Storia del caminetto, da centro della casa a protagonista del dopo-elezioni

Citato dal senatore Matteo Renzi nel suo discorso di non dimissioni, è diventata la metafora della resa dei conti interna al Pd. Il suo fuoco scalda e conforta. Ma, se troppo agitato, comincia a bruciare

In una torsione degli eventi inaspettata e inaspettabile, i veri protagonisti del dopo-elezioni sono diventati – a sorpresa di tutti – i caminetti. Proprio così: e tutto solo perché il senatore Matteo Renzi, anziché parlare di dimissioni, ha parlato di caminetti.

Non si trattava di una televendita, ma di un attacco (l’ennesimo) rivolto a misteriosi nemici interni accusati di tramare e cospirare contro di lui, che cioè tentano di rimuovere e sostituire il segretario che ha portato il Pd ai più bassi livelli di sempre. Nulla di tanto strano. I caminetti, in tutto questo, vengono citati perché, come dice la Crusca, indicano nel linguaggio giornalistico le riunioni e i conciliaboli informali dei politici.

Poveri caminetti. E pensare che, nella storia, hanno costituito la parte più importante della casa, il centro di ritrovo, in cui passare le lunghe e fredde giornate invernali. Da necessità per tenere lontani gli animali feroci, essenziale per cucinare e tenersi al caldo, a punto di riferimento per i salotti e le famiglie. Fino a diventare il centro, metaforico, intorno al quale girano le cospirazioni, gli attacchi alle spalle e, nel caso, le sostituzioni dei leader di partito fallimentari.

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