Tutte le giravolte di Salvini, il militante padano che si è scoperto italiano

È la storia del giovane taciturno diventato leader. L’irriverente secessionista che ha scoperto il patriottismo. L’eurodeputato che insultava i napoletani e oggi cerca i voti al Sud. L’ex comunista padano che strizza l’occhio all’estrema destra. Passato con disinvoltura dalla felpa alla cravatta

Una giravolta lunga venticinque anni. La carriera politica di Matteo Salvini è una continua, ambigua, contraddizione. È il destino un po’ tortuoso del giovane militante benvoluto dalla vecchia guardia leghista che ha finito per rottamare il partito. L’irriverente secessionista che ha scoperto il nazionalismo. Il consigliere comunale che si rifiutava di stringere la mano al presidente della Repubblica e oggi cerca i voti del Mezzogiorno. Un politico in continua evoluzione, insomma. Una svolta dopo l’altra. È il grande limite e al tempo stesso il principale punto di forza del segretario leghista. L’ex capolista dei comunisti padani che strizza l’occhio all’estrema destra, passato con disinvoltura dalla felpa alla cravatta. Una volta gli avversari erano i meridionali? Ora sono gli immigrati clandestini. Prima se la prendeva con Roma Ladrona, adesso con Bruxelles.

Ma allora chi è Salvini? «È un po’ di tutto». Alessandro Franzi e Alessandro Madron lo raccontano così ne #IlMilitante, ebook disponibile anche in versione cartacea della casa editrice goWare. Una biografia non scontata del leader leghista, oggi in corsa con l’ingombrante alleato Silvio Berlusconi per conquistare il primato del centrodestra. E da lunedì prossimo, chissà. Un segretario venuto dalla lunga gavetta di partito, senza mai un ruolo di governo, adesso in lizza per guidare il governo del Paese. «La storia di un militante che si è scoperto leader». Quello che emerge dalle pagine del libro è un Salvini inedito. La passione per la radio, dove ha affinato le sue doti comunicative. I primi lavoretti al Burghy, persino il fallimento accademico con un’iscrizione al corso di laurea in Storia mai portata a termine. Oggi si stenta a crederci, ma è anche la storia di un ragazzo timido e taciturno. «Salvini? Per qualche anno non ricordo di averlo sentito parlare, se non in qualche occasione» racconta, intervistato, l’ex presidente del Consiglio comunale di Milano Basilio Rizzo. I detrattori accusano il leader leghista di aver spinto il partito su posizioni di estrema destra. Ma il giovane Salvini era un ragazzo di sinistra. Nel 1994, il suo primo intervento da consigliere è addirittura dedicato al Leoncavallo. Un breve discorso in difesa dello storico centro sociale milanese a rischio sgombero. Quasi uno scherzo del destino. «Fu così che i primi titoli di giornale della sua vita, Salvini se li guadagnò rivelando di essere uno che come parecchi altri suoi coetanei frequentava il Leoncavallo». È lo stesso Salvini che in campagna elettorale viene contestato dagli antagonisti. Il giovane leghista che nel 1997, candidato alle elezioni per il Parlamento del Nord, si trovò a guidare la lista dei comunisti padani. In questi giorni fanno discutere gli endorsement di Casapound alla causa leghista. Eppure, ancora nel 2008, Salvini non rinnegava i suoi trascorsi. «Io non ho cambiato le mie idee – spiegava durante il raduno di Venezia di quell’anno – Perché c’è ancora bisogno di una sinistra seria in Italia. E faremo campagna elettorale su temi di sinistra che la sinistra ha abbandonato».

«I bossiani più stretti hanno sempre considerato Salvini un buon militante, un battutista efficace, ma anche uno che in Parlamento si faceva i fatti suoi. Insomma, non l’hanno mai considerato un potenziale leader»

Lo chiamano il capitano. Ma per anni Salvini non è mai stato considerato un leader capace di scalare il partito. «I bossiani più stretti – si legge – hanno sempre considerato Salvini un buon militante, un battutista efficace, ma anche uno che in Parlamento si faceva i fatti suoi. Insomma, non l’hanno mai considerato un potenziale leader». Non a caso nel 2011, dopo quasi vent’anni da semplice consigliere comunale, non era riuscito nemmeno a imporsi per il ruolo di vicesindaco. «L’accordo era quasi fatto, ma Bossi senza dirgli nulla annunciò ai giornalisti nell’ultimo giorno di campagna elettorale che il candidato era l’ex ministro Castelli».

La trasformazione nazionalista di Salvini è forse la giravolta più nota. Per anni il segretario padano ha costruito la sua carriera politica sul dogma dell’indipendenza padana. Oggi il riferimento al Nord è stato persino tolto dal simbolo di partito. Alle elezioni di domenica il Carroccio sarà presente in tutta Italia, candidando i suoi uomini da Pontida alla Sicilia. A pensarci solo pochi anni fa sembrava una follia. «Quanto questo sia frutto della maturazione di un pensiero politico e quanto invece conseguenza di un puro calcolo di potere, è difficile da dire» si legge nel libro. Alle cronache resta quel coro intonato durante il raduno di Pontida del 2009, festeggiando con i giovani padani la sua rielezione a Strasburgo. «Senti che puzza, scappano anche i cani, stanno arrivando i napoletani». Un motivetto da stadio, si giustificherà poco dopo Salvini, che lo scorso anno si è pubblicamente scusato in un’intervista al Mattino. Alla fine degli anni Novanta il giovane leghista esordisce su Radio Padania conducendo la trasmissione “Mai dire Italia”. Un format evidentemente lontanissimo dal messaggio leghista odierno. Nel 2002 dà vita a una celebrazione alternativa del 4 novembre, ricorrenza trasformata nella festa dell’orgoglio padano. «Tutti i programmi dalle 8 alle 20 – annuncia ai microfoni di via Bellerio – saranno dedicati alla storia, alla cultura, alle tradizioni e alle lingue padane. Saranno trasmesse soltanto canzoni delle nostre terre e nei nostri dialetti». La provocazione piace, evidentemente. Da eurodeputato Salvini arriverà a chiedere l’abolizione del 2 giugno, festa della Repubblica. Rifiutandosi di celebrare il 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia. Dopo aver sistemato la sua scrivania di consigliere comunale in piazza della Scala, spiega: «Per me sarà una giornata di lavoro con i milanesi». Nemico del centralismo italiano, nel 1999 si rifiuta di stringere la mano al presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, in visita ufficiale nel capoluogo lombardo. «No, grazie, dottore. Lei non mi rappresenta». Ma Salvini è soprattutto un indomito rivale della Capitale. Nel 2004, da consigliere comunale, organizza un presidio per contestare un vertice tra il sindaco Albertini e il collega romano Walter Veltroni. «L’educazione è un conto, ma accogliere a braccia aperta il rappresentante di una città che per Milano è un cataclisma è tutto un altro paio di maniche». Ironia del destino, adesso Salvini spera addirittura di potersi trasferire nella Città Eterna.

Per anni il segretario padano ha costruito la sua carriera politica sul dogma dell’indipendenza padana. Oggi il riferimento al Nord è stato persino tolto dal simbolo di partito. Alle elezioni di domenica il Carroccio sarà presente in tutta Italia, candidando i suoi uomini da Pontida alla Sicilia. A pensarci solo pochi anni fa sembrava una follia

«Gli sono riusciti così facili, una volta diventato segretario della Lega, i giochi di prestigio. Mescolare le ragioni del Nord e del Sud. Intrecciare la destra e la sinistra». #IlMilitante ripercorre in dettaglio la transizione, enorme, che ha condotto la Lega verso la svolta nazionale e sovranista. Un passaggio tutt’altro che indolore, vissuto dai vecchi leghisti come un tradimento. Ennesima giravolta che ha finito per archiviare decenni di storia politica: «L’Italia era il nemico. Era lo Stato parassitario. Era l’esercito di occupazione. II Tricolore appeso dalla signora Lucia Massarotto al suo balcone di Riva Sette Martiri, a Venezia, dove ogni anno Bossi versava in laguna l’ampolla del Po prelevata sul Monviso, veniva regolarmente fischiato e deriso dagli aspiranti secessionisti». I leghisti erano indipendentisti, alla bandiera nazionale preferivano il leone di San Marco e la croce di San Giorgio. «E Salvini, militante fra i militanti, non era da meno. Era anti-italiano a Radio Padania. Ma anche quando intonava cori contro i napoletani o indossava eloquenti maglietta con la scritta Padania is not Italy». Cambiare idea è lecito, sia chiaro. «Solo i morti e gli stupidi non cambiano mai opinione», diceva il poeta americano James Russell Lowell. Ma alcune svolte salviniane sono state così radicali da strappare ancora un sorriso. Come le crociate radiofoniche contro la nazionale di calcio. Oggi antieuropeista e fiero avversario di Angela Merkel, durante i Mondiali del 2006 il consigliere leghista arriverà a tifare Germania. «L’Italia mi rappresenta Moggi, Calciopoli e tutto il peggio del peggio. Il mio sostegno va a chiunque sia più serio». Persino i tedeschi. A pochi giorni dalle elezioni, probabilmente Salvini è tornato a sostenere gli azzurri.

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