La liturgia del Quirinale non è solo formalità. Ma nemmeno racconta tutto quello che sta accadendo sulla tortuosa strada che conduce alla formazione del prossimo governo. I debuttanti Luigi Di Maio e Matteo Salvini, vincitori senza aver vinto aritmeticamente le elezioni del 4 marzo, al Colle si sono accomodati con grande abilità. Sono arrivati a piedi, per non rompere il nuovo galateo mediatico. Hanno mostrato familiarità con il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, un tempo bistrattato avversario istituzionale, oggi sponda indispensabile per qualsiasi mossa politica. E hanno dettato le loro condizioni davanti al plotone di giornalisti che li attendeva, come da tradizione, fuori dello studio alla Vetrata. Entrambi hanno una voglia matta di governare prima che sia troppo tardi. Ma appunto le consultazioni, con i suoi riti senza tempo, non raccontano tutto. Di Maio e Salvini più che il Palazzo devono continuare a sedurre i propri elettori, e non possono compiere passi falsi in quella che ormai è una campagna elettorale permanente.
Deriva da questo, probabilmente, lo scontro fra due ambizioni fortissime. Mantenersi puri guardando a un futuro sistema bipolare senza i partiti tradizionali. O cercare il compromesso che porterebbe a cogliere il frutto proibito di una stabile alleanza di governo fra M5S e Lega, verso cui tutti gli indizi stanno portando ma che rappresenta anche il grande rischio di un fallimento agli occhi di elettori, ai quali è stata promessa la rivoluzione. Davanti a Di Maio e Salvini, 76 anni in due, la stessa età del presidente Mattarella, c’è la parabola potente, intrigante e allo stesso tempo autodistruttiva di chi ha assaporato il frutto proibito (in questo caso con i berlusconiani) prima di loro: Matteo Renzi. Per esorcizzare questo pericolo, i due leader che ambiscono a fondare la terza repubblica devono tenere le orecchie al Quirinale ma gli occhi puntati da un’altra parte. In casa degli elettori. Che in questo momento perdonerebbero tutto a chi ha raccolto la metà dei voti appena un mese fa. Ma fra uno, due o cinque anni sarà ancora così?
Il 22 aprile si voterà in Molise, dove i 5 Stelle puntano a conquistare il loro primo governatore in assoluto. Il 29 toccherà al Friuli Venezia Giulia, dove è invece la Lega a cullare il sogna di vittoria, anche per indebolire ulteriormente Berlusconi. Da qui alle Europee del maggio 2019 sarà un anno denso di appuntamenti elettorali: come si può essere nemici nelle piazze e governare insieme a Roma?
Mai come in questo caso, il calendario è da tenere aperto sulla scrivania. Prime due scadenze: il 22 aprile, quando si voterà alle Regionali in Molise, e il 29 in Friuli Venezia Giulia. Due periferie della politica italiana che ne diventano improvvisamente il centro, proprio perché anticiperanno o indeboliranno quel nuovo bipolarismo che a Roma è ancora in incubazione. In Molise, il Movimento 5 Stelle ambisce a conquistare il suo primo governatore in assoluto. I grillini partono dal vantaggio del 4 marzo, quando nella regione centro-meridionale hanno raccolto il 44,79% dei consensi, ma dovranno vedersela proprio con Salvini: il centrodestra vuole a sua volta vincere partendo dal 29,81% del mese scorso. Schema ribaltato in Friuli Venezia Giulia, dove è la Lega a pregustare (sulla carta) la vittoria. Nella delicata partita delle presidenze delle Camere, l’area di Forza Italia-Noi con l’Italia ha rinunciato alla candidatura a governatore dell’ex Renzo Tondo a favore di Massimiliano Fedriga, figura di stretta fiducia di Salvini. In questo caso il centrodestra parte dal 42,97% del 4 marzo, i 5 Stelle dal 24,56%. E qui la Lega ha un obiettivo in più: rendere ancora più debole Berlusconi, cercando di attrrare a sé i suoi voti ma anche la sua classe dirigente.
Come si può combattersi nelle piazze e contemporaneamente stringere un patto di governo? Di Maio e Salvini – le cui agende si intrecceranno in questi giorni fra Trieste e Campobasso – puntano per questo a scavallare la data del 29 aprile, prima di prendere qualsiasi decisione a Roma. Ma il presidente Mattarella li riconvocherà al Quirinale molto prima. Anche perché è sempre il calendario a rivelare che non ci sarà alcuna tregua elettorale da qui a un anno, quando il 26 maggio 2019 si terranno le elezioni Europee, primo vero test politico su qualsiasi governo in carica (vedere ancora alla voce Renzi, 2014). Il 20 maggio ci saranno le Regionali in Valle d’Aosta, il 10-24 giugno le Comunali, in autunno un altro round di elezioni Regionali a Trento, Bolzano e in Basilicata. Poi, fra inverno e primavera, si voterà in Abruzzo, Piemonte e Sardegna. Con una politica così orientata agli umori popolari, non ci sarà praticamente sosta. Ogni campanile diventerà il centro ideale di ogni sfida politica anche a livello nazionale
E’ uno scenario che Di Maio e Salvini hanno perfettamente presente. Devono chiudere i giochi prima che i loro elettori si stufino e inizino a pensare che siano anche loro come tutti gli altri. Sia che riescano a fare un governo, tentando di durare per cinque anni e superando le differenze ideologiche, programmatiche e di ambizioni personali che restano fortissime. Sia che non ci riescano e impongano una strada che porti rapidamente a nuove elezioni. I voti vanno conquistati minuto per minuto. E i nuovi arrivati hanno una gran voglia di andare a governare prima che sia troppo tardi.
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