Concorrenza DigitaleEcco come non farsi schiacciare dallo strapotere di Google Shopping

Per superare l’onnipotenza dell’algoritmo di Big G nelle ricerche di comparazione dei prezzi, ci si può affidare al buon vecchio negozio fisico, oppure scegliere uno o più marketplace di fiducia composto di filtri di ricerca raffinabili

Se vostra mamma volesse acquistare un vaso in terracotta per i fiori, ma fosse indecisa su quale prodotto scegliere e soprattutto dove comprarlo farebbe una cosa semplice: alzerebbe il telefono, chiamerebbe l’amica con quel bel balcone fiorito che invidia tanto e le chiederebbe dopo un lungo giro di convenevoli dove abbia comparto quei vasi che trasformano un geranio in un bosco incantato. Sbalordita dal costo (perché, si sa, tutto quel che piace costa) chiamerebbe un’altra amica per avere un secondo parere. Ma siamo nel 2018 e accontentarsi del passaparola non è semplice. Anzi, spesso è molto più dispendioso in termini di tempo e di tariffa telefonica, che non digitare 16 lettere sul Google Chrome, il motore di ricerca dell’azienda statunitense con sede a Mountain View (California).

La stessa che nell’estate del 2017 si è beccata una multa da 2,4 miliardi di euro dalla Commissione europea per la concorrenza per “abuso di posizione dominante”. Detto in soldoni (quelli che avreste voluto risparmiare ma poi vi ritrovate puntualmente a spendere) Google trucca i risultati delle ricerche di shopping comparativo.

Secondo l’accusa della commissione guidata dalla danese Margrethe Vestager, dal 2008 in avanti Google Search (il motore di ricerca di Google) avrebbe non solo dato una precedenza agli annunci postati attraverso il servizio Google Shopping (che si occupa di comparare i prezzi di diversi retailer online), ma avrebbe addirittura discriminato e degradato possibili altri risultati di ricerca di siti competitor. Un’attività che, nel 2017, aveva fatto scattare la denuncia da parte del portale britannico Foundem a cui era seguita l’indagine e la decisione della commissione.

Per molti siti come Foundem, la connazionale Kelkoo e il francese Twenga, la costante assenza dei propri servizi dai record presentati da Google Search all’utente era uno schiaffo in faccia alla libera concorrenza.

Maggiore era il pagamento e la rilevanza dell’articolo, migliore era il posizionamento di ques’tultimo fra i risultati della query inserita all’interno di Google Search. Il tutto moltiplicato per il fattore algoritmo, che grazie a dei criteri che solo in parte riguardano la convenienza, contribuisce alla ricorrenza del prodotto

Ma come funziona Google Shopping? Lanciato nel dicembre 2002, Google Shopping è stato modificato dieci anni dopo con l’introduzione di un meccanismo “pay-to- play”, per cui a ogni rivenditore che volesse far comparire i propri articoli fra i record di ricerca, Google chiedeva un pagamento. Maggiore era il pagamento e la rilevanza dell’articolo, migliore era il posizionamento di ques’tultimo fra i risultati della query inserita all’interno di Google Search. Il tutto moltiplicato per il fattore algoritmo, che grazie a dei criteri che solo in parte riguardano la convenienza, contribuisce alla ricorrenza del prodotto. E sapendo, dati della Commissione europea, che Google Search copre il 91,5% delle ricerche su Internet, il cortocircuito monopolistico era a portata di click.

Al di là della mega multa, una delle proposte avanzate dai regolaroti di Bruxelles prevederebbe lo spacchettamento della stessa Google in diverse società più piccole che non si facciano scudo della dimensione e della pervasività della società di Mountain View. Durante un’intervista al Daily Telegraph, Vestager ha affermato che si tratta «di una possibilità che ritengo importante non cancellare dalla nostra agenda» perché l’importante, in questi casi, «è rimanere vigili». Eppure, anche una soluzione di questo tipo non garantirebbe la libera concorrenza invocata dai competitor. Tanto che quest’ultimi si sono trovati in 19 a firmare una lettera in cui avvertivano che lo “spezzatino” non avrebbe funzionato.

Le perplessità le ha messe in fila il sito LaVoce.info. La prima riguarderebbe una questione di giustizia: si può ritenere colpevole una società che ha avuto un’idea migliore e prima delle altre? In secondo luogo, lo sviluppo delle aziende tech (fra cui rientrano anche altri colossi come Amazon e Facebook) va sempre più verso una integrazione dei propri servizi e per questo sono premiate dagli utenti. Infine, si rischierebbe di trattare gli utenti online come degli allocchi, incapaci di discernimento, persi all’interno di un ecosistema che si vorrebbe dipingere come il Nirvana ma che in realtà (come dimostra il caso di Cambridge Analytica) è un vero campo di battaglia.

Fatto sta che alla vostra mamma rimangono alcune frecce al proprio arco per vincere il contest del miglior balcone fiorito. Prima di tutto, affidarsi al buon vecchio negozio fisico per controllare se vi siano prodotti e prezzi migliori rispetto all’offerta online (compreso qualche consiglio imparziale e gratis da parte del fiorista). In secondo luogo, scegliere uno o più marketplace di fiducia composto di filtri di ricerca raffinabili piuttosto che affidarsi ciecamente all’onnipotenza dell’algorimto. Infine, perdere un po’ di tempo a leggere le recensioni degli utenti che digitalizzano il classico passaparola.

Certo, il rischio di finire a comprare da un servizio come Google Actions, lanciato a fine marzo e che mette a disposizione un carrello della spesa universale capace di resistere al cambio di piattaforma e dispositivo, è sempre dietro l’angolo. Ma in questo modo, almeno, anche l’esperienza di shopping potrebbe rivelarsi più emozionante, consapevole e realmente concorrente.

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