
La tv ha mostrato un po’ la corda. Sono mancati grandi spot, i faccia a faccia, i colpi di scena. Una volta i punti di svolta delle campagne elettorali avvenivano in televisione. Ricorda Berlusconi che lascia lo studio di Lucia Annunziata? Oppure che pulisce la sedia nel talk show di Michele Santoro? I confronti con Romano Prodi… In queste settimane mi sembra che in televisione non sia successo nulla. Una campagna così poco fantasiosa da spingere il Cavaliere a tornare nella stessa trasmissione e firmare un altro contratto con gli italiani. Vent’anni dopo.

Sicuramente Berlusconi ha perso un po’ della sua capacità comunicativa. L’età avanza. Anche il personaggio è meno nuovo: non è facile presentarsi sempre brillante, inventivo, originale. Tutti hanno impietosamente messo in luce alcune gaffe del Cavaliere. Ma con il tramonto della televisione, inevitabilmente anche lui finisce per seguire lo stesso destino

Un altro elemento molto criticato: i leader di quasi tutti gli schieramenti si sono lasciati andare a decine di promesse irrealizzabili. Pensioni più ricche, bonus per tutti, meno tasse. È sempre stato così?
Non direi. La Democrazia cristiana e il Partito comunista non hanno mai fatto campagna elettorale dicendo che avrebbero abolito la tassa sulla prima casa. Allora si ragionava di massimi sistemi. La proposta politica era legata a una visione ideologica e di appartenenza più generale. La morte delle ideologie ha generato un cambiamento. Ha portato Silvio Berlusconi a promettere un milione di posti di lavoro. Era il 1994.

Morte le grandi ideologie, quali sono i temi che spostano ancora voti? Secondo lei quali sono state le parole chiave di questa campagna elettorale?
Il tema centrale è stato quello della sicurezza e dell’immigrazione, senza dubbio. Cavalcato soprattutto dal centrodestra, per ovvi motivi. È stato un argomento imposto da alcuni precisi fatti di cronaca. Anche se è evidente che nel Paese ci sia un’iperpercezione del problema, al di là dei dati oggettivi. Ma vede, il clima di opinione che fa da contorno alla campagna elettorale è sempre molto importante.

E poi?
Almeno nella prima parte della campagna elettorale il Partito democratico ha cercato di cavalcare l’argomento delle fake news e della sicurezza dell’informazione. E poi c’è stato il tema fascismo-antifascismo. Non so quanto possa far presa sull’elettorato, quanto possa entrare nell’agenda delle persone. Anche se è vero che siamo in un paese anziano, il 24 per cento degli elettori ormai ha più di 65 anni di età.

A livello comunicativo ci sono state alcune novità. Cosa pensa della scelta dei Cinque stelle di presentare una lista dei ministri prima del voto? Istituzionalmente è irrituale, ammetterà.
Ma è un’ottima operazione di comunicazione, pagherà assolutamente. In questo modo i Cinque Stelle marcano una diversità, cosa che negli ultimi anni non sono riusciti a fare. All’inizio il loro approccio comunicativo rafforzava l’idea di una proposta politica differente. L’uso della Rete, lo streaming, la scelta di disertare i talk show. Quasi subito, però, si sono avvitati in una comunicazione vecchissima, fatta di direttòri ed epurazioni… Oggi la presentazione della lista dei ministri, sicuramente una scelta irrituale e rischiosa per chi si è esposto, marca un’evidente distanza dagli altri partiti. Fa agenda, è diventata centrale nel dibattito politico. Ricorda l’idea di trasparenza che i Cinque stelle vogliono trasmettere.

La Democrazia cristiana e il Partito comunista non hanno mai fatto campagna elettorale dicendo che avrebbero abolito la tassa sulla prima casa. Allora si ragionava di massimi sistemi. La proposta politica era legata a una visione ideologica e di appartenenza più generale. La morte delle ideologie ha generato un cambiamento. Ha portato Silvio Berlusconi a promettere un milione di posti di lavoro. Era il 1994.

E la campagna social di Salvini, che si è proposto come premio per i follower più fedeli?
Ognuno usa i social in base al proprio profilo. Guardi Berlusconi com’è istituzionale. La sua pagina Facebook sembra quasi una rassegna stampa: vengono pubblicate le foto scattate in campagna elettorale e le frasi dette nei convegni. Si riporta quello che avviene altrove. Renzi, nella sua pagina ufficiale, ha scelto di dare molto spazio alle parole e poco alle immagini. Il leader leghista, invece, usa i social in maniera diretta. L’operazione “Vinci Salvini” è un nuovo passo verso l’adozione, da parte della politica, di un linguaggio commerciale. Il livello estremo della popolarizzazione e personalizzazione. Il leader si mette in palio, diventa come un set di pentole. Anche questo è un tentativo di coinvolgimento dell’elettorato.

E così Twitter passa in secondo piano? I pochi caratteri a disposizione si prestano al massimo a qualche slogan.
Invece no, twitter è lo strumento più forte della disintermediazione. Sono i leader che postano le foto e tutti i media le riprendono. Ci sono immagini che hanno scandito questa campagna elettorale: i tre leader di centrodestra sotto l’albero di Natale, il maiale dei Casamonica nella spazzatura di Roma, Renzi a tavola con le due nonne, Di Maio con l’inviato delle Iene mentre controlla i bonifici dei suoi parlamentari. Foto iconiche che sintetizzano un momento. E sono tutte partite da Twitter.

Tra tante novità, l’usato sicuro. Berlusconi è stato sempre considerato il più comunicativo tra i leader. Oggi ha perso un po’ lo smalto?
Sicuramente ha perso un po’ della sua capacità comunicativa. L’età avanza. Anche il personaggio è meno nuovo: non è facile presentarsi sempre brillante, inventivo, originale. Tutti hanno impietosamente messo in luce alcune gaffe del Cavaliere. Ma con il tramonto della televisione, inevitabilmente anche lui finisce per seguire lo stesso destino.

A detta di molti esperti, però, il vero flop comunicativo della campagna elettorale è stato Pietro Grasso. Liberi e Uguali ha sbagliato?
Hanno iniziato la campagna elettorale con un manifesto discutibile. Il faccione di Pietro Grasso, lo sguardo languido e le mani sotto al mento, sembrava quasi un padre di famiglia. Liberi e Uguali è un partito di sinistra. Non dico che dovevano ritrarre il leader sulla piazza Rossa, ma insomma…. A un manifesto che non si è segnalato per originalità si uniscono gli aspetti caratteriali di Grasso. Oggi per fare il leader sono richieste doti umorali e di temperamento particolari, diverse da cinquant’anni fa. Prendiamo Renzi. Nonostante il leader del Pd abbia sperperato un patrimonio di consenso clamoroso, quando va in televisione emerge per capacità, brillantezza e rapidità. Nel caso di Grasso devo dire che una campagna poco innovativa si è accompagnata a un carattere non particolarmente trascinante. Forse al suo posto sarebbe stata meglio Laura Boldrini. Una leader donna, più empatica, più coinvolgente.

Ci sono pochi slogan che rimarranno nella storia. Poca creatività. Quali sono gli spot che l’hanno colpita di più?
Quello di Emma Bonino mi è piaciuto, ci sono elementi di grande personalizzazione. Giorgia Meloni ha puntato sui patrioti. Si è ritagliata questo orticello identitario. Ma il suo è un messaggio che poteva andare bene anche cinquant’anni fa.

C’è lo spot del Pd, la famiglia in auto e il padre che non vuole più votare per Renzi. E per convincerlo si presenta proprio il segretario, in sella alla sua bicicletta.
Il primo spot era molto sulla difensiva. Renzi parla a quelli che non lo votano più. Consapevole che molti elettori sono andati via, cerca di riportarne a casa il più possibile. Diciamo la verità, è una campagna elettorale studiata per limitare di anni. Catenacciara. I grandi spot elettorali sono diversi: si parla di entusiasmo e di cambiamento, sono propositivi… Il secondo spot è più divertente. Certo, l’effetto è un po’ quello della sitcom. Ma immagino che oggi gestire il prodotto Renzi non sia facile. Non mi sembra in grado di attirare grande entusiasmo.

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